COME COSTRUIRE UNA DIREZIONE

Andrea Bianconi
A cura di Giuseppe Frangi
Casa Circondariale “Francesco Di Cataldo”
San Vittore, Milano
3 Aprile e 9 Maggio 2019

ANDREA BIANCONI A SAN VITTORE
Giuseppe Frangi

L’artista è presente: il segno distintivo di quella forma artistica che è la performance è innanzitutto questo. L’artista entra in gioco con il suo corpo per ritrovare un’intensità di rapporto con il mondo che lo circonda, che l’opera in sé sembra non riuscire più a garantire. La performance insomma è quella forma semplice ed estrema attraverso la quale l’artista dice al mondo: “io ci sono”. Il senso di questo “esserci” è quello di essere sempre elemento destabilizzante, perché introduce altre logiche e altri punti di vista. Con la performance l’artista si mette in gioco, senza mediazioni; soprattutto è chiamato a prove di una sincerità radicale, che scuote e crea corti circuiti.
La sincerità è proprio una delle qualità che contraddistinguono Andrea Bianconi; un artista che gioca sempre allo scoperto anche quando lavora su medium tradizionali ma che trova nella performance il suo terreno d’espressione più congeniale. Di performance Bianconi, vicentino, nato nel 1974, ne ha fatte in ogni angolo del mondo, da Mosca a Shanghai, da Venezia a New York. Ogni volta realizza incursioni da vero corsaro, seguendo dei copioni imprevedibili, che divertono, a volte commuovono ma che prendono sempre in contropiede. Nelle performance Bianconi si trasforma ogni colta in un personaggio da fiaba, in un eroe puro e scapestrato che ci incanta con i suoi strani riti e i suoi bizzarri tormentoni.
Da tempo Andrea sognava di poter fare una performance in un luogo sensibile come il carcere. Credo che la ragione sia da trovare in un dato molto semplice: la performance per Bianconi è innanzitutto un’esperienza di libertà, perché è uno spazio di azione che non obbedisce ad una logica e tanto meno ad una regola. Uno spazio in cui l’artista non è chiamato alla resa dei conti con un “perché”. La libertà poi è garantita dal fatto che la performance è una volta per sempre; una volta accaduta si smaterializza e vive solo nella documentazione di ciò che è accaduto. Questo significa che non c’è un oggetto da vendere e quindi la performance è anche libera dalle regole imposte dal mercato. Portare quindi un’esperienza di così profonda libertà in un luogo come il Panopticon da cui si dipartono i raggi di San Vittore, com’è facile intuire è un fatto significativo in sé. È una verifica portata in prima persona della libertà come fattore irriducibile della natura umana. Bianconi poi aggiunge altri elementi che rafforzano questa dimensione. Ci sono le gabbie attorno alle quali la performance avviene: di per sé sono un simbolo oppressivo. La gabbia è evidentemente emblema di una condizione di reclusione e anche sintomo di una fragilità esistenziale. La gabbia da una parte ci separa al mondo, ma dall’altra anche ci protegge dal mondo. Bianconi con il suo intervento produce un corto circuito e rimette in discussione queste istintive certezze. Le sue gabbie che volano appese nello spazio, con gli sportelli regolarmente aperti, non solo vengono svuotate di tutto il loro portato di negatività, ma sono chiamate a partecipare ad un rituale imprevisto e bizzarro, che le trasforma in creature allegramente fuori posto e fuori funzione. Tant’è vero che al centro del Panopticon, sul podio dove la domenica sta il sacerdote per la messa, Bianconi ha voluto posizionare una scultura che altro non è che una gabbia sventrata e “aperta” come se si fosse trasformata nella corolla di un fiore. La gabbia, sotto l’azione del mago Bianconi, cambia in ogni senso la propria natura. La performance così, con i suoi tormentoni verbali, diventa la festa, il rito di ringraziamento per questa trasfigurazione.
L’altro motivo che contraddistingue la presenza di Bianconi a San Vittore è perfettamente connesso con quanto sin qui abbiamo descritto. La freccia è segno tautologico: non occorre assegnarle un significato. Il senso della freccia è tutto racchiuso nei semplici tratti che la costituiscono e che esprimono un andare, un muoversi, un uscire. La freccia è l’antitesi dello status quo. È un istinto che guarda oltre. È espressione franca di un’aspettativa. È voglia di cambiamento. È tentativo di darsi una direzione. Le frecce di Bianconi, che punteggiano le pareti colorate di Marco Casentini, nel corridoio d’ingresso, portano con sé tutti questi possibili messaggi.
La presenza di Andrea Bianconi a San Vittore è frutto di un progetto messo a punto con Casa Testori. È cosa che mi pare importante sottolineare perché in questo modo si rinnova una sensibilità che aveva contraddistinto Giovanni Testori, come persone e come intellettuale. Più volte Testori era venuto a San Vittore e aveva sollecitato un’attenzione diversa da parte della città. Essere qui, portando un gesto artistico che parla di libertà e di desiderio di cambiamento, è un modo per rinnovare quella sua convinzione che la cultura per essere vera deve sempre mischiarsi con la vita.

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LA PERFORMANCE

Come costruire una direzione, elaborata da Andrea Bianconi con la produzione di Casa Testori, è una performance messa in scena durante l’ArtWeek milanese del 2019 nel carcere di San Vittore, all’interno del celebre Panopticon da cui si dipartono i sei raggi della struttura penitenziaria milanese. 
Andrea Bianconi ha allestito 24 gabbie – uno dei simboli della poetica dell’artista – che sono state posizionate davanti ai cancelli dei sei raggi. Le gabbie, ovviamente, sono un riflesso speculare della condizione carceraria, ma l’azione di Bianconi ha voluto ribaltarne il segno e dare loro un connotato liberatorio: erano le gabbie dei nostri desideri, le cui porte sono dunque sempre aperte. 
Sul podio centrale del Panopticon, dove la domenica si celebra la Santa Messa, Bianconi aveva posizionato una grande scultura realizzata per l’occasione: una gabbia le cui pareti sono state aperte quasi a formare un fiore e, simbolicamente, le ali, altro simbolo dell’arte di Bianconi. Alla performance ha partecipato la compagnia del CETEC Dentro/Fuori San Vittore, di cui fanno parte alcune detenute. Con loro Bianconi ha intonato un motivo incalzante, ossessivo e insieme utopico, ripetendo centinaia di volte le parole “Fantastic Planet” seguendo uno spartito stabilito dall’artista. “Fantastic Planet”, perché, come l’artista spiega, è figlio dell’immaginazione di ciascuno. E l’immaginazione è un fattore intrinsecamente libero, non “carcerabile”. 

Quella a San Vittore è stata una performance profondamente vissuta dall’artista perché – diversamente da quanto accaduto in precedenza – non era da solo. Al suo fianco 10 detenute, attrici speciali che hanno canato e ripetuto con lui, in modo quasi ossessivo, il claim “Fantastic Planet”, perché ogni persona può sempre immaginare il suo mondo fantastico. 

Se la gabbia è il luogo di un desiderio da liberare, la freccia diventa il simbolo di questo desiderio che prende il volo. Per questo la performance si è conclusa con il canto di una filastrocca scritta da Bianconi sul motivo di una popolare canzone per bambini e intitolata proprio La Freccia. La filastrocca è stata prima cantata dall’artista, da solo, poi ripetuta insieme alle detenute.

«Sono entusiasta di fare questa esperienza, San Vittore è un luogo particolare, delicato e la mia performance vuole affermare il messaggio che per tutti c’è una possibilità, una prospettiva, un varco attraverso il quale liberare i desideri» ha affermato Andrea Bianconi.

«L’arte portata dentro le mura di un carcere può essere esperienza di grande valore, se, attraverso la bellezza e l’imprevedibilità delle proposte, riesce a stimolare percorsi positivi di consapevolezza e di cambiamento». Queste le parole di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di San Vittore, che racchiudono il senso profondo della performance alla quale, non a caso, Andrea Bianconi ha voluto dare il titolo quasi programmatico di Come costruire una direzione.

Il progetto includeva anche una mostra di 50 disegni esposti per un mese nel lungo corridoio che porta alla rotonda del Panopticon, aventi come motivo dominante proprio la freccia. 
La freccia, nella grammatica di Bianconi, è una sorta di felice ossessione, che dà forma all’insopprimibile bisogno di desiderare. La freccia è energia liberante, ma è anche direzione: quindi indica un percorso possibile, che è unico e irripetibile per ciascuno, un segno positivo portato dentro un ambiente segnato per sua natura da dinamiche opposte. Ma come spiega Bianconi «l’arte ha in sé sempre un’apertura al futuro anche quando veicola messaggi drammatici. Per quello che mi concerne, il titolo della mostra dà un’indicazione chiara, che sento istintivamente mia: tendo a guardare al bene e non al male. Per me l’arte è un fatto di coraggio che stimola altro coraggio nelle persone».

Rassegna Stampa
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Posted on: 1 Aprile 2019, by : Alessandro Frangi