Author: Alessandro Frangi

LA CASA INTORNO AL VASO

Anna Caruso
A cura di Davide Dall’Ombra
Casa Testori
21 Giugno – 10 Novembre 2019

I PIANI FORTI
Davide Dall’Ombra

“I miei dipinti si basano su una distinzione tra spazio illustrato e spazio pittorico astratto. Il primo è mimetico e referenziale, il secondo è trasformativo, completamente incarnato dalle dinamiche pittoriche, perché l’astrazione formalista non si sforza di raggiungere un soggetto rappresentato e rivendica lo spazio che vorrebbe abitare. Lo so. È la più autoreferenziale delle forme pittoriche possibili, ma è (anche) la mia”. 

La mostra allestita da Anna Caruso al primo piano di Casa Testori è articolata in una serie di carte e installazioni, wall drawings immersivi, dipinti inediti, quasi totalmente realizzati per l’occasione, sperimentando tecniche nuove e lasciandosi interrogare dall’idea di appartenenza e strappo, caratteristiche di una figura come Giovanni Testori e così ben rintracciabili tra le pareti della sua casa, oggi un hub culturale giunto al decimo anno di sperimentazioni, anche nell’ambito della giovane arte contemporanea.

Nella sua personale alla Thomas Masters Gallery di Chicago dello scorso gennaio, Anna aveva aggiunto un tassello alla sua ricerca sulla percezione umana della realtà, interrogandosi sulla visione soggettiva del tempo e sulla sinestesia che condizionano la nostra memoria. 

La realtà filtrata e, in un certo senso cancellata, sconvolta e ricomposta, dalla nostra memoria è, infatti, al centro della sua ricerca, visibile in dipinti segnati dalla striatura geometrica che crea piani e spazi che si moltiplicano all’infinito. In un ritmo che fonde elementi di flora, fauna e architettura naturale e artificiale, l’artista ci obbliga a planare su questi piani, in un moto che, dagli occhi della percezione, non può che portare all’inseguimento di emozioni e ricordi. 
I nostri. 

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LA MOSTRA

Salendo i gradini dello scalone, ci accoglie l’opera che dà il titolo alla mostra, La casa intorno al vaso, un vaso evocato e non rappresentato, quale simbolo della casa stessa, che è capace di abbracciare il vuoto dell’esistenza, anzi, proprio come il vaso, trae la propria natura e funzione dal circondare un’assenza.
Nella grande stanza da letto, una tela di oltre quattro metri apre la parete di fondo verso le montagne rocciose e tre piani sovrapposti di PVC trasparente dilatano i piani inclinati della prospettiva immaginaria dell’artista e dell’osservatore. Sulle pareti della camera successiva si fronteggiano la celebre Crocifissione del 1949, dipinta da Testori, e il personale omaggio dell’artista: un’opera di pari formato e, probabilmente, soggetto, per quanto possibile alla sincerità e alle contaminazioni, personali e del nostro tempo che siano.

Di fronte alla grande libreria si schierano quattro ritratti di pari formato. Sono Giovanni Testori e sua madre, l’artista e suo padre. Affetti e tensioni, inevitabilmente costruttive e distruttive insieme, si intrecciano in un profondo dialogo dell’imprevisto, tra storia culturale e degli affetti. 
Nella camera di Testori da ragazzo, il tema del nudo presente alle pareti – un tempo per le tele attribuite a Géricault e Courbet, oggi nel lavoro a esse dedicato da Andrea Mastrovito (2011) – ispira alla Caruso un lavoro intimo, figlio dell’installazione presentata al Teatro Elfo Puccini lo scorso anno, in cui una nuvola di centinaia di disegni accarezza il visitatore. 

La piccola stanza finale accoglie mondi che si allargano ancora una volta. Anna dipinge tutte le pareti con un grande wall drawing e il pavimento coperto da una tela, ma la pittura non si dà confini, scalando i gradini che portano al solaio e interagendo con la grande conifera del giardino, che si staglia oltre la finestra.

Scarica qui il foglio di sala.

L’ARTISTA

Anna Caruso nasce a Cernusco sul Naviglio (MI) nel 1980. Nel 2004 si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bergamo. Vive e lavora a Milano. Lavora con gallerie italiane ed estere, tra cui lo Studio d’Arte Cannaviello di Milano, Anna Marra Contemporanea di Roma e la Thomas Masters Gallery di Chicago (USA).

TRAGÖDIE

Marica Fasoli e Silvia Argiolas
A cura di Ivan Quaroni
Casa Testori
21 Giugno – 8 Settembre 2019

TRAGÖDIE. PREMESSA
Ivan Quaroni 

Nella barbarie linguistica della comunicazione odierna – massmediatica direbbe qualcuno – la filosofia è stata oggetto di numerosi processi di liofilizzazione a uso e consumo del pubblico. Tra i concetti che questo tipo di pubblicistica ha consegnato alla mediocrità del vocabolario corrente, vi sono due aggettivi sostantivati di estrema rilevanza: dionisiaco apollineo.
Sono termini oggi grossolanamente usati per designare due aspetti o attitudini del comportamento umano. Il primo, di carattere orgiastico, attiene i sentimenti di esaltazione e furore della sfera istintiva e irrazionale; il secondo, di matrice solare, introduce le idee di ordine e armonia che sostanziano il pensiero logico e razionale. Si riferiscono a due divinità della religione dei greci antichi: Dioniso, il Dio arcaico della vegetazione, incarnazione della linfa vitale, ibrida e multiforme, che alimenta le esplosioni mistiche e sensuali, secondo un principio d’indistinzione, o di primaria comunione tra uomo e natura; Apollo, divinità dalle qualità cumulative, auriga solare, protettore di pastori e greggi, patrono della musica, della poesia, della medicina e della mantica, acuto nel giudizio, oscuro nei vaticini. 
Dionisiaco apollineo prendono forma nella mente di un giovane filologo tedesco rintanato in un angolo delle Alpi, durante la guerra franco-prussiana del 1870-71, “mentre i tuoni della battaglia di Wörth trascorrevano sull’Europa”. Friedrich Nietzsche dà alle stampe la sua opera prima, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ovvero grecità e pessimismo, nel 1872, esordendo con uno sbalorditivo incipit: “Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione, che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco”. 
Sarà, infatti, la composizione dei due principi che fanno capo alle opposte origini e finalità delle due divinità, sempre in aperto contrasto e in “eccitazione reciproca”, a produrre finalmente l’opera d’arte, inizialmente nella particolare forma della tragedia attica. Tuttavia, quattordici anni dopo la pubblicazione dello scritto, nel suo Tentativo di autocritica (1886), Nietzsche applica quelle prime e visionarie intuizioni estensivamente a tutta l’arte, indicando in essa – e non nella morale – la vera attività metafisica dell’uomo. 
La Nascita della tragedia s’innesta, a tratti come una sorta di sovrascrittura, sulla concezione pessimistica de Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer (1818). Il dionisiaco vi s’inserisce come una forma di totale identificazione col dolore originario, come uno stato che subentra alla rottura del principio d’individuazione e produce una mistica, erotica congiunzione con la natura, un rapimento estatico che l’autore della Tragedia paragona all’ebbrezza provocata dalle bevande narcotiche o dal “poderoso avvicinarsi della primavera”.
Laddove Schopenhauer avverte il terribile orrore che afferra l’uomo quando perde fiducia nelle forme di conoscenza dell’apparenza, Nietzsche intravede una possibilità di riconciliazione con la natura. Proprio qui si consuma il distacco dal pensiero di Schopenhauer. Nietzsche si domanda, infatti, se il pessimismo – ossia la coscienza che il mondo e la vita non possono dare nessuna vera soddisfazione, nessuna gioia permanente – sia necessariamente un segno di declino, di decadenza o se possa esistere un pessimismo della forza, “un’inclinazione intellettuale per ciò che nell’esistenza è duro, raccapricciante, malvagio e problematico, in conseguenza di un benessere, di una salute straripante, di una pienezza dell’esistenza”.

TRAGÖDIE. DUE EVIDENZE APPARENTEMENTE ESEMPLIFICATIVE
Ivan Quaroni 

Ora, la succitata premessa potrebbe fornire una chiave interpretativa delle ricerche di Silvia Argiolas e Marica Fasoli. Si potrebbero, cioè, applicare le categorie contenute nell’opera prima di Nietzsche per penetrare a fondo le loro differenti attitudini espressive.
Nella pittura di Argiolas domina lo spirito dionisiaco, l’attrazione per il titanico e il barbarico, l’interesse per il doloroso fondo esistenziale e per la sua controparte panica e sensuale. C’è, nei suoi racconti visivi, l’espressione di uno sguardo coraggioso, intento a scrutare gli accessi di follia e i deliqui erotici, le estasi e le agonie del magma esperienziale, ma anche la banale quotidianità di esistenze straordinarie o marginali.
Placido e distillato è, invece, lo sguardo di Marica Fasoli, governato dalla geometria aurea e trasognata dell’apollineo. La sua indagine pittorica decanta il mondo in forme astratte, filtrandolo attraverso una pletora di diagrammi che simbolizzano la realtà fenomenica, senza mai rappresentarla direttamente. L’impeto mimetico, che da sempre costituisce la marca stilistica del suo lavoro, è indirizzato verso la pellicola dell’immagine, insieme superficie testurale e concettuale. 
Quella di Argiolas è una pittura scaturita da un abbandono vigile, che riceve e restituisce, come una sorta di documento poetico, l’urto dell’esperienza vitale. Quella di Fasoli è una pittura stillata e meditata, che osserva la vita da un punto di vista remoto per ricavarne un senso ulteriore, radiografandone la struttura per trasmetterla all’osservatore in forme platoniche e ideali, ma dotate di una potente capacità seduttiva. 

Tragödie fa parte di Pocket Pair, un ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Il titolo del ciclo riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.

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La Biblioteca d’arte di Giovanni Testori

La Biblioteca Testori comprende 17.800 titoli, di cui 15.000 volumi d’arte antica e del Novecento, 2.100 volumi di letteratura e saggistica, cui si aggiungono i 700 libri a corredo dell’Archivio: volumi scritti da Testori, contenenti un suo intervento o dedicati alla sua opera.

La sezione dedicata all’arte rispecchia nel suo contenuto e ordinamento le indicazioni date dallo stesso Giovanni Testori (1923-1993), scrittore e critico d’arte. La sezione più ampia comprende le monografie di artisti del Novecento, con numerosi cataloghi prodotti da gallerie private e istituzioni nazionali e internazionali. 
Una sezione di monografie di artisti operanti dal 1200 al 1700 è accompagnata da alcune sezioni tematiche, dedicate, ad esempio, alla Natura morta, al Disegno, all’Incisione, alla Scultura, ai Musei o alle Regioni Italiane. All’ampia sezione di riviste, enciclopedie e raccolte d’arte, si affianca anche una specifica raccolta di rari volumi dedicati all’arte africana e precolombiana. 
La Biblioteca permette di cogliere gli interessi del critico che, in alcuni volumi, include proprie glosse manoscritte o appone firme e timbri di proprietà. Sono presenti volumi con dediche autografe dell’autore e alcune edizioni rare d’artista, in alcuni casi pezzi unici, completamente eseguiti e dipinti a mano. 
La Biblioteca è aperta a tutti, in particolare a studenti, studiosi e ricercatori, e si offre come un punto di riferimento per il Nord Milano, che ha la possibilità di accedere a un ampio catalogo d’arte, unico per il territorio.

La Biblioteca Giovanni Testori è conservata presso Casa Testori, a Novate Milanese, ed è aperta al pubblico. I volumi sono disponibili per la consultazione in sede ed esclusi dal prestito.

La catalogazione della Biblioteca, affidata alla dott.ssa Alessia Gianforti, è in fase di ultimazione e viene costantemente riversata nel Catalogo OPAC SBN del Polo Regionale della Lombardia e nell’OPAC SBN. Catalogo del servizio Bibliotecario Nazionale:
OPAC Polo Regionale
OPAC Servizio Pubblico Nazionale

Consultazione dei volumi
Coloro che vorranno consultare i volumi della Biblioteca avranno a disposizione una postazione loro dedicata e potranno richiedere riproduzioni, a norma di legge.

Dove
Casa Testori
Largo Angelo Testori, 13
20026 Novate Milanese (MI) 
Orario di apertura al pubblico               
Mar-Ven 10.00-13.00; 15.00-18.00
Informazioni
Email biblioteca@associazionetestori.it
Telefono: + 02.36.58.68.77

Responsabile della Biblioteca
Prof. Davide Dall’Ombra 
davidedallombra@associazionetestori.it

QUI DORMIVANO I MONACI

Ambra Castagnetti e Lori Lako
Abbazia di Mirasole
2 Giugno 2019

All’interno di Appocundria, progetto ideato da Marta Cereda per Casa Testori che coinvolge una serie di artisti stranieri residenti in Italia, un capitolo speciale è stato ospitato domenica 2 giugno 2019 presso Abbazia di Mirasole, alle porte di Milano.     
Un luogo ricco di storia, realizzato nella prima metà del XIII secolo, ora affidato alla gestione di Fondazione Progetto Arca Onlus e Progetto Mirasole Impresa Sociale.        
Proprio Abbazia di Mirasole ha ospitato infatti una residenza d’artista, ideata grazie alla collaborazione con Adrian Paci.   
Due giovani artiste, Ambra Castagnetti e Lori Lako, nate all’estero e operanti in Italia, hanno trascorso due settimane nei suggestivi ambienti del complesso abbaziale duecentesco, ora luogo di accoglienza di famiglie in momentanea emergenza abitativa e di nuclei mamma-bambino che vivono un disagio sociale, abitativo e lavorativo.

Le artiste hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con chi oggi vive questi luoghi e di realizzare un progetto che è stato presentato al pubblico domenica 2 giugno 2019.     
Una riflessione sull’idea di casa in uno spazio che da sempre e in modo diverso nel tempo è stato casa, un rifugio temporaneo sia per le famiglie in difficoltà che vi trovano riparo, sia per queste artiste che hanno la possibilità di analizzare il senso di abitare e di accogliere.
Qui dormivano i monaci è dunque una riflessione sulla nostalgia, nata dal dialogo tra le due artiste in residenza, che si traduce in un progetto unico per tentare di analizzare le varie sfaccettature della nostalgia e i suoi oggetti, fino ad arrivare all’idea di nostalgia della nostalgia stessa.

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Si ringrazia per il sostegno Luciano Formica.

Ufficio stampa Casa Testori
Maria Grazia Vernuccio – mariagrazia.vernuccio@mgvcommunication.it 
tel. +39 0222198663 mob. +39 3351282864

Gli Angeli dello sterminio

Un nuovo Testori nell’Universale Feltrinelli: sono stati ripubblicati “Gli Angeli dello sterminio”, uscito nel 1992. L’edizione è arricchita da un’introduzione di Walter Siti, “L’Apocalisse e il magone”. Qui potete leggerne le prime righe.

«C’è qualcosa di consolatorio nelle visioni apocalittiche: criticare la Storia punto per punto non concede pace, mentre immaginarla travolta in una universale e definitiva resa dei conti pone termine alle inquietudini -è finita nel peggiore (o nel migliore) dei modi, ma insomma è finita. L’ultimo Testori si abbandona a questa facilità, cerca continuamente le vette e gli abissi; ora è vero che non si può precipitare da un marciapiede, che è vero che se uno si butta continuamente nei burroni, be’, vien voglia di pensare che quei burroni siano finti. Troppa sublimità, troppi deliri – e quel balbettio informe, quella lingua inventata e teatrale, quelle storie che non decollano; non nego che mi irrita, fiuto la furberia; su, gli direi, racconta quel che devi raccontare e smettila coi giochini. Ma l’irritazione non mi soddisfa, torno a leggere e rileggere il testo: dentro c’è una necessità sconosciuta agli sperimentalismi un tanto al chilo, forse Testori mi aspetta oltre la barriera. Per essere apocalittici bisogna averne il diritto, e magari lui ce l’ha»

PEOPLE OF SAN BERILLO & SENEGAL/SICILY

IL PROGETTO

Il progetto fotografico People of San Berillo di Giovanni Hänninen e la serie di corti video-documentari Senegal/Sicily creata da Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen sono due progetti nati con l’obiettivo comune di affrontare i diversi aspetti della migrazione clandestina nella società africana e in quella occidentale.
Nella serie fotografica, l’obiettivo di Hänninen restituisce dignità ai migranti – spesso considerati solo come numeri e flussi – con un ritratto collettivo della società da cui provengono. L’ispirazione di questo progetto nasce dal lavoro del fotografo tedesco August Sander (People of the Twentieth Century) che negli anni Venti realizzò una serie di ritratti a persone comuni per un catalogo dei ruoli della società tedesca poco prima dell’ascesa del nazismo.
Senegal/Sicily è una serie di corti video-documentari sul tema della migrazione tra il Senegal e la Sicilia, nata dalla collaborazione di Alberto Amoretti e Giovanni Hänninen con The Josef and Anni Albers Foundation e la Ong Le Korsa. Lo scopo con cui è stata realizzata è duplice: creare consapevolezza in Europa e in America sui pensieri, i sogni e le esperienze dei migranti e delle loro famiglie rimaste in Senegal e, allo stesso tempo, portare ai giovani della regione di Tambacounda un resoconto sincero dei rischi del viaggio e di cosa accade in Europa alle persone che sono riuscite ad arrivare.
I corti Senegal/Sicily hanno trovato il loro primo pubblico anche con le proiezioni itineranti fra le scuole e i villaggi di Tambacounda. Massamba, dello staff della Ong Le Korsa, periodicamente raggiunge le aree più remote della regione, portando con sé un proiettore per allestire cinema estemporanei e portare testimonianze e informazioni su cosa sia la migrazione.
Il primo documentario della serie che è stato proiettato in piazza Selinunte è un dialogo tra una madre, Aisadou, che parla dal suo villaggio nella parte orientale del Senegal, e suo figlio Alpha, in Sicilia, che ha lasciato la casa per trovare un futuro migliore. Aisadou vive a Sinthian, un villaggio nella regione di Tambacounda, uno dei più poveri del Senegal. Qui è dove la Fondazione Josef e Anni Albers ha costruito Thread, un centro culturale e residenza di artisti. Alpha vive a Mazzarino, una piccola città nel centro della Sicilia. Madre e figlio parlano delle loro speranze e dei loro rimpianti; Aisadou parla delle preoccupazioni di ogni madre e Alpha delle difficoltà che ha dovuto affrontare.

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L’EVENTO

Il cortometraggio e la mostra fotografica di Giovanni Hänninen e Alberto Amoretti sono stati ospitati in un appartamento ALER in Piazzale Selinunte a Milano e nelle vetrine delle associazioni del quartiere, col fine di riflettere sull’esperienza di casa vissuta in Europa e Africa, in collaborazione con la Josef and Anni Albers Foundation. L’evento è stato realizzato in occasione della mostra Appocundria, allestita a Casa Testori a cura di Marta Cereda.

Le amanti del Testori

Di e con Gianna Coletti

Al pianoforte Giuseppe di Benedetto
Regia di Roberto Recchia
Fotografia e grafica Sergio Bertani
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Con questo spettacolo di teatro canzone, Gianna Coletti porta in scena tre figure femminili tratte da “I segreti di Milano” di Giovanni Testori: La Maria Brasca, L’Arialda, e La Gilda del Mac Mahon.

Donne semplici, dalla parlata schietta, tagliente, che urlano la loro voglia d’amore travolgente. Donne costantemente in bilico tra drammi e ironia. Donne degli anni Cinquanta, eppure così vicine a noi.
Le canzoni di Fiorenzo Carpi, Gino Negri, cuciono le storie delle nostre amanti, sullo sfondo di una Milano ancora circondata dai prati, le famose “camporelle”, dove si consumano passioni dense di tormento ed estasi.
Passioni da cui scaturisce la Vita.
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Venerdì 24 maggio – Ore 20:30
Sabato 25 maggio – Ore 19:30

SPAZIO BANTERLE
Largo Corsia dei Servi, 4
Milano

Prezzi biglietti:
12€ intero
7€ ridotto (under 35, over 65, convenzionati e studenti di teatro)

Il passaggio di Enea – Contesto Ucraino

Ha inaugurato martedì 14 maggio allo Yermilov Centre di Kharkiv (Ucraina)la versione riveduta e adattata al contesto locale della mostra “Il passaggio di Enea. Artisti di oggi alle prese con il passato”, che Casa Testori aveva portato al Meeting Rimini del 2017.

L’esposizione è curata da Borys Filonenko e Luca Fiore. Tra gli artisti del progetto originale: Michelangelo Antonioni, Emilio Isgrò, Adrian Paci, Giovanni Frangi e Julia Krahn. Tra gli ucraini: Pavlo Makov, Igor Yanovych, Andrij Sagajdakovskyj, Vladyslav Krasnoschok, Yvhen Nikiforov, Nikolay Kolomiets e il collettivo Open Group, che quest’anno cura il Padiglione ucraino alla Biennale di Venezia.

La mostra, che chiuderà il 14 giugno, è l’evento centrale del DanteFest, l’annuale manifestazione socio-culturale promossa dalla Ong Emmaus e dal Centro di cultura europea Dante che si terrà a Kharkiv dal 31 maggio al 2 giugno. In quell’occasione ci saranno gli interventi di Julia Krahn, Luca Fiore e Giuseppe e Giovanni Frangi.

Arte a Piena Pagina

Domenica 7 aprile 2019 ore 11,30
Teatro Franco Parenti – Sala Cafè Rouge
Via Pier Lombardo, 14 – Milano

Lezione
L’ARTE A PIENA PAGINA
Gli scritti d’arte di Giovanni Testori:
da Gaudenzio Ferrari a Ennio Morlotti

A cura di Davide Dall’Ombra
Legge e interpreta Salvo Germano

Rivivono al Teatro Franco Parenti alcuni capitoli fondamentali dalle pagine d’arte di Giovanni Testori, in cui ben si riconosce la forza plastica di una scrittura che ha nell’occhio(come scrisse Anna Banti agli inizi della carriera dello scrittore lombardo) il suo uncino, il suo punto di cattura.
Con l’introduzione e la presentazione di Davide Dall’Ombra, Salvo Germano legge e interpreta, domenica 7 aprile alle 11,30, alcuni brani dedicati a Gaudenzio Ferrari (1475-1546), Giuseppe Ghislandi detto Fra’ Galgario(1655-1743) ed Ennio Morlotti (1910-1992).
Ci sono in Testori delle migrazioni fondamentali dalla storia dell’arte alla letteratura, a cominciare dal secolo della peste, il ‘600, che è il secolo della sua ispirazione.
Il contatto violento con l’arte figurativa ha determinato un condensato di esperienze formali, ma anche esistenziali, tali da divenire fonte primaria del suo modo di lavorare. 
Testori mescola le carte tra arte, letteratura e vita, e riesce a sentire l’impatto verso l’opera d’arte come questione di vita e di morte, come era solito dire il suo maestro Roberto Longhi

Prenotazioni:comitatodigestione@premiogiovannitestori.org 
Oppure telefonare o scrivere alla biglietteria del teatro: 
02 59995206 | biglietteria@teatrofrancoparenti.it

COME COSTRUIRE UNA DIREZIONE

Andrea Bianconi
A cura di Giuseppe Frangi
Casa Circondariale “Francesco Di Cataldo”
San Vittore, Milano
3 Aprile e 9 Maggio 2019

ANDREA BIANCONI A SAN VITTORE
Giuseppe Frangi

L’artista è presente: il segno distintivo di quella forma artistica che è la performance è innanzitutto questo. L’artista entra in gioco con il suo corpo per ritrovare un’intensità di rapporto con il mondo che lo circonda, che l’opera in sé sembra non riuscire più a garantire. La performance insomma è quella forma semplice ed estrema attraverso la quale l’artista dice al mondo: “io ci sono”. Il senso di questo “esserci” è quello di essere sempre elemento destabilizzante, perché introduce altre logiche e altri punti di vista. Con la performance l’artista si mette in gioco, senza mediazioni; soprattutto è chiamato a prove di una sincerità radicale, che scuote e crea corti circuiti.
La sincerità è proprio una delle qualità che contraddistinguono Andrea Bianconi; un artista che gioca sempre allo scoperto anche quando lavora su medium tradizionali ma che trova nella performance il suo terreno d’espressione più congeniale. Di performance Bianconi, vicentino, nato nel 1974, ne ha fatte in ogni angolo del mondo, da Mosca a Shanghai, da Venezia a New York. Ogni volta realizza incursioni da vero corsaro, seguendo dei copioni imprevedibili, che divertono, a volte commuovono ma che prendono sempre in contropiede. Nelle performance Bianconi si trasforma ogni colta in un personaggio da fiaba, in un eroe puro e scapestrato che ci incanta con i suoi strani riti e i suoi bizzarri tormentoni.
Da tempo Andrea sognava di poter fare una performance in un luogo sensibile come il carcere. Credo che la ragione sia da trovare in un dato molto semplice: la performance per Bianconi è innanzitutto un’esperienza di libertà, perché è uno spazio di azione che non obbedisce ad una logica e tanto meno ad una regola. Uno spazio in cui l’artista non è chiamato alla resa dei conti con un “perché”. La libertà poi è garantita dal fatto che la performance è una volta per sempre; una volta accaduta si smaterializza e vive solo nella documentazione di ciò che è accaduto. Questo significa che non c’è un oggetto da vendere e quindi la performance è anche libera dalle regole imposte dal mercato. Portare quindi un’esperienza di così profonda libertà in un luogo come il Panopticon da cui si dipartono i raggi di San Vittore, com’è facile intuire è un fatto significativo in sé. È una verifica portata in prima persona della libertà come fattore irriducibile della natura umana. Bianconi poi aggiunge altri elementi che rafforzano questa dimensione. Ci sono le gabbie attorno alle quali la performance avviene: di per sé sono un simbolo oppressivo. La gabbia è evidentemente emblema di una condizione di reclusione e anche sintomo di una fragilità esistenziale. La gabbia da una parte ci separa al mondo, ma dall’altra anche ci protegge dal mondo. Bianconi con il suo intervento produce un corto circuito e rimette in discussione queste istintive certezze. Le sue gabbie che volano appese nello spazio, con gli sportelli regolarmente aperti, non solo vengono svuotate di tutto il loro portato di negatività, ma sono chiamate a partecipare ad un rituale imprevisto e bizzarro, che le trasforma in creature allegramente fuori posto e fuori funzione. Tant’è vero che al centro del Panopticon, sul podio dove la domenica sta il sacerdote per la messa, Bianconi ha voluto posizionare una scultura che altro non è che una gabbia sventrata e “aperta” come se si fosse trasformata nella corolla di un fiore. La gabbia, sotto l’azione del mago Bianconi, cambia in ogni senso la propria natura. La performance così, con i suoi tormentoni verbali, diventa la festa, il rito di ringraziamento per questa trasfigurazione.
L’altro motivo che contraddistingue la presenza di Bianconi a San Vittore è perfettamente connesso con quanto sin qui abbiamo descritto. La freccia è segno tautologico: non occorre assegnarle un significato. Il senso della freccia è tutto racchiuso nei semplici tratti che la costituiscono e che esprimono un andare, un muoversi, un uscire. La freccia è l’antitesi dello status quo. È un istinto che guarda oltre. È espressione franca di un’aspettativa. È voglia di cambiamento. È tentativo di darsi una direzione. Le frecce di Bianconi, che punteggiano le pareti colorate di Marco Casentini, nel corridoio d’ingresso, portano con sé tutti questi possibili messaggi.
La presenza di Andrea Bianconi a San Vittore è frutto di un progetto messo a punto con Casa Testori. È cosa che mi pare importante sottolineare perché in questo modo si rinnova una sensibilità che aveva contraddistinto Giovanni Testori, come persone e come intellettuale. Più volte Testori era venuto a San Vittore e aveva sollecitato un’attenzione diversa da parte della città. Essere qui, portando un gesto artistico che parla di libertà e di desiderio di cambiamento, è un modo per rinnovare quella sua convinzione che la cultura per essere vera deve sempre mischiarsi con la vita.

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LA PERFORMANCE

Come costruire una direzione, elaborata da Andrea Bianconi con la produzione di Casa Testori, è una performance messa in scena durante l’ArtWeek milanese del 2019 nel carcere di San Vittore, all’interno del celebre Panopticon da cui si dipartono i sei raggi della struttura penitenziaria milanese. 
Andrea Bianconi ha allestito 24 gabbie – uno dei simboli della poetica dell’artista – che sono state posizionate davanti ai cancelli dei sei raggi. Le gabbie, ovviamente, sono un riflesso speculare della condizione carceraria, ma l’azione di Bianconi ha voluto ribaltarne il segno e dare loro un connotato liberatorio: erano le gabbie dei nostri desideri, le cui porte sono dunque sempre aperte. 
Sul podio centrale del Panopticon, dove la domenica si celebra la Santa Messa, Bianconi aveva posizionato una grande scultura realizzata per l’occasione: una gabbia le cui pareti sono state aperte quasi a formare un fiore e, simbolicamente, le ali, altro simbolo dell’arte di Bianconi. Alla performance ha partecipato la compagnia del CETEC Dentro/Fuori San Vittore, di cui fanno parte alcune detenute. Con loro Bianconi ha intonato un motivo incalzante, ossessivo e insieme utopico, ripetendo centinaia di volte le parole “Fantastic Planet” seguendo uno spartito stabilito dall’artista. “Fantastic Planet”, perché, come l’artista spiega, è figlio dell’immaginazione di ciascuno. E l’immaginazione è un fattore intrinsecamente libero, non “carcerabile”. 

Quella a San Vittore è stata una performance profondamente vissuta dall’artista perché – diversamente da quanto accaduto in precedenza – non era da solo. Al suo fianco 10 detenute, attrici speciali che hanno canato e ripetuto con lui, in modo quasi ossessivo, il claim “Fantastic Planet”, perché ogni persona può sempre immaginare il suo mondo fantastico. 

Se la gabbia è il luogo di un desiderio da liberare, la freccia diventa il simbolo di questo desiderio che prende il volo. Per questo la performance si è conclusa con il canto di una filastrocca scritta da Bianconi sul motivo di una popolare canzone per bambini e intitolata proprio La Freccia. La filastrocca è stata prima cantata dall’artista, da solo, poi ripetuta insieme alle detenute.

«Sono entusiasta di fare questa esperienza, San Vittore è un luogo particolare, delicato e la mia performance vuole affermare il messaggio che per tutti c’è una possibilità, una prospettiva, un varco attraverso il quale liberare i desideri» ha affermato Andrea Bianconi.

«L’arte portata dentro le mura di un carcere può essere esperienza di grande valore, se, attraverso la bellezza e l’imprevedibilità delle proposte, riesce a stimolare percorsi positivi di consapevolezza e di cambiamento». Queste le parole di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di San Vittore, che racchiudono il senso profondo della performance alla quale, non a caso, Andrea Bianconi ha voluto dare il titolo quasi programmatico di Come costruire una direzione.

Il progetto includeva anche una mostra di 50 disegni esposti per un mese nel lungo corridoio che porta alla rotonda del Panopticon, aventi come motivo dominante proprio la freccia. 
La freccia, nella grammatica di Bianconi, è una sorta di felice ossessione, che dà forma all’insopprimibile bisogno di desiderare. La freccia è energia liberante, ma è anche direzione: quindi indica un percorso possibile, che è unico e irripetibile per ciascuno, un segno positivo portato dentro un ambiente segnato per sua natura da dinamiche opposte. Ma come spiega Bianconi «l’arte ha in sé sempre un’apertura al futuro anche quando veicola messaggi drammatici. Per quello che mi concerne, il titolo della mostra dà un’indicazione chiara, che sento istintivamente mia: tendo a guardare al bene e non al male. Per me l’arte è un fatto di coraggio che stimola altro coraggio nelle persone».

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