Author: Alessandro Frangi

Carlo Alberto Rastelli, PET SEMATARY

«Nelle sterminate foreste della Lettonia nascono i miei lavori su tela, in cui astrazione geometrica e figurazione si compenetrano in un gioco di continue stratificazioni, realizzate con stesure piatte di colore acrilico. Dai piccoli teschi di animale dipinti a olio deriva invece il titolo della serie, ispirato all’omonima canzone dei Ramones». 
Rastelli è un giovane pittore estremamente consapevole del suo percorso, capace di narrarsi, di farci entrare nella sua pittura con dovizia di particolari e riferimenti, individuando i suoi maestri, Gustav Klimt a Peter Doig, e facendoci muovere sulla superficie della sua tela con la stessa grazia lenticolare che le ha create. Eppure il non detto è la parte migliore della sua opera, e le domande che ostentano questi volti, sono l’inizio di un viaggio tutto da intraprendere e degno di un film di David Lynch.

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LE OPERE

Pet sematary #6, 2017, olio e acrilico su tela, 100×100 cm
Pet sematary #7, 2017, olio e acrilico su lino, 100×100 cm
Il petroliere, 2017, olio e acrilico su lino, 80×120 cm
We only come out at night, 2014, olio, acrilico, foglia oro e inserto in carta su tela, 120×160 cm

Contexto 2017

Alex Urso, A STUDY ON THE LAST JUDGMENT OF HANS MEMLING

È un polittico composto da 8 collage in cui si fondono due immagini: i dannati del Trittico di Danzica, ossia il Giudizio Universale dipinto da Hans Memling intorno al 1470, e alcune immagini di piante e fiori ritagliate da un’enciclopedia sul mondo vegetale. Il Trittico di Memling era stato dipinto per l’Italia ma, razziato dal corsaro Paula Benecke, è conservato da sempre a Danzica, la città che da qualche anno accoglie l’artista marchigiano che vi ha reso omaggio. Le fiamme sono sostituite da fiori e i diavoli torturatori possono contare su strumenti arborei che hanno perso la loro valenza decorativa e sentimentale. Come spesso accade nel suo lavoro, il collage diventa uno strumento espressivo tridimensionale, accentuando la corporeità dei soggetti. 

L’OPERA

A study on The Last Judgment of Hans Memling, 2016

Contexto 2017


Lara Ilaria Braconi, IMMERSIONI

«I quadri sembrano astratti, ma non lo sono affatto: io parto da quello che vivo, dalla realtà». La giovane pittrice milanese si è esposta al pubblico attraverso due grandi tele, scelte in una produzione recente a rappresentare due facce, cielo e terra, della stessa indagine. Sono immersioni nella natura. L’artista non accetta di stare in superfice e obbliga la pittura ad accompagnarla in un’indagine nella trama della materia naturale, sia essa fatta di foglie o del pulviscolo delle nuvole. «Hanno un sacco di strati questi quadri, un sacco di tempo, come se avessero bisogno di un respiro loro. A volte mi accorgo che sono finiti quando sono lì da un po’. Non ci dipingo più e non so perché, però non ho ancora deciso che è finito: a un certo punto mi accorgo che lo è». È così che il tratto immersivo della pittrice si fa penetrante, violento e suadente insieme. Ilaria non risponde a un’intenzione preconcetta, ma accetta ogni volta di lasciarsi trasportare dallo stesso lavoro di conoscenza intrapreso.

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LE OPERE

A Constable, le nuvole, 2016, olio su tela di yuta e telaio in abete, 170 x 200 cm, collezione privata

Imboscata, 2016, olio su tela di yuta e telaio in abete, 170 x 200 cm

Contexto 2017


Sara Montani, ERBARIO. LE FOGLIE DEL GIARDINO DI LIVIA

Foglie di vite, fico, nespolo, kiwi, melo, pera, gelso, passiflora, vite del Canada, ortensia, glicine, magnolia, edera, felce. Tornano i frutti, e i fiori, attraverso le proprie foglie, per raccontarci una storia delicata ed emblematica insieme. È la storia di Livia, la madre dell’artista, la terza madre d’artista che incontriamo. Ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a trasformare un grande prato, non lontano da Edolo, in un variegato frutteto. Un’impresa che i figli hanno tardato a capire, ma che, grazie alla sensibilità dell’artista, si è trasformata nel più grande dono ricevuto. Negli ultimi mesi, infatti, la malattia ha costretto Livia alla sedia e la figlia Sara, in cerca di un contatto praticabile, l’ha coinvolta nella sua attività. L’ha convinta a lavorare con lei, per trasformare le foglie del suo frutteto in matrici da stampare sulla carta, grazia al torchio. Un lavoro a quattro mani – testimoniato dall’unico foglio appeso su una delle due pareti – che si è evoluto, nella prassi dell’artista, in un ricercato e virtuoso erbario nella parete di fronte. Si colgono così, insieme alle trame vegetali perfettamente riprodotte, le macchie imprevedibili della linfa rilasciata sotto il torchio, «sinonimo, segno concreto e vero, del nutrimento vitale che la mamma ha lasciato in me e nei miei figli».

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L’OPERA

Erbario. Le foglie del giardino di Livia, 2012, stampe originali stampate in monoprint a torchio calcografico, carta Grafia delle Cartiere di Sicilia Foglie di vite – fico – nespolo – kiwi – melo – pera – gelso – passiflora – vite del Canada – ortensia – glicine – magnolia – edera – felce. 30 x 40 cm cad.

 Contexto 2017

Olimpia Zagnoli, SOVRABBONDANO PERE E MELE

Ci salutava, fin dall’imbocco della via, la gioiosa scultura di Olimpia Zagnoli, una delle più amate illustratrici italiane a New York. Un’artista fresca e libera, dal tratto chiaro e limpido, ha stilizzato questi due personaggi fino a farli sembrare due fugaci apparizioni: fantasmini, li ha chiamati qualcuno. Sono spiriti dei boschi, in effetti, o meglio dei frutteti, visto che ergono gioiosi i loro trofei: una mela e una pera, simbolo di una ricchezza concreta che ha sfamato per millenni. È la prima scultura realizzata dall’artista, nata per raccontare uno dei capitoli della storia di Milano di Bonvesin de la Riva, che nel Medioevo ne elenca le meraviglie, le ricchezze appunto, tra le quali i frutti in abbondanza che si potevano trovare in città. A Edolo diventava un simbolo di prosperità e un augurio gioioso per tutti.

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L’OPERA

Sovrabbondano pere e mele, 2015, ferro verniciato a fuoco

Contexto 2017

Daniela Peracchi, LEGGERO LEGGERO

«In Leggero leggero, in cui seppellisco mia madre di foglie, la risoluzione del video è tremendamente bassa. Per me non era importante fare un video in cui fosse pulita l’immagine, in cui si vedessero tutti i dettagli, perché volevo che rimanesse l’impressione di un’azione quotidiana». Ma cosa può esserci di quotidiano nel coprire, fino a farla scomparire, la propria madre di foglie? È una metafora, certamente, un’immagine in cui la madre si presta a lasciarsi invadere dalla tenacia e poesia della figlia. Coprire vuol dire, allo stesso tempo, proteggere per custodire, ma anche nascondere fino ad annullare. In certi momenti della vita, crescere ha voluto dire cancellare la propria madre, in altri riguardarla, in altri proteggerla. Lo sappiamo bene. Torna – e ritornerà ancora – uno dei temi cardine di questo Contexto: il rapporto tra generazioni, tra padri, madri e figli. Un rapporto che ci appartiene, che non è mai uguale nel tempo e che ciascuno deve riguadagnarsi. 

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L’OPERA

Leggero leggero, video, 08:54, 2011

Contexto 2017

Giulia Riva, IMPREVISTO, PROMESSA, PRESENZA

L’autoritratto, uno dei generi più cari agli artisti, almeno dal Rinascimento in avanti. Nel Novecento esiste un filone tutto femminile che pone sé e il proprio corpo al centro della ricerca artistica. Giulia Riva è una fotografa giovanissima che sta crescendo attraverso la lente della sua macchina fotografica, lasciandosi guidare e guidando questo suo sguardo anno dopo anno. Quello che ha esposto a Edolo è un trittico di autoritratti, in cui ogni scomparto è composto da quattro immagini, tra loro correlate a raccontare un episodio, un sentimento. L’artista si mette a nudo, e una storia personale si fa sfacciatamente pubblica. La malattia della madre che la porterà alla morte è una notizia terribile che obbliga l’artista a riconsiderare il proprio volto. Nel gruppo centrale, il nome della madre firma di fatto il polittico, come in un cartiglio di una pala medioevale. Il terzo gruppo è quello della pace, infinitamente dolorosa, del dopo. È il tempo del silenzio, in cui guardarsi cambiata, ma non atterrita.

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LE OPERE

Imprevisto, 2012, fotografia su pvc 
Promessa, 2014, fotografia su pvc 
Presenza, 2015, fotografia su pvc

Contexto 2017


Riccardo Arzaroli, ALTERAZIONI

L’intervento dell’uomo sulla natura. È un tema cardine e classico dell’arte almeno dall’Ottocento, qui declinato in questa serie fotografica, posta a segnare il passaggio, quasi fosse una Via Crucis di formelle quadrangolari. Sono immagini in cui il filo tenace e violento della presenza umana trafigge e incide la corteccia, anno dopo anno. Ma, a ben guardare, sono la dimostrazione di come la natura sia in grado di ricucire queste ferite, di farle proprie, accoglierle e redimerle. In fondo, come per l’uomo, anche la violenza può essere accolta, chissà, forse perdonata. Certo non è mai l’ultima parola sulla vita.

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Contexto 2017

Giulia Crotti, OSTRICHELLI, BARBAPICCHI E PETTIPALLA

«È un’installazione aerea realizzata a partire dall’assemblaggio scultoreo di materiali quali ostriche e piume. L’opera consiste in una riflessione sul processo di sintesi effettuato dal nostro sguardo che, posto di fronte a qualsiasi immagine, inevitabilmente ricerca la giustificazione razionale più plausibile». È così che il nostro occhio compie un’opera di sintesi tra forme inanimate, appartenenti a sfere animali differenti, immaginando nuove creature, che prendono possesso di questa corte, dai piani quasi infiniti, ricca di segreti svelati da specchi posti a misura, per restituire frammenti di storia. 

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L’OPERA

Ostrichelli, Barbapicchi e Pettipalla, 2015, ostriche e piume, misure variabili tra gli 8 e i 35 cm

Contexto 2017

Giuliano Cataldo Giancotti, OMAGGIO A CAPOCOLONNA

Il giovane artista ha compiuto il suo Gran Tour per l’Italia e, come molti celebri poeti o pittori del passato, era armato solo del suo taccuino. L’esito finale è stata una scultura chiamata a rendere tridimensionali questi schizzi, bonificandoli e restituendoci i monumenti nella loro essenzialità lineare, oltre che formale. Qui l’omaggio era a Capocolonna, nel crotonese, in Calabria, e alla colonna da cui prende nome, l’unica superstite del Tempio di Hera Lacinia. L’evocazione della nostra eredità culturale a Edolo era messa in relazione con il vicino campanile di San Giovanni, come a tessere una relazione in cui la monumentalità della torre campanaria, tutta massa, dialoga con la leggerezza, tutta forma, di un passato fragile ma persistente, rappresentato da questa colonna.

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L’OPERA

Omaggio a CapoColonna 2015, ferro, 430h x 125 x 120 cm

Contexto 2017


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