Giorni Felici

Leonora Hamill, ROUFFACH

Stanza 13

Nelle mie opere mi soffermo su quella dimensione affettiva che risiede nell’empatia, in modo da rispondere con un’emozionalità appropriata ai pensieri e ai sentimenti di un’altra persona.
Rouffach è una video-installazione che mi è stata commissionata dal Centre Hospitalier de Rouffach, un ospedale psichatrico in Alsazia, Francia. La commissione ha reso possibile per me l’esperienza dell’incontro con altri esseri umani tramite l’uso della telecamera.
Il mio punto di partenza è stato l’altare del quindicesimo secolo della Madonna delle Rose di Martin Schongauer. Ho lavorato con sette pazienti poiché la preghiera alla Vergine Maria è basata su sette dolori e su sette gioie. Da questo lavoro è emersa una semplice struttura binaria – chiedere ad ogni persona quali sono stati i suoi momenti migliori e peggiori.
Ogni paziente è stato ripreso frontalmente nello studio, mentre rispondeva a queste due domande, e poi è stato anche filmato in diversi luoghi geograficamente collegati con l’ospedale – sul suolo dell’ospedale, per le strade della vicina città di Rouffach, nei vigneti che circondano l’ospedale, nel chiostro di Colmar, nelle foreste intorno, vicino ad un lago, e sulla cima della montagna più prossima. La persona si sta sempre allontanando dallo spettatore, come attraversando la cornice. Le immagini di queste persone che parlano, ascoltano e camminano nello spazio, sono giustapposte in un triplo canale di proiezione.
Leonora Hamill

Vi è l’apertura di una dialettica “nuova” all’interno di ogni personaggio, che nel rievocare le proprie esperienze a se stesso, ancor prima che allo spettatore, genera una sorta di cortocircuito fra il dire e il detto e successivamente fra il dire e l’indicibile.
Ne scaturisce uno scambio di ruoli nel quale il paziente, colui abituato ad essere assistito, prende per una volta il posto del guaritore (personale medicale) e lo spettatore diventa complice di questo meccanismo. È lui che ci conduce nei meandri dell’esperienza gioia/dolore, è lui che ci dischiude le porte della sfera empatica e anche psichica.
“Non riuscirò più a vedere questi pazienti con gli stessi occhi di prima…” è stato il commento di un infermiere che solo in quel momento si era accorto dell’inversione fra le parti.
Il nostro percepire quasi si arresta davanti alla dimensione dell’indicibile e impone riflessioni profonde sul limite impostoci dalle parole che non abbiamo mai avuto il coraggio di pronunciare, e sul diritto di essere ascoltati, quello che nella realtà di Rouffach semplicemente si definisce le droit d’ècouter.
Edoardo Testori

Leonora Hamill è nata a Parigi nel 1978. Vive tra Milano e Londra.

Piero 1/2Botta, SCALE SENZA TITOLI

Stanza 12

La mia stanza è un luogo di passaggio e un punto di vista scomodo da cui osservarmi. Eppure sono pronto ad aspettarmi ogni volta che vi entro, temporaneamente e per non essere presente. Aspettando che nuove immagini prendano forma. Lo sforzo è estremo e raccolto in sé. Dimenticare di esistere nell’assenza. E poi esco, rimane il quadro, l’immagine figurata di ciò che sono quando ricordo tutto. La vita. La mia storia sincera e nuda allo stesso tempo appare.
Piero 1/2Botta

Più spontaneamente che citazionalmente, credo che le pitture di Piero 1/2Botta sembrino ritrovare, allusivamente, l’intimità carnale che Philip Guston prima maniera e Willem de Kooning nell’intero arco della sua opera ebbero a esprimere scomponendo e ricomponendo masse corporee e masse materiche. La gestualità e la sensualità dichiarate di Piero 1/2Botta hanno tuttavia referenze pre – o extra – pittoriche, e ovviamente altre di quanto i due maestri della Scuola di New York già mezzo secolo fa ebbero a perseguire. Sono cioè autobiografiche e bagnano nel clima nato, non solo in Italia, con la pittura della Transavanguardia. Ma come lo sarebbero quelle narrate da un insetto kafkiano: contigue, complici, contaminate, da interstizialità che appaiono quando la visione percorre a raggiera la densità e i meandri delle carni, siano esse attribuibili al corpo umano, di sé, di altri, che a presenze animali. Il percorso del giovane Piero 1/2Botta, nonostante una esplicita empatia con il colore e l’interessante modo di comporre le masse colorate zoo-antropomorfe ricorrendo ad una forma rappresa di dripping che condensa e scontorna al tempo stesso questa ritrattistica dell’anonimato, segue un percorso molto coerente nel senso che l’impronta personale è già in lui ricorrenza stilistica.
Remo Guidieri

Piero 1/2Botta è nato a Fermo nel 1977. Vive e Lavora a Milano.

Mario Francesconi, S.B.

Stanza 11

Ho eseguito ritratti di Beckett per oltre 10 anni. Beckett insieme a Cèline e a Giacometti è per me (e per molti) uno dei visi più interessanti del 900, ove arte, letteratura e poesia si incontrano in una sintesi imperscrutabile ed inafferrabile. L’immagine del drammaturgo irlandese diviene sempre più un archetipo, si allontana, si smaterializza, ed accentua la sua inafferrabilità. Per questo ho scelto un materiale rigido come il ferro, che per quanto condotto da un disegno sapiente e sintetico, cerca di catturare e fissare l’immagine, quasi di imprigionarla all’interno di un reticolo mentale, per poi tramandarcelo come icona esistenziale.
Mario Francesconi

Tu sei riuscito a sottrarti al giudizio superficiale della cronologia ed anche ed ancor più alle questioni dello stile.
Se ti va, ti dico anche il perché: perché tu sei un selvaggio, sei l’artista più selvaggio che io abbia mai incontrato.
E mi offendo quando vedo e sento parlare del tuo lavoro in senso iconografico, mi ribolle il sangue quando leggo inutili citazioni.
La tua arte è “gesto”.
È il tuo gesto che lascia senza fiato. È il rapporto fra il gesto e l’idea che con te e in te nascono insieme, ma che hanno fra loro una relazione incestuosa: sono padre e figlia e l’uno non sa dove va a parare l’altra. Si inseguono, si aspettano per frazioni minime di tempo, ma non si riesce mai a intuire chi delle due prevalga. Nel tuo gesto fino all’ultimo istante non si sa dove vuoi arrivare ed il risultato è tanto più imprevedibile quanto sorprendente.
Ecco perché le tue immagini sono pugni nello stomaco ovvero strette al cuore: sono annunci che non si vogliono sentire, sono “vanitas”, sono l’addio che non si vorrebbe mai sentire dalla persona amata.
Edoardo Testori

Mario Francesconi è nato nel 1934 a Viareggio (LU), dove vive e lavora.

Massimo Uberti, GIORNI FELICI

Stanza 10

Ho appena buttato nel cassonetto dell’immondizia decine di disegni, di appunti e qualche progetto che probabilmente, fossi stato prudente, avrei conservato e trasformato in lavori, ma ho bisogno di vedere nuovo spazio e me ne sono liberato.
Ora il mio studio è completamente vuoto e mi sento a casa.
Lo spazio della pittura è nuovamente sgombro e posso decidere di varcarne la soglia, ma non subito; per qualche istante assaporo ancora l’opportunità di avere dello spazio vuoto.
Nessun peso o incombenza si mostra al mio sguardo, mi sento bene. Vedo!
Adesso nuove immagini si affacceranno e questo mi provoca eccitazione.
Fatico non poco a trattenermi, ma devo resistere, devo stare calmo: gesti incauti in questo momento d’assenza di gravità possono compromettere tutto.
La magia privata di questo vuoto resiste alcuni istanti, attimi in cui nessun segnale è attivo, solo io e questo spazio luminoso attorno a me. Resto immobile per quanto possibile, ma stare fermo non è semplice e, poco dopo, inizio a muovermi e ci finisco dentro. Parto.
Al mio ritorno scopro con stupore che nello studio sono comparsi nuovi progetti e nuove immagini, cosa faccio? Attendo?
No. Me ne vado e provo a dormire ma mi sveglio presto, ritorno in studio e scopro che il cassonetto di fronte è di nuovo vuoto… Non resisto, sento la necessità impellente di buttare tutto. Lo faccio. Rivedo lo spazio amato.
Riparto.
Massimo Uberti

Massimo Uberti è un artista della luce, che interviene nello spazio trasformandolo in un magico gioco di costruzioni e allusioni, forme e idee. Da oltre un decennio utilizza tubi bianchi al neon per comporre immagini metafisiche e disegnare ambienti virtuali, sospesi nel tempo poetico e rivelatore dell’arte (di illuminare). Semplici profili di luce ci avvicinano alla pratica intellettiva del linguaggio (Scrittoio, 2000) o ci introducono all’immagine del luogo più familiare (Avvolgente casa, 2009). Installazioni luminose più articolate e complesse ci proiettano nell’illusione spaziale dell’illimitato (Senza fine, 2006) e nell’aspirazione temporale all’interminabile (Tendente infinito, 2008). Scritte al neon ci annunciano l’assunzione testuale (nell’arte) di una dimensione insieme fisica e mentale, concreta e ideale (Spazio amato, 2008; Altro spazio, 2010).
L’ultima creazione, concepita per Casa Testori, combina nel vuoto di una stanza elementi strutturali abitualmente usati come supporti, sovrapposti fra loro, a segmenti luminosi orizzontali di misura crescente, fissati a distanza regolare e intersecati ai primi: un’opera progressiva ed espansiva, che si eleva dal materiale all’etereo, dal reale all’apparente, dal corporeo all’affettivo (Giorni felici, 2011).
Stefano Pezzato

Massimo Uberti è nato nel 1966 a Brescia, dove vive e lavora.

Piero Fogliati, LATOMIE

Stanza 8

Ogni cosa in fondo ha il suo centro che va svelato. Noi abbiamo il nostro centro, che però non sveliamo, lo teniamo ben nascosto. La mia è l’essenza delle cose, cioè penetrare all’interno della realtà e cercare di svelarne questi segreti nascosti. Io sono lo scienziato che tradisce la scienza. Vale a dire, io prima mi impossesso di tutti quei mezzi che oggi ho fortunatamente a disposizione e poi la tradisco perché invece che utilizzarla per fare oggetti di consumo, oggetti pratici, io utilizzo tutte le mie conoscenze per indirizzare questi risultati, queste invenzioni per ottenere un fatto estetico.
Piero Fogliati

E mentre lavorava faticosamente ad una pompa di benzina, negli inverni freddi di una città industriale già grande, elaborava di notte i suoi progetti fatti di immaterialità, di leggerezza, la sua speranza di restituire al mondo la sua vivibilità sulla scia di Constant, appunto, di Klein e anche, già, di Calvino, pensando alla sua utopica “Città  ideale”, col suo Tempio della Luce, il suo fiume, le cui acque sarebbero risuonate di nuovi ritmi, le gocce di pioggia avrebbero preso colore, i venti avrebbero creato sculture impalpabili e invisibili ma percepibili dai nostri sensi, i rumori si sarebbero trasformati in suoni…
Lara-Vinca Masini

Piero Fogliati è nato a Canelli (AT) nel 1930.Vive e lavora a Torino.

Emma Ciceri, 14 DICEMBRE 2010

Stanza 1

Il reale vuole essere l’oggetto della mia ricerca. La relazione con esso si manifesta tramite una continua contemplazione: una prolungata, silenziosa e meditativa osservazione di qualcosa dal suo interno.
Lavoro con gesti semplici di selezione del reale che uniti ricreano una realtà parallela. Mi interessa la vicenda umana, il singolo e la moltitudine.
Sono alla ricerca continua di individualità nella folla, questa è il pretesto per l’osservazione continua e ravvicinata di simili.
Partecipo a raduni, concerti, funerali, manifestazioni con una videocamera in mano. Prendo parte agli eventi mimetizzandomi nella moltitudine, ciò mi consente di indagare i gesti, i corpi, le manifestazioni di piccole tensioni dell’individuo. La folla è il pretesto, l’evento è il contenitore dell’umano da osservare, seguire, registrare; il corpo è l’involucro di un’interiorità che si manifesta.
Tensioni, emozioni assumono forme ed aspetti molteplici nella dialettica tra soggettività e moltitudine, affermazione di sé e appartenenza ad un gruppo.
Emma Ciceri

Il lavoro di Emma Ciceri può rappresentare una replica alla retorica dell’anonimato della grande città .
In occasione di una manifestazione studentesca, Ciceri ha ripreso la piazza e i suoi movimenti, la sua inarrestabile energia.
Con la sua capacità  di cogliere i movimenti e la stasi, la luce che incide e che accentua, con i colori saturi e la dilatazione temporale che immette nel girato, la strada si rivela essere una vitale platea per gli individui.
Ma nelle sue immagini, dei ragazzi che per un attimo emergono tra la folla, notiamo soprattutto l’intensità  sempre unica dell’espressione, gli atteggiamenti concentrati pur nel caos, l’aspetto e i gesti che presiedono agli incontri e alle relazioni, così intimamente connessi a stati emozionali.
Il comportamento sociale si svela nella sua complessità: in parte espressione inconsapevole, plasmata dall’agire collettivo, dal fatto di partecipare ad un grande rito di massa; in parte frutto di cura e di consapevole attenzione: un recitare la propria parte e offrirsi agli sguardi altrui che risponde a codici e a convenzioni, ma può prendere forme bizzarre.
L’effetto è cinematografico, ma senza nulla di aneddotico, di sentimentale.
La microritualità che emerge dal video rientra nel grande, complesso spettacolo della vita quotidiana ed esprime la nostra polifonica società di individui.
Gabi Scardi

Emma Ciceri è nata a Ponte San Pietro (BG) nel 1983.

DRACULA / CHIROTTERI

Andrea Mastrovito 

Dracula venne realizzato per la prima volta nel 2008 in occasione della mostra Nickelodeon da 1000eventi a Milano: il Dracula di Bram Stoker è uno dei romanzi che hanno avuto più riduzioni cinematografiche, se ne contano circa 650. In quest’opera presento la videoproiezione di otto film basati sulla storia del Conte transilvano (dal Nosferatu di Murnau del 1922 a quello di Herzog del 1978 sino al Bram Stoker’s Dracula di Coppola passando per le versioni Universal di Tod Browning del 1931 e Hammer di Terence Fisher del 1958) effettuata sulle coste delle pagine di circa 60 differenti edizioni del romanzo stesso. Il lavoro, oltre ad enfatizzare le inevitabili differenze d’interpretazione non solo a livello di regia ma persino di traduzione del romanzo stesso, prende piede dalla nozione di “diritto d’autore” a proposito della trasposizione in pellicola di una qualsiasi opera letteraria: Nosferatu infatti fu il primo caso riconosciuto di plagio da parte di un regista nei riguardi di un romanzo. Murnau, pur cambiando il titolo e i nomi dei personaggi riprese esattamente la storia dal libro di Stoker. La vedova dello scrittore fece causa al regista per plagio e vinse obbligando il regista a distruggere il film. Alcune copie si salvarono solo casualmente, permettendoci di poter ammirare ancora oggi questo capolavoro. Il caso creò un precedente giudiziario e da allora il copyright venne esteso anche su eventuali trasposizioni cinematografiche di opere letterarie. Sul soffitto, Dracula viene completata dall’installazione di Chirotteri, circa 200 libri sui pipistrelli, ritagliati e fissati con viti uno accanto all’altro. Questo lavoro chiaramente prende piede dall’opera Enciclopedia dei fiori da giardino e nacque una  notte di ottobre del 2009: ero a New York e stavo realizzando, coi miei assistenti, la nave de Non ci resta che piangere, l’installazione per il Museum of Art and Design. La sera, dopo 12/14 ore di lavoro, spesso passavo da Strand Books, quest’enorme negozio di libri tra la 12th street e la Broadway, dove ogni volta cercavo nuove idee per nuovi lavori, e così mi capitò tra le mani un bellissimo volume esclusivamente sui pipistrelli, roba mai vista in Italia. Subito da lì l’idea di rivestire un intero soffitto con centinaia di libri del genere. Quello fu il nucleo primigenio dell’installazione The Island of Dr. Mastrovito a Governors Island nel 2010, che oltre ai pipistrelli sul soffitto, prevedeva centinaia di libri di farfalle sui muri e volumi su ogni tipo di animale – ritratto a grandezza naturale – sul pavimento. Questa stanza, disposta esattamente dove si trovava una delle biblioteche di Testori, chiude il ciclo delle tre stanze dedicate ai libri, stanze che Testori stesso aveva dedicato allo studio dei libri e delle opere.

EASY COME EASY GO

CASA TESTORI OSPITA LA PERSONALE DI ANDREA MASTROVITO – VINCITORE DI GIORNI FELICI 2010

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Il programma espositivo di Casa Testori per il 2011 si apre con la mostra del vincitore della rassegna Giorni Felici 2010. Andrea Mastrovito, bergamasco classe 1978, è stato l’artista più votato dal pubblico e ora, nelle stesse stanze che lo hanno consacrato, propone un’eccezionale antologica. Per quanto molto giovane, Mastrovito è un artista internazionale che vive tra Bergamo e New York e ha all’attivo numerose mostre in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Anche grazie alla sua straordinaria capacità nel disegno e nell’utilizzare, trasformandoli, i più diversi materiali, Andrea ha dato vita ad opere installative e multimediali che hanno affascinato i visitatori dei due continenti: dal Museum of Art and Design di New York, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, al Museo Pecci di Prato e al MAXXI di Roma.

A Casa Testori Mastrovito realizza la sua personale più ambiziosa, invadendo le 20 stanze della casa con disegni, collage, videoanimazioni, installazioni e interventi site-specific sui muri e gli ambienti della casa. Il titolo, Easy come, easy go (Così come vengo, così me ne vado) è un verso di Bohemian Rhapsody, la celebre canzone dei Queen protagonista di una delle stanze, oltre che degli ultimi mesi di vita di Giovanni Testori; il verso, traducibile anche con “mi lascio trasportare, sono un indolente” è stato scelto dall’artista come espressione della giovinezza in genere, del proprio carattere e della condizione dell’artista a Casa Testori, chiamato a fare i conti con un luogo magico e pieno di storia.

Mastrovito al pian terreno si soffermerà su alcune delle opere realizzate negli ultimi anni, mostrando al pubblico per la prima volta le radici nascoste del suo lavoro in un’inedita raccolta di 26 autoritratti a matita. Ogni stanza riserverà una scoperta e, grazie alle celebri installazioni di libri ritagliati, un’aiuola fiorirà nella stanza del camino, una biblioteca virtuale di fotocopie ritornerà nella biblioteca testoriana mentre la drammatica video-installazione Johnny colmerà di emozioni il grande salone della casa. Molte saranno le novità proposte da questo artista così versatile e capace di non lasciare indifferenti i grandi curatori di mostre come i semplici visitatori. Molti gli interventi appositamente realizzati e, al primo piano, grazie ad incisioni sul muro che disegnano la figura umana attraverso gli strati d’intonaco e vernice accumulatosi nei 100 anni di vita della casa, Mastrovito farà venire a galla la storia di questo luogo e il visitatore verrà “accompagnato” dalla presenza del padrone di casa: Giovanni Testori.

La mostra è curata da Julia Draganovic, responsabile di importanti rassegne internazionali come Art Miami (2009-2010) e Art First (2010-2011), nonché direttrice artistica d’istituzioni pubbliche, come il Chelsea Art Museum di New York (2005-2006) e del PAN – Palazzo delle Arti Napoli (2007-2008).

ORARI

martedì-mercoledì: 16.30/20.00

giovedì-venerdì: 16.30/22.00

sabato e domenica: 11.00/20.00

Chiusa il lunedì, Pasqua e 1 maggio.

Elena Monzo, EDEN PARTY

Stanza 8

L’origine di una festa. Tutto è confezionato, pronto al consumo. L’ambiente stesso diventa una scatola che ospita tre lavori principali: Self ControlPrincipessa sul piselloVenere & cloni UomoTigre. Le figure sono statiche, mute e statuarie, merce travestita, clonata e incorniciata. La stanza diventa soffice e dolce.
Elena Monzo

Elena Monzo è un’osservatrice che assorbe, filtra e restituisce le questioni dell’umano vivere in modo duro ma allo stesso tempo scanzonato; crea aborti di opposti armonici, che ammassa per avvicinarli all’esperienza reale, fatta di eventi tanto rapidi e strumentalizzati da poter essere ignorati senza creare alcun problema di coscienza. La giovane artista pare volutamente trasportare l’etica virtuale e televisiva sul supporto bidimensionale, sovrapponendo immagini che possono essere godute da lontano senza traduzioni, oppure decifrate e comprese al di là del loro decorativismo, generando inspiegabili rigonfiamenti di tutte le basi pilifere che mappano la nostra pelle. […] Se la caduta non fosse parte dell’umana esperienza, l’uomo sarebbe stato creato con base d’appoggio più solida. Quella di Elena Monzo è un’arte tragica e deliziosa, che restituisce con coscienza critica l’unico terribile quotidiano che ci sia stato dato in gestione.
Viviana Siviero

Elena Monzo è nata a Orzinuovi in provincia di Brescia nel 1981. Vive tra Brescia e Milano. Nel 2004 ha vinto il Premio Italian Factory per la giovane pittura italiana e nel 2007 ha partecipato alle mostre Yourlineneismakingmesowetrightnow.lloveit e Why can’t we all just get along? alla Sara Tecchia Gallery di New York. Nello stesso anno ha tenuto la prima mostra personale Inside presso la Galleria Bonelli Contemporary di Los Angeles e Dipendenze alla Galleria Traghetto di Roma. Nel 2008 ha realizzato la personale Nidi di Nodi di Bu alla Galleria Bonelli Arte Contemporanea di Mantova. Nel 2010 ha partecipato all’evento (Con)Temporary Art al Superstudiopiù di Via Tortona a Milano, presentando i suoi ultimi lavori in una stanza dal titolo Specchio specchio delle mie brame.

Armin Linke, CHIESA DI VETRO

Stanza 10

Fotografate una cosa e poi fotografatela nuovamente facendo qualche passo indietro, così potrete scoprire se il suo contesto può farci capire qualcosa in più di quella cosa.
Armin Linke

Nelle sue perlustrazioni globali Armin Linke è stato calamitato dall’architettura di luce della Chiesa di vetro di Baranzate. La parrocchia di Nostra Signora della Misericordia venne progettata da Angelo Mangiarotti e da Bruno Morassutti nel 1957, ma grande importanza ebbero i calcoli strutturali di Bruno Favini che permisero di realizzare una struttura completamente libera nel suo perimetro. Un capannone industriale virato a edificio sacro. La chiesa fece allora l’effetto di un satellite uscito da un film di fantascienza ad anticipare i tempi. La chiesa faceva cadere le cesure rispetto al mondo. La fatica del tempo segna quelle strutture fatte solo di luce e bisognose di restauri. La vita concreta le ha ormai felicemente metabolizzate. Linke coglie questa transizione avvenuta. Un senso di attesa pacificata pervade le immagini, come se il tempo invece di consumarlo desse sempre più corpo a questo spazio.
Giuseppe Frangi

Armin Linke è nato nel 1966 a Milano, vive e lavora a Berlino.

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