Andrea Mastrovito
Questa stanza è stata l’ultima che ho ideato e realizzato per la mostra. Nel realizzarla pensavo al lavoro di Martin Creed, e ad un racconto di Luigi Polla. Quando Luigi lo conobbe – mi diceva una sera – Martin, che era un ragazzino, gli tirò fuori una pepiera ed una saliera rifatte in rame e acciaio. Gliele appoggiò lì, sul tavolino su cui stavano mangiando. Erano praticamente invisibili, fra i piatti e le stoviglie. Gli spiegò che, per indole, non aveva voglia di fare nulla. Ma NON fare nulla era impossibile, per un artista. Allora, ogni volta, trovava la maniera di fare, realizzare la cosa più vicina al nulla, il minimo sforzo. Mi ha sempre colpito questo racconto (ripenso ai suoi palloncini pieni d’aria della galleria, ai fogli accartocciati, ai metronomi..). Così pensai che la stanza semi-vuota sarebbe stata perfetta per chiudere il percorso ideale della mostra. Anche perché, a quel punto, ero troppo stanco per qualsiasi altra cosa. Fatto sta che, tra tutto, mancava un qualcosa, un appiglio alla violenza gergale delle storie testoriane, e parlo di storie inventate e vissute. Mi venne in mente allora la sua amicizia/inimicizia con Luchino Visconti. Visconti che aveva preso ispirazione dai suoi Racconti del Ponte della Ghisolfa per Rocco e i suoi fratelli. Erano amici e si stimavano, all’epoca; poi successe che per un ruolo promesso e non dato ad Alain – compagno di Testori – in Ludwig, Giovanni si incazzò come una bestia e prese ad odiarlo a morte (fino a presentare pubbliche scuse dopo la morte di Visconti) tanto che nell’inedito epilogo dell’Ambleto si scagliò contro il “sozzialista registore” insultandolo e affibbiandogli vizi e perversioni: “in te amare è avere un cazzo di cane da leccare”. Per questo ho preso come spunto la locandina di Rocco e i suoi fratelli, in cui è raffigurato Simone che violenta Nadia. La violenza del gesto è mitigata dalla trasparenza invisibile dell’immagine ottenuta grattando il vetro opaco della portafinestra, cui fa da contraltare, microscopico, sulla parete di sinistra, Ceci n’est pas une pipe, opera realizzata per la personale Postmodern nel 2006. Qui il rapporto uomo/donna è capovolto (letteralmente, la donna sta sopra) e la citazione magrittiana sta a spiegare anche qui “cos’è l’amore”, giocando sul fatto che “pipe” in francese ha un doppio significato: pipa – come tutti ben sappiamo – e pompino, appunto…