Month: Marzo 2020

NELLA SECONDA STANZA

Un dittico rappresentava un dialogo tra Urso e alcuni tra gli artisti più rilevanti della tradizione
polacca. Si trattava di un omaggio personale da parte dell’autore ad alcune figure chiave della cultura locale, conosciute e studiate da Urso durante gli anni del suo soggiorno a Varsavia.

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NELLA PRIMA STANZA

TRE STANZE PER UNA GIUNGLA

Giunti al primo piano, la mostra proseguiva nelle cinque stanze della parte destra della casa. Attraversando il corridoio, le tre camere che si aprono a sinistra erano unite da un tema comune: Welcome to the Jungle, declinato dall’artista in altrettante opere, realizzate tra il 2016 e il 2018.

NELLA PRIMA STANZA

Una serie di 15 box, diorami o teatrini magici, creavano una linea continua lungo le pareti. Il visitatore era chiamato a immergersi in questi microcosmi realizzati unicamente con la carta. Ormai non servivano più altri oggetti per mettere in scena questa selva artistica: ce n’era abbastanza tra protagonisti, musei e splendidi cortocircuiti emotivo-celebrali, nati da accostamenti impensabili. Non si trattava solo di un omaggio ai propri maestri, ma di una serie di ex-voto, con i quali Urso chiedeva un aiuto agli artisti che, tra le belve del mondo dell’arte – e della vita – sono riusciti a esprimere la propria poetica, sopravvivendovi. Il filo dei diorami era interrotto su una parete da uno dei quadri più importanti di Giovanni Testori (Crocifissione, 1949), inaspettatamente a suo agio, tra le opere di Urso, non solo perché ne condivide l’affollamento formale e l’antropomorfizzazione della natura, ma soprattutto perché anch’essa esito della metabolizzazione dei propri maestri, da Cézanne a Picasso.

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UNA SCALA PER MEMLING

L’opera di Urso era installata in stretto dialogo con la Biblioteca d’Arte di Giovanni Testori, giunta al termine del suo riordino. La grande libreria, posta alla base della scala, raccoglie le monografie degli artisti medioevali e moderni fino al Settecento. L’intervento di Urso fioriva tra i volumi e s’inerpicava lungo la salita al primo piano, rendendo il grande scalone un omaggio al pittore tedesco Hans Memling (1430-1494) e al suo celebre Giudizio Universale, il cosiddetto Trittico di Danzica(1470 circa). Disposti tra i libri, nove diorami restituivano la composizione: dal Cristo giudice – potente tanto da non trattenere la propria forza entro il vetro – alle anime salvate, purganti e dannate. In questi teatrini magici (Stations of the Cross, 2016) le immagini del Trittico acquisivano la terza dimensione grazie ad elementi apparentemente estranei, che li riportavano a una temperie domestica. Nella serie lungo le scale (A study on The Last Judgment of Hans Memling, 2015/2016) la natura si faceva matrigna e, sostituendosi alle fiamme in una funzione tutt’altro che decorativa, non rallentava i tormenti dei dannati ma partecipava alle pene soggettive.

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STANZA 8 – NELLO STUDIO

La stanza finale si apre su un grande lavoro di Samorì. È una crasi tra due dipinti di Simone Cantarini e Giorgio Vasari, raffiguranti una Resurrezione, nella parte bassa, e un’Immacolata Concezione, evocata nella parte alta, quella maggiormente compromessa e impressa dal processo creativo. La grande simmetria della corrosione è ottenuta, infatti, ripiegando la tela fresca su se stessa, lungo l’asse verticale, inserendo un ordine nel caos della macchia. Un elemento di materialità astratta nella forma, ma concreta nella genesi, si associa, accentuandola, all’immaterialità e concretezza degli episodi evocati. Matteo Fato presenta qui i suoi ultimilavori: sono florilegi cromatici di grande leggerezza e pregnanza insieme. In un processo di schedaturaanalogo alle tele monocrome della stanza precedente, queste tele hanno la funzione di riassumere la storia creativa dell’artista, ripercorrendone le linee tracciate nello spazio negli anni, e campionandone i colori. A posteriori, viene rievocato il processo creativo dell’opera, spesso già dichiarato in corso, come nella pulitura dei pennelli utilizzati, che affianca il ritratto di Flaiano in veranda o copre il libro ai piedi del cavalletto, nel salone. Intorno allo scoccare dei 40 – età vicinissima ad artisti e curatore – questa mostra è ben più che una bipersonale. È un’occasione di ricapitolazione, in cui cogliere analogie e ricerche, ripercorrere prassi e passi progettuali, colti alla partenza di nuove strade e sperimentazioni creative che già s’intravvedono.

PH MICHELE ALBERTO SERENI
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LE OPERE

Nicola Samorì, Miriade, 2018, olio su lino, Courtesy EIGEN+ART, Berlin/Leipzig

Matteo Fato, Florilegio (2), 2018 circa, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Matteo Fato, Florilegio (3), 2018 circa, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

All’ingresso: Matteo Fato, Senza titolo (libro), 2014, Catalogo di Ca’ dei Ricchi, incollato con preparazione a pigmento olio su libro, piedistallo in multistrato, MDF e specchio, Collezione privata

STANZA 7 – NELLA SALA DEL CAMINO

Le opere dei due artisti si affiancano, una sopra l’altra, intorno al camino che domina la stanza. Nero su nero, il dipinto di Samorì si lascia inquadrare dalla cornice marmorea, chiedendo al visitatore di chinarsi alla ricerca della figura, desunta da un ritratto fiammingo del Cinquecento. Sul camino non poteva che trovar posto un ritratto ufficiale, che Fato evoca lasciandone visibile l’armatura, ma celandone i tratti inconfondibili. Nella parete di fronte, al fianco di un suo affresco che evoca una figura femminile, Samorì incastona nella parete un profondo omaggio testoriano. Sopra l’immagine della Testa del Battista di Francesco Cairo appartenuta allo scrittore, una cascata di fili evoca le 73 Teste del Battista, realizzate da Testori con il sottile tratto della pennastilografica ed esposte al primo piano. A chiudere la stanza, nell’angolo accanto, un’opera composita di MatteoFato parte dalla suggestione del fuoco, iridescente perché fatuo, qui idealmente sottratto al camino centraleper essere ritratto sulla tela e ripetuto in controparte nell’incisione che l’affianca, a sua volta posta come unapala d’altare su un “paliotto” di monocromi molto cari all’artista.

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LE OPERE

Nicola Samorì, Manto minimo, 2011, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Vicenza

Matteo Fato, Nudo all’Antica (4), 2014, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Nicola Samorì, Babette, 2017, affresco su alveolam Courtesy Monitor, Roma/Lisbona

Nicola Samorì, Profeta, 2018, olio su rame, cornice antica, Courtesy Monitor, Roma/Lisbona

Matteo Fato, (will-o-the-wisp), 2015 / 2018, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, colla di coniglio e pigmento su lino, puntasecca su rame, cornice in MDF, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

Matteo Fato, Senza titolo (Nuvola II), 2015, olio su lino, cassa da trasporto
in multistrato e specchio, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo Venezia

STANZA 6 – NEL “GIARDINO D’INVERNO”

La stanza dipinta da Massimo Kaufmann nel 2014 – coinvolgendo diversi amici artisti a partecipare all’impresa – accoglie l’opera simbolo della mostra. Come due facce della stessa medaglia, i piccoli dipinti, posti al centro in un’intelaiatura lignea, raccontano due episodi analoghi e opposti insieme, tra storia e finzione. L’opera di Samorì prende spunto da una celebre foto che immortala due “Monuments men” nel momento del recupero di un Autoritratto di Rembrandt, occultato dai Nazisti. Fato racconta, invece, un ritrovamento nel segno del fake, e del grottesco: la grande testa è uno pseudo reperto romano emerso su una spiaggia americana, e proveniente dai vicini Studios di Hollywood, dove era stato creato per un colossal storico pochi anni prima.

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LE OPERE

Nicola Samorì, Salt, 2013, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Vicenza

Matteo Fato, Senza titolo, 2013, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Collezione privata

STANZA 5 – NELL’ALTRA CUCINA

Grazie all’intervento di Matteo Fato la stanza si trasforma completamente, diventando, di fatto, un articolato polittico in cui il visitatore è chiamato a entrare, partecipandovi. Si squaderna davanti a noi la mente dell’artista, permettendoci di scoprirne il processo creativo dell’opera. Sulle pareti troviamo, dipinti singolarmente, una persona anziana spaesata, una forchetta incomprensibilmente confitta in una trave e una pianta profumata. Tre elementi realmente colti nel luogo che ha ispirato l’opera, messi in dialogo. Un’unità che diventa fusione nel collage con la cornice di specchi e nel grande dipinto finale. Le immagini sono in qualche modo riassunte e “illuminate” dalla dominante di colore della sala, espressa nel monocromo verde, e da un flebile neon; si tratta di un elemento che per l’artista evoca in sé la terza dimensione – Fontana docet – ma che è anche un elemento di disturbo, che deconcentra dalla visione delle tele. È uno spaesamento necessario, voluto dall’artista, che invita alla ricerca di una percezione reale del proprio lavoro, grazie al superamento della visione frontale del dipinto.

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L’OPERA

Matteo Fato, Senza titolo con Collage (impersonale), 2012 / 2016, olio su lino, colla di coniglio e pigmento su lino, casse da trasporto in multistrato, scultura in neon, collage su carta, cornice in multistrato e specchio 
Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

STANZA 4 – AI PIEDI DELLA SCALA

Due piccoli punti di unità e dissimiglianza si affiancano anche nella parete di fronte alla grande scala. Una presenza discreta, significativamente accanto alla grande libreria dedicata ai maestri del passato. A destra, il volto della persona amata si concentra in un filo sottile ma tenace, a sinistra, il segno vorticoso di Fato preannuncia l’esplosione di colore che attende il visitatore nella seconda parte della casa.

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LE OPERE

Nicola Samorì, Senza titolo, 2017, olio su rame, AmC Collezione Coppola, Vicenza, Courtesy EIGEN+ART, Berlino/Leipzig

Matteo Fato, Florilegio (6), 2018 circa, olio su tela, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

STANZA 3 – IN VERANDA

Una grande scultura in legno di Samorì domina il centro della stanza in stretto rapporto con il giardino di Casa Testori. Si tratta di una scultura che simula le forme della natura, ricreandole in modo artificiale per comporre una figura antropomorfa, visibile ma irriconoscibile. La testa, realizzata con un legno corroso dalle onde e ritrovato sulla spiaggia, guarda il dittico di Matteo Fato dedicato a Ennio Flaiano, ritratto con i lineamenti dolci di un tessuto caro all’artista che ne ha rimodulato le forme, in un atto di dolce affinità, nata dalla lettura del suo Autobiografia del Blu di Prussia.

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LE OPERE

Nicola Samorì, Dell’arpia, 2017, legno di noce e pioppo

Matteo Fato, Autoritratto (del) Blu di Prussia, 2017, olio su lino, olio su tavola, cassa da tra- sporto in multistrato, AmC Collezione Coppola, Vicenza, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia

STANZA 2 – IN SALONE

Sul camino, un busto di sapore neoclassico è realizzato da Samorì in onice, scolpendo un blocco fortemente compromesso dalle impurità naturali della pietra. La scultura è costruita, così, togliendo parte della materia che cresceva intorno a un vuoto. Di fronte, con una serie di piccoli quadri, l’artista presenta alcune variazioni intorno a due volti del pittore Hans Memling, tormentati dalla punta di un bulino, dal cammino di una cimice sul colore ancora fresco o parzialmente celati dalla sottrazione della pellicola pittorica, fino a evocare la presenza di un burqa. Ma il salone è il luogo di un omaggio a Giovanni Testori e non solo grazie al dipinto su rame, tratto da uno dei due David di Tanzio da Varallo, autore riscoperto e prediletto dal padrone di casa. Entra in scena, infatti, il secondo protagonista della mostra: Matteo Fato realizza un triplo ritratto di Testori e della sua Biblioteca, costruito intorno al cavalletto appartenuto allo scrittore-pittore. Il materiale ligneo, sempre protagonista dell’opera di Fato, qui crea un blocco solo apparentemente unitario, a evocare le pile di libri che attorniavano Testori, e posto a reggerne uno, completamente trasformato in pittura. In una fusione totale tra colore e parola, un altro libro appartenuto a Testori viene così premuto sul ritratto ancora fresco, tanto da assorbirne i lineamenti del volto posto accanto, in un processo che evoca una sinopia, la Sindone o il lino della Veronica.

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LE OPERE

Nicola Samorì, Onichina (madremacchia), 2017/18, Onice messicano
Nicola Samorì, Testa con lacrima, 2017, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Courtesy Monitor, Roma/Lisbona
Nicola Samorì, Madonna dello zucchero, 2016, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Vicenza, Courtesy Monitor, Roma/Lisbona
Nicola Samorì, Traspirazione della Vergine, 2016, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Vicenza, Courtesy Monitor, Roma/Lisbona
Nicola Samorì, Pestante, 2018, olio su rame, Courtesy Monitor, Roma/ Lisbona

Matteo Fato, Il fatalista senza padrone (1923 – 1993), 2018, olio su lino, olio su libro incollato con preparazione a pigmento, cassa da trasporto in multistrato, olio su libro incollato con preparazione a pigmento, piedistallo in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia