È stato un incontro felice e sorprendente quello tra l’opera di Salvato e la palazzina liberty che l’ha ospitata. Un piccolo e prezioso edificio salvato dal degrado, ricco della sua decorazione aggraziata, si è fatto casa per gli animali plasmati con il ferro dall’arista milanese. Pittore di formazione, Salvato attinge allo studio dell’anatomia per imprimere nelle sue sculture la veridicità del peso corporeo, del movimento e dell’intenzione. È così che le finestre al primo piano si lasciavano attraversare da corvi in lotta tra loro o impegnati in maestose volute. Al pian terreno, la stanza ospitava il girovagare circospetto di tre lupi incuriositi e soppesati a loro insaputa da una bilancia. Si trattava di una palazzina che la sera s’illuminava come una splendida lanterna floreale, generosa nella sua grazia come nello svelare la natura dei suoi ospiti.
Author: Alessandro Frangi
Giorgio Salvato, VOLAR DI CORVI E PESI DI LUPI
Marija Sévic, CULTURENONSTOP
La cultura artistica è un dono alla città che vorrebbe esprimersi a ogni ora del giorno e della notte, senza confini. Una necessità cui Contexto ha dato voce per il terzo anno (2017) e che l’opera dell’artista serba ha interpretato perfettamente. Realizzata ed esposta la prima volta davanti al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado, è stata pensata per denunciare, grazie all’ironia, la chiusura del Museo che da troppi anni negava le proprie bellezze. Questa insegna luminosa è stata poi presentata in un ribaltamento della sua accezione iniziale, non per denunciare, ma per festeggiare la possibilità di riammirare da vicino la splendida palazzina Liberty a fianco della stazione cittadina e per segnare l’avvio della nuova edizione di Contexto, che da questa bellezza ritrovata prendeva avvio per snodarsi nella città.

L’ULTIMO AVVERTIMENTO
Nell’ultima stanza, concludeva la mostra un’opera inedita (Don’t believe the hype, 2018), articolata in quattro diorami, posti sulle basi e alle pareti. Questa volta i piani prospettici erano affidati ad altrettante lastre di vetro, sovrapposte e scorrevoli a mutare gli assetti possibili. Ciascun teatrino era dedicato a un’opera di celebri artisti contemporanei (Wim Delvoy, Damien Hirst, Maurizio Cattelan e Katarzyna Kozera), esemplificativi non solo della loro poetica personale, ma anche del variegato mondo che inevitabilmente è chiamato a tesserne il contesto sociale, oltre che culturale. Urso ci mette in guardia, non dalle contaminazioni, così strutturali per il suo stesso lavoro, ma dall’accontentarsi di un mondo bidimensionale e di un approccio timido all’arte. Occorre sporcarsi le mani. Astenersi perditempo.
LA CAMERA (PRIVATA) DI TESTORI
Attraversato il corridoio, si entra nella stanza di Testori da ragazzo. Una camera destinata a contenere le opere che la madre non avrebbe accettato in giro per la casa, tappezzata di dipinti frutto degli studi, del mercato e del collezionismo di Testori. I nudi accademici da Testori attribuiti a Géricault e Courbet, documentati da una serie di scatti di Giacomo Pozzi Bellini come quello esposto a parete, hanno ispirato l’opera di Andrea Mastrovito (1978) realizzata esclusivamente scolpendo il muro e facendo emergere gli strati di intonaco e pittura accumulati negli anni.
Non poteva esserci collocazione più pertinente per questo lavoro di Alex Urso, Musée de l’Oubli – Eight collages by Monsieur G. (2014), nato dal ritrovamento in un mercatino di Varsavia di un nucleo di collage, datati 1979 e firmati da un misterioso artista francese, restaurati e incorniciati da Urso. Una sorta di ready-made archeologico, conseguente all’incredibile scoperta di un antenato del collage e del rapporto necessario con l’arte del passato.
NELLA TERZA STANZA
Untitledfa parte della serie del 2017 Welcome to the Jungle, comprendente 3 collage di dimensioni 40 x 60 cm ciascuno. I lavori mirano a rappresentare il sistema dell’arte come “giungla”, nel quale l’artista è chiamato a districarsi, con particolare attenzione al luogo istituzionale per eccellenza, il museo, quale tempio artistico che simboleggia tutta la fame e il desiderio di successo di un giovane autore, rappresentandone la massima ambizione. Nei tre collage sono rappresentati rispettivamente Guggenheim (New York), National Gallery (Londra) e Maxxi (Roma), immersi in uno scenario naturale. Tutt’intorno sono presenti ritagli di persone estratte da foto raffiguranti il pubblico di un museo. L’idea era quella di riflettere, non senza ironia, sul ruolo dell’istituzione museale, sul suo fascino e sulla sua potenza seduttiva.
NELLA SECONDA STANZA
NELLA PRIMA STANZA
TRE STANZE PER UNA GIUNGLA
Giunti al primo piano, la mostra proseguiva nelle cinque stanze della parte destra della casa. Attraversando il corridoio, le tre camere che si aprono a sinistra erano unite da un tema comune: Welcome to the Jungle, declinato dall’artista in altrettante opere, realizzate tra il 2016 e il 2018.
NELLA PRIMA STANZA
Una serie di 15 box, diorami o teatrini magici, creavano una linea continua lungo le pareti. Il visitatore era chiamato a immergersi in questi microcosmi realizzati unicamente con la carta. Ormai non servivano più altri oggetti per mettere in scena questa selva artistica: ce n’era abbastanza tra protagonisti, musei e splendidi cortocircuiti emotivo-celebrali, nati da accostamenti impensabili. Non si trattava solo di un omaggio ai propri maestri, ma di una serie di ex-voto, con i quali Urso chiedeva un aiuto agli artisti che, tra le belve del mondo dell’arte – e della vita – sono riusciti a esprimere la propria poetica, sopravvivendovi. Il filo dei diorami era interrotto su una parete da uno dei quadri più importanti di Giovanni Testori (Crocifissione, 1949), inaspettatamente a suo agio, tra le opere di Urso, non solo perché ne condivide l’affollamento formale e l’antropomorfizzazione della natura, ma soprattutto perché anch’essa esito della metabolizzazione dei propri maestri, da Cézanne a Picasso.
UNA SCALA PER MEMLING
L’opera di Urso era installata in stretto dialogo con la Biblioteca d’Arte di Giovanni Testori, giunta al termine del suo riordino. La grande libreria, posta alla base della scala, raccoglie le monografie degli artisti medioevali e moderni fino al Settecento. L’intervento di Urso fioriva tra i volumi e s’inerpicava lungo la salita al primo piano, rendendo il grande scalone un omaggio al pittore tedesco Hans Memling (1430-1494) e al suo celebre Giudizio Universale, il cosiddetto Trittico di Danzica(1470 circa). Disposti tra i libri, nove diorami restituivano la composizione: dal Cristo giudice – potente tanto da non trattenere la propria forza entro il vetro – alle anime salvate, purganti e dannate. In questi teatrini magici (Stations of the Cross, 2016) le immagini del Trittico acquisivano la terza dimensione grazie ad elementi apparentemente estranei, che li riportavano a una temperie domestica. Nella serie lungo le scale (A study on The Last Judgment of Hans Memling, 2015/2016) la natura si faceva matrigna e, sostituendosi alle fiamme in una funzione tutt’altro che decorativa, non rallentava i tormenti dei dannati ma partecipava alle pene soggettive.
STANZA 8 – NELLO STUDIO
La stanza finale si apre su un grande lavoro di Samorì. È una crasi tra due dipinti di Simone Cantarini e Giorgio Vasari, raffiguranti una Resurrezione, nella parte bassa, e un’Immacolata Concezione, evocata nella parte alta, quella maggiormente compromessa e impressa dal processo creativo. La grande simmetria della corrosione è ottenuta, infatti, ripiegando la tela fresca su se stessa, lungo l’asse verticale, inserendo un ordine nel caos della macchia. Un elemento di materialità astratta nella forma, ma concreta nella genesi, si associa, accentuandola, all’immaterialità e concretezza degli episodi evocati. Matteo Fato presenta qui i suoi ultimilavori: sono florilegi cromatici di grande leggerezza e pregnanza insieme. In un processo di schedaturaanalogo alle tele monocrome della stanza precedente, queste tele hanno la funzione di riassumere la storia creativa dell’artista, ripercorrendone le linee tracciate nello spazio negli anni, e campionandone i colori. A posteriori, viene rievocato il processo creativo dell’opera, spesso già dichiarato in corso, come nella pulitura dei pennelli utilizzati, che affianca il ritratto di Flaiano in veranda o copre il libro ai piedi del cavalletto, nel salone. Intorno allo scoccare dei 40 – età vicinissima ad artisti e curatore – questa mostra è ben più che una bipersonale. È un’occasione di ricapitolazione, in cui cogliere analogie e ricerche, ripercorrere prassi e passi progettuali, colti alla partenza di nuove strade e sperimentazioni creative che già s’intravvedono.
LE OPERE
Nicola Samorì, Miriade, 2018, olio su lino, Courtesy EIGEN+ART, Berlin/Leipzig
Matteo Fato, Florilegio (2), 2018 circa, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia
Matteo Fato, Florilegio (3), 2018 circa, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia
All’ingresso: Matteo Fato, Senza titolo (libro), 2014, Catalogo di Ca’ dei Ricchi, incollato con preparazione a pigmento olio su libro, piedistallo in multistrato, MDF e specchio, Collezione privata
STANZA 7 – NELLA SALA DEL CAMINO
Le opere dei due artisti si affiancano, una sopra l’altra, intorno al camino che domina la stanza. Nero su nero, il dipinto di Samorì si lascia inquadrare dalla cornice marmorea, chiedendo al visitatore di chinarsi alla ricerca della figura, desunta da un ritratto fiammingo del Cinquecento. Sul camino non poteva che trovar posto un ritratto ufficiale, che Fato evoca lasciandone visibile l’armatura, ma celandone i tratti inconfondibili. Nella parete di fronte, al fianco di un suo affresco che evoca una figura femminile, Samorì incastona nella parete un profondo omaggio testoriano. Sopra l’immagine della Testa del Battista di Francesco Cairo appartenuta allo scrittore, una cascata di fili evoca le 73 Teste del Battista, realizzate da Testori con il sottile tratto della pennastilografica ed esposte al primo piano. A chiudere la stanza, nell’angolo accanto, un’opera composita di MatteoFato parte dalla suggestione del fuoco, iridescente perché fatuo, qui idealmente sottratto al camino centraleper essere ritratto sulla tela e ripetuto in controparte nell’incisione che l’affianca, a sua volta posta come unapala d’altare su un “paliotto” di monocromi molto cari all’artista.
LE OPERE
Nicola Samorì, Manto minimo, 2011, olio su tavola, AmC Collezione Coppola, Vicenza
Matteo Fato, Nudo all’Antica (4), 2014, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia
Nicola Samorì, Babette, 2017, affresco su alveolam Courtesy Monitor, Roma/Lisbona
Nicola Samorì, Profeta, 2018, olio su rame, cornice antica, Courtesy Monitor, Roma/Lisbona
Matteo Fato, (will-o-the-wisp), 2015 / 2018, olio su lino, cassa da trasporto in multistrato, colla di coniglio e pigmento su lino, puntasecca su rame, cornice in MDF, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo, Venezia
Matteo Fato, Senza titolo (Nuvola II), 2015, olio su lino, cassa da trasporto
in multistrato e specchio, Courtesy dell’Artista e Galleria Michela Rizzo Venezia