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Il passaggio di Enea – Contesto Ucraino

Ha inaugurato martedì 14 maggio allo Yermilov Centre di Kharkiv (Ucraina)la versione riveduta e adattata al contesto locale della mostra “Il passaggio di Enea. Artisti di oggi alle prese con il passato”, che Casa Testori aveva portato al Meeting Rimini del 2017.

L’esposizione è curata da Borys Filonenko e Luca Fiore. Tra gli artisti del progetto originale: Michelangelo Antonioni, Emilio Isgrò, Adrian Paci, Giovanni Frangi e Julia Krahn. Tra gli ucraini: Pavlo Makov, Igor Yanovych, Andrij Sagajdakovskyj, Vladyslav Krasnoschok, Yvhen Nikiforov, Nikolay Kolomiets e il collettivo Open Group, che quest’anno cura il Padiglione ucraino alla Biennale di Venezia.

La mostra, che chiuderà il 14 giugno, è l’evento centrale del DanteFest, l’annuale manifestazione socio-culturale promossa dalla Ong Emmaus e dal Centro di cultura europea Dante che si terrà a Kharkiv dal 31 maggio al 2 giugno. In quell’occasione ci saranno gli interventi di Julia Krahn, Luca Fiore e Giuseppe e Giovanni Frangi.

Arte a Piena Pagina

Domenica 7 aprile 2019 ore 11,30
Teatro Franco Parenti – Sala Cafè Rouge
Via Pier Lombardo, 14 – Milano

Lezione
L’ARTE A PIENA PAGINA
Gli scritti d’arte di Giovanni Testori:
da Gaudenzio Ferrari a Ennio Morlotti

A cura di Davide Dall’Ombra
Legge e interpreta Salvo Germano

Rivivono al Teatro Franco Parenti alcuni capitoli fondamentali dalle pagine d’arte di Giovanni Testori, in cui ben si riconosce la forza plastica di una scrittura che ha nell’occhio(come scrisse Anna Banti agli inizi della carriera dello scrittore lombardo) il suo uncino, il suo punto di cattura.
Con l’introduzione e la presentazione di Davide Dall’Ombra, Salvo Germano legge e interpreta, domenica 7 aprile alle 11,30, alcuni brani dedicati a Gaudenzio Ferrari (1475-1546), Giuseppe Ghislandi detto Fra’ Galgario(1655-1743) ed Ennio Morlotti (1910-1992).
Ci sono in Testori delle migrazioni fondamentali dalla storia dell’arte alla letteratura, a cominciare dal secolo della peste, il ‘600, che è il secolo della sua ispirazione.
Il contatto violento con l’arte figurativa ha determinato un condensato di esperienze formali, ma anche esistenziali, tali da divenire fonte primaria del suo modo di lavorare. 
Testori mescola le carte tra arte, letteratura e vita, e riesce a sentire l’impatto verso l’opera d’arte come questione di vita e di morte, come era solito dire il suo maestro Roberto Longhi

Prenotazioni:comitatodigestione@premiogiovannitestori.org 
Oppure telefonare o scrivere alla biglietteria del teatro: 
02 59995206 | biglietteria@teatrofrancoparenti.it

COME COSTRUIRE UNA DIREZIONE

Andrea Bianconi
A cura di Giuseppe Frangi
Casa Circondariale “Francesco Di Cataldo”
San Vittore, Milano
3 Aprile e 9 Maggio 2019

ANDREA BIANCONI A SAN VITTORE
Giuseppe Frangi

L’artista è presente: il segno distintivo di quella forma artistica che è la performance è innanzitutto questo. L’artista entra in gioco con il suo corpo per ritrovare un’intensità di rapporto con il mondo che lo circonda, che l’opera in sé sembra non riuscire più a garantire. La performance insomma è quella forma semplice ed estrema attraverso la quale l’artista dice al mondo: “io ci sono”. Il senso di questo “esserci” è quello di essere sempre elemento destabilizzante, perché introduce altre logiche e altri punti di vista. Con la performance l’artista si mette in gioco, senza mediazioni; soprattutto è chiamato a prove di una sincerità radicale, che scuote e crea corti circuiti.
La sincerità è proprio una delle qualità che contraddistinguono Andrea Bianconi; un artista che gioca sempre allo scoperto anche quando lavora su medium tradizionali ma che trova nella performance il suo terreno d’espressione più congeniale. Di performance Bianconi, vicentino, nato nel 1974, ne ha fatte in ogni angolo del mondo, da Mosca a Shanghai, da Venezia a New York. Ogni volta realizza incursioni da vero corsaro, seguendo dei copioni imprevedibili, che divertono, a volte commuovono ma che prendono sempre in contropiede. Nelle performance Bianconi si trasforma ogni colta in un personaggio da fiaba, in un eroe puro e scapestrato che ci incanta con i suoi strani riti e i suoi bizzarri tormentoni.
Da tempo Andrea sognava di poter fare una performance in un luogo sensibile come il carcere. Credo che la ragione sia da trovare in un dato molto semplice: la performance per Bianconi è innanzitutto un’esperienza di libertà, perché è uno spazio di azione che non obbedisce ad una logica e tanto meno ad una regola. Uno spazio in cui l’artista non è chiamato alla resa dei conti con un “perché”. La libertà poi è garantita dal fatto che la performance è una volta per sempre; una volta accaduta si smaterializza e vive solo nella documentazione di ciò che è accaduto. Questo significa che non c’è un oggetto da vendere e quindi la performance è anche libera dalle regole imposte dal mercato. Portare quindi un’esperienza di così profonda libertà in un luogo come il Panopticon da cui si dipartono i raggi di San Vittore, com’è facile intuire è un fatto significativo in sé. È una verifica portata in prima persona della libertà come fattore irriducibile della natura umana. Bianconi poi aggiunge altri elementi che rafforzano questa dimensione. Ci sono le gabbie attorno alle quali la performance avviene: di per sé sono un simbolo oppressivo. La gabbia è evidentemente emblema di una condizione di reclusione e anche sintomo di una fragilità esistenziale. La gabbia da una parte ci separa al mondo, ma dall’altra anche ci protegge dal mondo. Bianconi con il suo intervento produce un corto circuito e rimette in discussione queste istintive certezze. Le sue gabbie che volano appese nello spazio, con gli sportelli regolarmente aperti, non solo vengono svuotate di tutto il loro portato di negatività, ma sono chiamate a partecipare ad un rituale imprevisto e bizzarro, che le trasforma in creature allegramente fuori posto e fuori funzione. Tant’è vero che al centro del Panopticon, sul podio dove la domenica sta il sacerdote per la messa, Bianconi ha voluto posizionare una scultura che altro non è che una gabbia sventrata e “aperta” come se si fosse trasformata nella corolla di un fiore. La gabbia, sotto l’azione del mago Bianconi, cambia in ogni senso la propria natura. La performance così, con i suoi tormentoni verbali, diventa la festa, il rito di ringraziamento per questa trasfigurazione.
L’altro motivo che contraddistingue la presenza di Bianconi a San Vittore è perfettamente connesso con quanto sin qui abbiamo descritto. La freccia è segno tautologico: non occorre assegnarle un significato. Il senso della freccia è tutto racchiuso nei semplici tratti che la costituiscono e che esprimono un andare, un muoversi, un uscire. La freccia è l’antitesi dello status quo. È un istinto che guarda oltre. È espressione franca di un’aspettativa. È voglia di cambiamento. È tentativo di darsi una direzione. Le frecce di Bianconi, che punteggiano le pareti colorate di Marco Casentini, nel corridoio d’ingresso, portano con sé tutti questi possibili messaggi.
La presenza di Andrea Bianconi a San Vittore è frutto di un progetto messo a punto con Casa Testori. È cosa che mi pare importante sottolineare perché in questo modo si rinnova una sensibilità che aveva contraddistinto Giovanni Testori, come persone e come intellettuale. Più volte Testori era venuto a San Vittore e aveva sollecitato un’attenzione diversa da parte della città. Essere qui, portando un gesto artistico che parla di libertà e di desiderio di cambiamento, è un modo per rinnovare quella sua convinzione che la cultura per essere vera deve sempre mischiarsi con la vita.

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LA PERFORMANCE

Come costruire una direzione, elaborata da Andrea Bianconi con la produzione di Casa Testori, è una performance messa in scena durante l’ArtWeek milanese del 2019 nel carcere di San Vittore, all’interno del celebre Panopticon da cui si dipartono i sei raggi della struttura penitenziaria milanese. 
Andrea Bianconi ha allestito 24 gabbie – uno dei simboli della poetica dell’artista – che sono state posizionate davanti ai cancelli dei sei raggi. Le gabbie, ovviamente, sono un riflesso speculare della condizione carceraria, ma l’azione di Bianconi ha voluto ribaltarne il segno e dare loro un connotato liberatorio: erano le gabbie dei nostri desideri, le cui porte sono dunque sempre aperte. 
Sul podio centrale del Panopticon, dove la domenica si celebra la Santa Messa, Bianconi aveva posizionato una grande scultura realizzata per l’occasione: una gabbia le cui pareti sono state aperte quasi a formare un fiore e, simbolicamente, le ali, altro simbolo dell’arte di Bianconi. Alla performance ha partecipato la compagnia del CETEC Dentro/Fuori San Vittore, di cui fanno parte alcune detenute. Con loro Bianconi ha intonato un motivo incalzante, ossessivo e insieme utopico, ripetendo centinaia di volte le parole “Fantastic Planet” seguendo uno spartito stabilito dall’artista. “Fantastic Planet”, perché, come l’artista spiega, è figlio dell’immaginazione di ciascuno. E l’immaginazione è un fattore intrinsecamente libero, non “carcerabile”. 

Quella a San Vittore è stata una performance profondamente vissuta dall’artista perché – diversamente da quanto accaduto in precedenza – non era da solo. Al suo fianco 10 detenute, attrici speciali che hanno canato e ripetuto con lui, in modo quasi ossessivo, il claim “Fantastic Planet”, perché ogni persona può sempre immaginare il suo mondo fantastico. 

Se la gabbia è il luogo di un desiderio da liberare, la freccia diventa il simbolo di questo desiderio che prende il volo. Per questo la performance si è conclusa con il canto di una filastrocca scritta da Bianconi sul motivo di una popolare canzone per bambini e intitolata proprio La Freccia. La filastrocca è stata prima cantata dall’artista, da solo, poi ripetuta insieme alle detenute.

«Sono entusiasta di fare questa esperienza, San Vittore è un luogo particolare, delicato e la mia performance vuole affermare il messaggio che per tutti c’è una possibilità, una prospettiva, un varco attraverso il quale liberare i desideri» ha affermato Andrea Bianconi.

«L’arte portata dentro le mura di un carcere può essere esperienza di grande valore, se, attraverso la bellezza e l’imprevedibilità delle proposte, riesce a stimolare percorsi positivi di consapevolezza e di cambiamento». Queste le parole di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di San Vittore, che racchiudono il senso profondo della performance alla quale, non a caso, Andrea Bianconi ha voluto dare il titolo quasi programmatico di Come costruire una direzione.

Il progetto includeva anche una mostra di 50 disegni esposti per un mese nel lungo corridoio che porta alla rotonda del Panopticon, aventi come motivo dominante proprio la freccia. 
La freccia, nella grammatica di Bianconi, è una sorta di felice ossessione, che dà forma all’insopprimibile bisogno di desiderare. La freccia è energia liberante, ma è anche direzione: quindi indica un percorso possibile, che è unico e irripetibile per ciascuno, un segno positivo portato dentro un ambiente segnato per sua natura da dinamiche opposte. Ma come spiega Bianconi «l’arte ha in sé sempre un’apertura al futuro anche quando veicola messaggi drammatici. Per quello che mi concerne, il titolo della mostra dà un’indicazione chiara, che sento istintivamente mia: tendo a guardare al bene e non al male. Per me l’arte è un fatto di coraggio che stimola altro coraggio nelle persone».

Rassegna Stampa
web:
“La Repubblica”
“La Stampa”

Cartacea

EMILIO ISGRÒ. I 35 LIBRI DEI PROMESSI SPOSI CANCELLATI

Emilio Isgrò
A cura di Davide Dall’Ombra
Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea
Châtillon, Valle d’Aosta
6 Aprile – 16 Giugno 2019

EMILIO ISGRÒ. I 35 LIBRI DEI PROMESSI SPOSI CANCELLATI
Davide Dall’Ombra

«Cancellandola, mi sono accorto di come la scrittura manzoniana sia quanto di più potente e sorgivo abbia offerto la nostra letteratura dopo Dante. Giacché in Manzoni anche la cultura si fa natura».

Al centro dell’esposizione è posta l’opera più imponente realizzata da Emilio Isgrò: i 35 libri cancellati dedicati alle pagine più celebri de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. I Promessi Sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati è un’opera realizzata nel 2016 appositamente per essere esposta a Casa Manzoni, a Milano. È qui presentata, non solo per la sua imponente bellezza e perché esemplificativa della poetica dell’artista e delle sue celebri cancellature, ma perché utile a comprendere la portata creativa che ha avuto nell’artista l’intuizione sulla centralità della parola, ben espressa nell’opera di Isgrò conservata al Castello Gamba e visibile nel percorso del Museo.
L’opera è composta da 35 copie del romanzo, aperte su pagine emblematiche, e presentate in altrettante teche di plexiglass. I volumi utilizzati sono la ristampa anastatica della prima edizione del romanzo nella sua versione definitiva (la cosiddetta Quarantana), edizione che Manzoni aveva fatto illustrare da Alessandro Gonin, fornendogli precise indicazioni. Isgrò, artista siciliano trapiantato a Milano, è intervenuto sulle 70 pagine con un’operazione a lui consueta: ha cancellato quasi tutto il testo con inchiostro nero o tempera bianca, facendo sopravvivere solo alcune parole chiave, perché salvate o lasciate emergere dalla trasparenza del segno. Sono proprio queste parole salvate a ricreare un nuovo testo o, meglio, a darci una sintetica e poetica chiave di lettura del passaggio scelto. Quello che sembrerebbe oltraggio si scopre così un atto d’amore.
L’intervento di Isgrò ci fa precipitare nel cuore del testo e ci fa capire la grandezza della scrittura manzoniana.
È così che, quando il silenzio si fa necessario, nulla si può dire, o aggiungere di nuovo, rimangono solo le virgole, a segnare il passaggio del tempo e a rassicurarci che qualcosa di indescrivibile sta accadendo. Più spesso si salvano poche parole sufficienti ad evocare l’intero capitolo, come la conversione dell’Innominato: “dio, lo, Dio”. Talvolta l’intervento è più pittorico: è così che compaiono le due anime della Monaca di Monza, contemporaneamente bianca e nera. Del resto, la bellezza pittorica delle pagine ricreate non viene mai meno ed è una componente essenziale dell’armonia che trasmette l’opera. Le cancellature danno un ritmo musicale alle pagine e l’alternanza dei bianchi e dei neri è poetica in sé.
Ma sono certamente le parole di Manzoni, sfrondate e levigate come pietre piccole e preziose, a brillare tra i solchi creati dall’artista, restituendoci la potenza evocativa maggiore. Tre semplici “e”, superstiti nel vuoto della pagina, dilatano l’aspettativa di un lieto fine insita nel romanzo, mentre frasi completamente nuove, come quella nata dalle indicazioni di Fra Cristoforo, “direte barca rispondete amore”, sciolgono il confine tra scrittura e arti figurative.
Perché è in questa sinestesia tra i linguaggi che sta la grandezza di quest’opera. Il romanzo in generale e, come sottolineava Giovanni Testori, Manzoni in particolare, conduce il lettore, parola dopo parola, fino al culmine del sentimento, della commozione, rabbia o pietà che è in grado di suscitare, con i tempi della lingua e della narrazione.
L’opera d’arte accade, al contrario, in un istante, di fronte allo spettatore: è come se potessimo leggere in un sol colpo un intero romanzo, diceva Testori. Scrittura e arte figurativa hanno tempi lontanissimi di fruizione: l’una ci può far correre o passeggiare, l’altra ci costringe a un immediato tuffo olimpionico. Ecco, con le sue cancellature, Isgrò imprime alla letteratura i tempi vertiginosi dell’arte, permettendoci di cogliere l’essenza di un intero capitolo in un colpo d’occhio, ma, al contempo, con un’opera come questa, ci riporta, libro dopo libro, un personaggio o fotogramma via l’altro, ai tempi tipici della lettura, fatti di comprensione, apprezzamento, stupore e profonda immedesimazione.

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LA MOSTRA

Una nuova mostra per un nuovo progetto di Casa Testori, voluti e sostenuti dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta. Un progetto che ha visto Casa Testori curare uno studio della collezione del Museo del Castello Gamba, il Museo che raccoglie la collezione del Novecento della Valle d’Aosta, individuando alcune opere e maestri capaci di fungere da perno per future iniziative di valorizzazione, affinché il Castello Gamba, guadagni definitivamente il posto che gli spetta, quale meta imprescindibile per i turisti dei Castelli in Valle d’Aosta e approdo prediletto dagli abitanti della Regione.
Il primo frutto di questa collaborazione è la mostra Emilio Isgrò. I 35 libri dei Promessi Sposi cancellati, che espone un’opera importante e articolata di uno dei più importanti artisti concettuali italiani, in dialogo con il suo dipinto conservato al Castello Gamba: Quel che è scritto (1991), presentato per l’occasione con nuove efficaci chiavi di lettura. È la quinta “puntata” della fortunata rassegna di mostre Détails, con cui Castello Gamba valorizza il proprio patrimonio, ponendo l’attenzione del pubblico su uno degli autori presenti in collezione. 

Scarica qui la guidina della mostra

Edipus

di Giovanni Testori
scrittura di scena e interpretazione Roberto Trifirò
scenografia Gianni Carluccio, costumi Stefano Sclabas
luci Luigi Chiaromonte, collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
assistente alla regia Chiara Piemontese, collaborazione Francesca Cassanelli
trucco Daniele Francolino, foto di scena Angelo Redaelli
produzione teatro Out Off
Spettacolo In abbonamento Invito a Teatro
fino al 19 aprile  
Teatro Out Off


Promozioni dedicate allo spettacolo:
Per gli amici di Casa Testori e Associazione Testori ingresso speciale a 8 euro invece che 19,50. Per ricevere l’offerta è sufficiente prenotare scrivendo a info@teatrooutoff.it o chiamando lo 02.34532140

Roberto Trifirò, sua la scrittura di scena e l’interpretazione, entra nel mondo dell’“Edipus” del grande Giovanni Testori con la sua lingua ruvida e struggente, eccezionale mezzo di espressività e teatralità illuminando nella sua bella prova la metateatralità del monologo, tingendola di caratteri di sfida perduta ma non abbandonata, della fatica indomita della vita, di cosciente compostezza. Incontra la concretezza ruvida della lingua testoriana ed entra in “Edipus” offrendone una lettura febbricitante, è ironico ma mai cialtrone, in lui c’è il senso di malinconico dolore per un mondo di semplicità estinte. Nella “tragediosa tragedia” che chiude la Trilogia degli Scarrozzanti, i guitti, i reietti, i fuori norma, i non accettati, Edipo uccide consapevole il tiranno Laio e consapevole si congiunge con la madre. Lo scarrozzante, sacerdote del povero rito del teatro, ostinato gioca col proprio ciarpame: «Ecces qui i boccoli, le collane, le spille, le spillazze, i pendenti, i pendolenti…», pur sapendo che può solo continuare ad offrire se stesso all’utopia della libertà del teatro che rinnova sempre se stessa. Solitudine, autodistruzione, girare e andare. La vita di tutti, scarrozzanti e non.
Magda Poli (Corriere della Sera, 1 aprile)

Nella compagnia degli ultimi e dei reietti è rimasto solo il Capocomico, lo “Scarrozzante” ad interpretare tutti i personaggi. Con Edipus Testori completa la sua trilogia teatrale che ha come protagonisti personaggi presi dai classici. Attraverso la voce dell’unico protagonista della tragedia, Testori lancia la sua sfida luciferina pur sapendo che dopo di ciò resterà solo il silenzio. Un testo in cui la crisi della cultura e della coscienza contemporanea sono altamente rappresentati, ma anche un’opera che da letteraria si fa politica, nella misura in cui è politica la letteratura quando mira a dare un giudizio globale sull’uomo e sul mondo. L’indignazione di Testori si abbatte con violenza contro ciò che contamina la vita proprio per un estremo e disperato atto d’amore verso l’uomo.

L’amore

Lino Guanciale legge le (sue) poesie 
L’amore di Giovanni Testori viene pubblicato nel 1968 da Feltrinelli, si tratta di un’antologia di poesie scritte tra il 1966 e il 1967. Una raccolta molto intimista, in cui lo scrittore lombardo si misura con l’amore come sentimento totalizzante e incondizionato. Amore degli uomini e delle donne, carnale ma anche immortale.
Parlare d’amore con l’audacia linguistica di un autore scultore di immagini come Testori.
Testori fa una poesia ricca e profonda con slanci metafisici nella miglior tradizione della poesia amorosa. – la Repubblica

Lunedì 18 marzo h 20.30
Teatro Franco Parenti

scheda spettacolo >  
Intero > 25€ + pr. | acquista online 

UN’ALTRA PRIMAVERA. Artisti per l’equinozio 2019

A cura di Giuseppe Frangi
Castello Oldofredi, Calcio (BG)
16 Marzo – 7 Aprile 2019

UN’ALTRA PRIMAVERA
Giuseppe Frangi

Sarà un volto chiaro.
S’apriranno le strade sui colli di pini
Cesare Pavese

È un sole delicato e antico quello che si alza su Castello Oldofredi in occasione di questa nuova primavera. Lo ha ricamato Paola Sala, uno dei dieci artisti che hanno raccolto l’invito di partecipare a questa nuova edizione della Settimana della Cultura di Calcio. È un manufatto semplice, che richiama il sapore delle case dei nonni di un tempo, quando si aprivano i cassetti di soppiatto e ne uscivano le più straordinarie magie. In questo caso la magia ha però qualcosa di bizzarro e di imprevisto: i raggi blu non si dimostrano molto obbedienti ad un ordine e al centro la scritta sembra quella apparsa clandestinamente su un muro. Il fascino dell’arte è quello di sorprendere con la capacità di reinventare e reinventarsi. Così l’antico cucito diventa qualcosa che comunica l’avvento di un nuovo.

In questo caso il nuovo è la primavera, quel “volto chiaro” del mondo cantato da Pavese che s’allaccia con meravigliosa regolarità, ma che ogni volta ci riempie di stupore perché travalica la misura attesa. Con una certa sana presunzione l’arte non vuole e non può essere da meno. Deve avere in sé, sempre, un “nuovo” e deve travalicare le attese. La proposta che Casa Testori ha lanciato agli artisti in occasione di questa nova edizione dell’appuntamento a Castello Oldofredi è perciò non solo quella di accompagnare poeticamente l’arrivo di “un’altra primavera”, ma di essere con le loro opere esperienza di una “primavera”: appunto di “un’altra primavera”.

Quest’anno la famiglia degli artisti si è ingrandita: sono dieci quelli presenti a questa edizione, con una componente femminile inevitabilmente maggioritaria, perché siamo in un luogo profondamente permeato dalla presenza di donne, le suore Passioniste e le ragazze da loro accolte.

Calcio e il suo territorio custodiscono un cuore antico, ma sono stati attraversati e per certi versi anche feriti, dall’irruzione della modernità. Il paesaggio al quale quest’altra primavera regala nuova vita è perciò un paesaggio che a volte fatichiamo a riconoscere, come se la sua bellezza ci fosse stata sottratta. Nel percorso della mostra potrete vedere come gli artisti a volte abbiano proprio intercettato questa sensazione di uno strappo avvenuto, questo struggimento per un tesoro che potrebbe sfuggirci dalle mani e dallo sguardo.E ora cominciamo il nostro viaggio.

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LA MOSTRA

A seguito del successo dell’edizione precedente, il Comune di Calcio ha affidato nuovamente a Casa Testori la curatela della mostra che si è tenuta a Castello Oldofredi in occasione della Settimana della Cultura 2019 (16-24 marzo).
Una rinascita, una novità di sguardo, un cambiamento di prospettiva, che non riguarda solo la natura, ma che ha coinvolto anche chi questo mondo lo abita: 10 artisti sono stati invitati a documentare con la loro capacità poetica quel passaggio felice del calendario che è l’inizio della primavera. 
Il percorso, pieno di sorprese, si è proposto di indagare come gli artisti abbiano saputo interpretare questa dimensione di rinascita che coinvolge il paesaggio, il cielo, la natura e l’uomo, come miracolo che si rinnova con fedeltà ad ogni primavera.  
Non è stato un approccio solo descrittivo e naturalistico, ma anche meditativo e concettuale, che ha reso il visitatore non un semplice spettatore, ma partecipe ad un rito, ad un’esperienza.

GLI ARTISTI

Irene Balia, Andrea Bruschi, Emma Ciceri, Tamara Ferioli, Marco Grimaldi, Manuel Grosso, Paola Marzoli, Giulia Pellegrini, Marco Rossi, Paola Sala

Conversazione con la morte al Teatro Litta

Dal 19 al 31 marzo 2019
CONVERSAZIONE CON LA MORTE
di Giovanni Testori – regia Mino Manni – con Gaetano Callegaro
Ho divorato “Conversazione con la morte” quasi fisicamente e le parole del testo hanno cominciato a vibrare dentro di me, a farmi compagnia, a risuonare in modo struggente con una vita prorompente e purificatrice sebbene quelle parole fossero “portatrici di morte”. Da qui, inconsciamente, ho cominciato a sentire un legame profondo con Giovanni Testori e istintivamente ho riletto la sua raccolta di poesie “Nel tuo sangue” e, ancora istintivamente, ho cominciato a sviluppare idee, suggestioni, riflessioni fino ad immaginare uno spazio, un luogo dove mettere in scena quelle parole: uno spazio che non fosse solo un teatro ma un tempio sconsacrato, una sorta di chiesa benedetta e maledetta insieme dove il vecchio attore che parla ( il protagonista del testo) divora sé stesso in un rito ecclesiastico in cui l’altare diventa un tavolaccio da obitorio e dove attraverso la disperazione della sua solitudine, realizza la necessità di un dialogo con la “cara, dolce ed eterna ombra” che assume forma di cagna, ragazzina, amante e madre “dal grembo assassino” perché, al di là di ogni retorica sulla maternità, chi dà la vita dà anche la morte (Testori scrisse il testo nel 1978 dopo la morte della madre). In “Conversazione con la morte” c’è la fatica di dire e quella di non dire, l’anelito a una parola impossibile che diventa possibile soltanto attraverso il teatro: in fondo,semplicemente, un uomo solo che parla a un pubblico che lo ascolta. Che parla le parole sublimi, alte, poetiche e mai definitive di Giovanni Testori.
(Mino Manni)

OFFERTA CASA TESTORI
Per te due biglietti a 12€ cad. + prevendita 
Per info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it/ 0286454545 e attendere una conferma

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In un tempo fatto di ricordi, la “Cleopatràs lussuriosa” di Testori ci accompagna dentro l’universalità di una passione che ne segna tragicamente il destino.
produzione Manifatture Teatrali Milanesi/Ossoli-Manni
MTM La Cavallerizza – Corso Magenta 24 Milano

Dal 5 al 10 marzo 2019
CLEOPATRAS
di Giovanni Testori – regia Mino Manni – con Marta Ossoli
Una donna che pienamente ha vissuto, amato, goduto, e perso ogni cosa. Una vedova che intona un doloroso lamento di morte e un potente inno alla vita. La grandiosa imperatrice d’Egitto che ha dominato e sottomesso interi popoli. Una bagascia di paese che millanta un passato fantasioso e mai esistito. Cosa resta della “gran reina” dopo che ha deposto la corona? Uno spettacolo in cui sacro e profano, amore e morte giungono a un punto di fusione incandescente e poeticissimo attraverso un linguaggio crudo e palpitante, barbarico e sublime, unico e immortale. Come il suo autore.

OFFERTA CASA TESTORI
Per te due biglietti a 12€ cad. + prevendita 
Per info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it/ 0286454545 e attendere una conferma

Grande successo per la Monaca. Ecco le recensioni


«Uno spettacolo di rara forza, un trionfo della parola testoriana che “si fa carne”, materia viva in Federica Fracassi» (Magda Poli sul Corriere.it)
https://www.corriere.it/…/scena-la-monaca-monza-testori-mal…

«Questa Monaca che offre una elettricità linguistica meravigliosa e contiene la potenza di echi che risuonano forti dentro» (Maurizio Porro su Cultweeek)
http://www.cultweek.com/la-monaca-del-tormento-tra-spirit…/…

«Questa Monaca di Monza, raccontandosi post mortem senza sconti, mostrando impietosamente nella morgue scenica i dettagli anatomici della sua anima, tiene letteralmente la platea incollata alle poltrone, facendole respirare i suoi fiati, e l’urgenza del vivere» (Danilo Caravà su Milanoteatri.it)
http://www.milanoteatri.it/recensione-la-monaca-di-monza/…

La Monaca di Monza con Federica Fracassi

12 febbraio al 3 marzo al Teatro Franco Parenti.
regia: Valter Malosti; con: Federica Fracassi, Vincenzo Giordano, Giulia Mazzarino.


Valter Malosti e Federica Fracassi, entrambi pluripremiati dalla critica italiana, tornano a lavorare insieme portando in scena la feroce confessione di Marianna De Leyva. Nella versione di Testori, come in soggettiva cinematografica, la protagonista, da morta, rivive la vicenda fin dal suo proprio concepimento avvenuto con atto brutale del padre su una delicata figura di madre, per poi passare a rievocare il disperato amore per Gian Paolo Osio.
Ecco le note di regia di Valter Malosti:«Credo che pochi artisti italiani portino nella propria figura le stimmate dell’ “artista moderno” come Giovanni Testori – osservava Piero Citati nel 1971 -. Il suo bisogno fatale di andare oltre, sempre più avanti e lontano, dove nessuno possa sostare con lui: il suo disperato desiderio di conoscere il peccato, la dannazione, il rimorso e il delirio; e la fredda volontà di costruirsi, giorno per giorno, ora per ora, libro per libro, un destino tragico, cosa più moderno di questo?». 

Di Giovanni Testori, autore per me seminale, mi ha sempre affascinato, al di là della produzione teatrale, il Testori parallelo, sublime, avventuroso ed emozionale critico (e mercante) d’arte. L’installazione nella chiesa di S.Bernardino a Ivrea per mezzo del saggio di Testori sul tramezzo affrescato da Martino Spanzotti, è stata un passo decisivo nella mia ricerca di radici espressive (per citare una espressione tipicamente testoriana), e umane, non cito tanti altri tentativi e reading ma voglio almeno ricordare Passio Laetitiae et Felicitatis, tratto dal romanzo omonimo con una straordinaria Laura Marinoni, Le Maddalene, un progetto nato su impulso del festival DeSidera, e infine L’Arialda che ho realizzato dapprima come saggio di diploma della scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, che allora dirigevo, e poi come vero e proprio spettacolo. Il mio avvicinamento con Federica Fracassi alla Monaca di Monza viene invece da lontano, già nel 2009 avevamo dato vita ad un focus testoriano sulle figure monacali femminili testoriane, cui è seguito un primo studio di avvicinamento alla “malmonacata”, realizzato nel dicembre 2016 su suggestione del Teatro Manzoni di Monza. 

In Testori, Marianna De Leyva è una sorta di revenant che strappa se stessa, fantoccio di carta, dalla storia. La parola si fa carne, rimette insieme le sue “ossa maledette” per dar vita ad una blasfema eppur umanissima resurrezione. 
La tragica vicenda della protagonista prende forma con un andamento temporale distopico, e come in soggettiva cinematografica, addirittura fin da dentro il ventre materno, dal concepimento, dall’atto brutale del padre padrone, passando per gli opifici e le fabbriche e le macchine e le benne della Monza e della Milano degli anni sessanta, fino a rivivere il disperato amore, che è il cuore pulsante del testo, per Gian Paolo Osio vero e proprio eroe nero, sconcio e sanguinario che finirà i suoi giorni barbaramente trucidato. 
L’operazione drammaturgica (l’adattamento è per tre sole voci), e di regia, è volta alla radicale scarnificazione del testo, lasciando da parte quel sentore vagamente “pirandelliano” che si annusa nel testo completo, lasciando che l’andamento da feroce confessione, sviluppata in un dialogo apparente con l’inquisitore, si trasformi in quello che il nucleo del testo in realtà è, e cioè un atto violentemente ed eminentemente poetico, già lì ad esprimere una condizione “germinale” del teatro come prova “religiosa”, “immobile”, “lacerante e senz’esiti”, come ha scritto Barbara Zandrino, una interrogazione spinta fino alla blasfema chiamata in giudizio di Dio, con furioso slancio eretico, per aver voluto così la creazione. 

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