Botanica

URBAN SPACE GARDEN

A cura di Vincenzo Castella
Casa Testori
13 Febbraio 2016 – 17 Aprile 2016

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Urban Space Garden è una mostra, realizzata nell’ambito del progetto Botanica, che ha visto 4 artisti esporre a Casa Testori: Vincenzo CastellaDaniele MarzoratiLorenzo Morri e Giulia Pellegrini.

Vincenzo Castella

Le città sono preda di una schizofrenia: all’assenza e al soffocamento del verde, si risponde con un’idolatria della natura. Sul piano di realtà tra botanica e tessuto urbano c’è un rapporto di conflitto in cui il primo è sempre in posizione di forza. C’è poi un piano illusorio compensativo, in cui la natura recupera spazio, nella forma improbabile di una religione miscredente. È una sorta di bonsai mentale e a volte anche un po’ snobistico, che anestetizza il conflitto, riducendo l’ambito della relazione a una piccola sfera privata e privilegiata.Con Urban Space Garden, Vincenzo Castella, Daniele Marzorati, Lorenzo Morri, Giulia Pellegrini hanno fatto un’operazione opposta. Tra Urban Space e Garden non ci sono illusorie congiunzioni, ma c’è un tratto spezzato. La grande immagine di Castella stampata su tessuto e quindi esposta al vibrare dell’aria, come potrebbero esserlo le fronde di un albero, restituiva una veduta dall’alto di Soccavo, sobborgo occidentale di Napoli. In una griglia di urbanizzazione senza respiro si scorgeva un ciuffo imperioso di alberi, stretto dall’anello di uno svincolo. È un dettaglio che può sfuggire ma che rendeva invece l’imponenza del conflitto e quella capacità di resistenza estrema che la botanica dimostra rispetto alla città. Non è un’immagine di denuncia, ma un’immagine che accetta il conflitto e che si propone quello che Castella definisce usando la categoria di “conspectus”: un guardare oltre; che è l’opposto di “prospectus”, lo sguardo frontale, quello da un punto di vista che già “giudica” e distingue. “Conspectus” invece è sguardo che si inoltra. È sguardo che addentrandosi in immagini come #01 Milano 2012, guadagnava un livello di comprensione inatteso: la città cova piccole Giungle.

Daniele Marzorati

I lavori si muovevano tra il linguaggio fotografico, quello pittorico e il disegno. Attraverso un continuo rimando riscrivevano parti del visibile, studiando relazioni e differenze semantiche per una progressiva conoscenza della realtà.
Waste Land indagava, in 108 disegni a grafite, i luoghi milanesi sgomberati dai campi rom dal 2007 al 2013, a partire dai documenti ufficiali del comune di Milano sui quali si trova la descrizione di ogni sgombero.
Sezioni faceva riferimento alle foreste demaniali della Sardegna e ha utilizzato il montaggio diretto delle scene, durante la ripresa, all’interno del negativo. Attraverso la frammentazione del negativo — di 20 x 25 cm — le associazioni visive erano indissolubili e la pittura a olio interveniva per trasporre parti di alcuni negativi, ingrandite e riportate alla dimensione della matrice del negativo d’origine.

Lorenzo Morri

Il video Un Semplice Autoritratto Naturalistico nasce dagli scarti di un cortometraggio girato nella zona dei Monti Sibillini, nelle Marche, volendo fare un gioco di parole riferendosi ad una tecnica della pittura usando un altro mezzo di rappresentazione artistica.
Come il video, anche le tre opere a parete, dal titolo Pelle del serpente, simulavano la natura attraverso la stampa su tessuto.

Giulia Pellegrini

Si tratta di due installazioni e un video aventi come soggetto elementi naturali. Attraverso lo studio etimologico di una parola, l’analisi di un testo letterario e di un film del 1979, è stata creata una narrazione in grado di portare alla luce le problematiche dell’uomo contemporaneo.
In Sub Rosa, rose e parole si fondevano all’interno di una stanza. L’espressione sub rosa deriva dall’usanza di appendere il fiore al soffitto delle locande per rammentare agli avventori l’obbligo morale di non divulgare discorsi tenuti “sotto la rosa”.
In Colloquio tra Monos e Una erano presenti una pianta e uno specchio. L’uso del metalinguaggio, prendendo come riferimento uno dei racconti dello scrittore Edgar Allan Poe, permetteva di spiegare l’essenza della crisi della modernità: il distaccamento dell’uomo dalla natura e lo smodato desiderio di conoscenza che culminano nella filosofia dell’astrazione e della generalità. Quest’ultima non vede più il singolo individuo, con la sua concreta realtà esistenziale, ma solo i grandi movimenti della storia e delle idee.
In Oltre il giardino, video il cui nome e audio sono tratti dal film del 1979 che ha come protagonista un giardiniere, veniva rappresentato un limite e, al tempo stesso, veniva demarcata una soglia: il limite oltre il quale il singolo e le sue capacità non hanno più un’utilità; la soglia da cui quelle stesse capacità divenute inutili possono assumere altri significati.

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PREMIO PARCO DELLA BALOSSA. PRIMA EDIZIONE

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Casa Testori e Parco Nord Milano, in collaborazione con il Comune di Novate Milanese e il Comune di Cormano, hanno inaugurato l’installazione permanente Fake History di Francesco Fossati con cui l’artista ha vinto il Concorso Artistico Premio Parco della Balossa, promosso all’interno del progetto Botanica

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La presentazione di Fake History si inseriva in un momento di festa e di riscoperta dell’identità del Parco della Balossa. Pertanto, l’inaugurazione ha previsto una biciclettata (con partenza da Casa Testori a Novate Milanese oppure da Piazza Scurati a Cormano) avente lo scopo di far conoscere il parco ai partecipanti, culminando il percorso in prossimità dell’opera di Fossati e della Cascina Balossa, dove per l’occasione erano stati sistemati stand gastronomici e organizzate attività ludiche. Parallelamente, presso Casa Testori si poteva assistere alla proiezione di un video realizzato dall’artista con testimonianze inedite sulla storia del parco.

L’OPERA

L’opera di Francesco Fossati, Fake History, si compone di due targhe commemorative in marmo di Carrara, sulle quali sono incisi “testi di fantasia” che raccontano due avvenimenti, inventati ma plausibili, che uniscono idealmente la storia del Parco Agricolo con quella di due personaggi della cultura del secolo scorso. I soggetti delle storie sono stati concepiti dall’autore a seguito di una serie di incontri e interviste ad alcuni abitanti del territorio che, in maniera diversa, per questioni professionali o sentimentali, hanno legato le loro vite a quella della “Balossa”.
L’opera, che non vuole manifestarsi come tale, ma preferiva mimetizzarsi all’interno del contesto, vuole essere da stimolo nei confronti dello spettatore che si trovava a dover discernere tra realtà e finzione. Il dubbio, pertanto, diventa un motore per indagare la storia di un luogo, per scoprire una dinamica culturale in atto che fonda le sue basi su un passato immaginato e immaginifico allo stesso tempo. L’ironia che sottende i testi incisi nel marmo è strumento atto a generare consapevolezza nello sguardo dello spettatore riguardo all’ambiguità di ciò che osservava e conduceva a riflettere sulla reale natura di questo intervento.
La forza evocativa di queste opere è un elemento che contraddistingue l’intero progetto, nel quale non venivano mostrate delle immagini, ma piuttosto veniva stimolata l’immaginazione di ogni fruitore al fine di generare una propria visione, l’immagine di un ricordo di un avvenimento mai accaduto.
Il progetto ideato da Fossati per il Parco della Balossa è un’estensione dell’omonimo Fake History, iniziato nell’estate 2015 a Carrara nell’ambito del primo Festival di Scultura Contemporanea e premiato da una giuria composta, tra gli altri, da Michelangelo Pistoletto, Giacinto Di Pietrantonio, Laura Cherubini e tutt’oggi esposto nelle vie del centro storico della città. L’opera si è in seguito ampliata, sotto il nome di False Friend, posizionando nuove targhe nel napoletano presso Cantina Montone (Montoro) e a Monaco di Baviera in Germania.

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L’ARTISTA

Francesco Fossati (1985), è artista visivo e membro della redazione della rivista E IL TOPO. Ha realizzato mostre personali e collettive in importanti sedi istituzionali come PAN | Palazzo Arti Napoli, MAC di Lissone, Kaiserliche Hofburg a Innsbruck, Museo di Castel Sant’Elmo a Napoli, GAMeC a Bergamo, Careof a Milano, Museo della Permanente di Milano, Casa del Mantegna a Mantova, Museo Tornielli ad Ameno, Museo Centrale Montemartini a Roma, Isola Art Center a Milano, Contemporary Art Museum a Mendoza in Argentina e Museo Carlo Zauli a Faenza.

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Visita speciale per gruppi organizzati!

Un occasione imperdibile per vedere la mostra di William Congdon. Pianura
Oltre alla vista guidata, della grande mostra del pittore americano amato da Giovanni Testori, sarà  possibile vedere il video sull’Arte Contemporanea con la voce di Giacomo Poretti. Il video fatto in occasione della mostra Tener Vivo il Fuoco, Sorprese dell’arte Contemporanea che ha riscosso un grande successo.

La visita è possibile prenotarla da martedì al venerdì dalle 10 alle 18.
costo 10 euro (compresivo di biglietto e visita guidata)
Numero minimo di partecipanti 10

prenotazione obbligatoria a info@casatestori.it o chiamando al 02 36589697

 

ARTICOLI FANTASIA

A cura di Lorenza Boisi
In collaborazione con MARS
14 Novembre 2015 – 10 Gennaio 2016

Nell’arco di cinque mesi, CircoloquadroMARS e Lucie Fontaine, tre realtà indipendenti di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea, hanno avuto la possibilità di declinare liberamente il macro-tema della Botanica, scelto come filo conduttore per la stagione espositiva 2016 di Casa Testori, alternandosi in alcune delle stanze del piano terra.

Dodici artisti sono stati invitati a Laveno, sul lago Maggiore, a seguire un laboratorio di decorazione ceramica. Proprio a Laveno, infatti, dalla metà dell’Ottocento si sviluppò una fiorente tradizione ceramica, che si esaurì purtroppo alla fine degli anni Novanta del XX secolo. Resistono le tracce di questa tradizione nell’attività di alcuni laboratori e realtà artigianali, con cui gli artisti selezionati da MARS tramite un bando sono stati chiamati a confrontarsi. Si sono trovati, così, a sperimentare una tecnica differente da quella padroneggiata abitualmente, decorando vasi di dimensioni e forme diverse.
Una flower designer, Domitilla Baldeschi Oddi, è stata invitata a scegliere un fiore per ognuno dei vasi realizzati dagli artisti, mentre Alessandro Frangi, attraverso le fotografie, ha catturato l’abbinamento tra la caducità delle piante e la resistenza del vasellame.
Completava il percorso espositivo, nella seconda stanza, una cartella di disegni da sfogliare, realizzati dagli stessi artisti sul tema Botanica, che componevano un Giardino di Carta, a cura di Yari Miele.

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Alice Tomaselli, NO FOOD, NO PET, NO FLOWERS

In collaborazione con Lucie Fontaine
14 Novembre – 10 Gennaio

Nell’arco di cinque mesi, CircoloquadroMARS e Lucie Fontaine, tre realtà indipendenti di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea, hanno avuto la possibilità di declinare liberamente il macro-tema della Botanica, scelto come filo conduttore per la stagione espositiva 2016 di Casa Testori, alternandosi in alcune delle stanze del piano terra.

No food, no pet, no flowers è quanto recita il cartello di divieto esposto all’entrata del National Art Center di Tokyo, città in cui l’artista, Alice Tomaselli, vive e lavora dal 2011.
Nel percorso proposto dall’artista, veniva tentata una sintesi tra la tradizione occidentale e quella orientale, che ha sviluppato diverse tecniche di definizione e modellazione di fiori e piante, come l’ikebana, il bonsai e il somebana.
Proprio dall’ikebana, l’arte della disposizione dei fiori recisi, trae spunto la serie di sculture, esposte nella prima stanza, rappresentanti una sorta di autoritratto frammentato dell’artista: realizzate in cartapesta e stoffa, davano vita a una composizione floreale ispirata alle illustrazioni di un manuale di ikebana.
Il somebana è, invece, la tecnica giapponese della realizzazione di fiori in seta. Nella seconda stanza, Alice Tomaselli presentava una coppia di dipinti con forme geometriche, che sono state utilizzate da un’artigiana per realizzare dei fiori finti. 
In mostra erano presenti due bouquet, realizzati con le stesse forme ma con tonalità differenti, a rappresentare le diverse fasi della vita delle piante.

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William Congdon, PIANURA

A cura di Davide Dall’Ombra e Francesco Gesti
Casa Testori
11 Ottobre 2015 – 14 Febbraio 2016

OREFICE DEL NOSTRO TEMPO
Giovanni Testori
Como, Marzo 1983

Credo che quanti abbiano visitato una mostra di Congdon saranno stati subito colpiti — e poi su questo, penso, avranno soprattutto meditato — da una verità globale, che fa come da basso continuo, da ron ron, a tutta la grande carriera di questo maestro. Ed è una verità di base esemplare, è la verità di base — o dovrebbe esserlo — di ogni uomo. In quanto ciò che emerge per primo, come una tenebrosa e luminosa realtà, è che William Congdon è sì cittadino americano, perché è nato in America, ma in realtà è cittadino del mondo. La sua storia avviene, si svolge non in una città, non in una nazione, non in una sola cultura, ma ha come suo proprio sangue — come sua propria pulsione, come sua propria avventura e destino — di visitare, conoscere, amare e, direi, di impattarsi ogni volta, di abbracciare ogni volta città, nazioni, culture diverse. Ogni volta l’incontro con una nazione, con una cultura, con una città, con un paese, con l’ansa di un golfo, con un pezzo di mare, ovvero con la sterminata dolcezza della pianura lombarda, ogni volta l’incontro ha un aspetto di una definitiva assunzione e, nello stesso tempo, di una definitiva caduta del pittore dentro la verità di questi diversi luoghi, di queste diverse culture, di queste diverse città, paesi, frammenti di mare, o di campagna. 
Non che Congdon cambi, Congdon resta sempre se stesso, naturalmente, nel procedere della sua avventura. Ma direi che il destino da cui è chiamato è quello di, ogni volta, stringersi, farsi mangiare, farsi stringere, con un rapporto che è quasi eucaristico (e magari un po’ cannibalesco, se vogliamo) con le realtà che di volta in volta la sua sete, il suo bisogno di conoscere città, nazioni, culture, paesi (quindi di conoscere la creazione, di conoscere la terra) lo spinge a incontrare. E allora si parte da New York per procedere in una sequela di immagini che non hanno paragone nella storia della pittura moderna. Alcuni pittori ci hanno dato immagini certo sorprendenti, memorabili, patetiche, gloriose, drammatiche di alcuni frammenti del mondo. Nessun pittore ci ha dato una catena, direi un’epopea, un poema, in cui le città più diverse del mondo abbiano trovato, come in lui, un cantore sconfitto e, dunque, vittorioso.

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LA MOSTRA

Pianura” è la mostra che nel 2016 Casa Testori ha dedicato al pittore William Congdon (1912-1998): artista internazionale dell’Action Painting amato da Giovanni Testori che, dalla New York degli amici Jackson Pollock e Mark Rothko, dopo aver viaggiato in tutto il mondo, decide di radicarsi a sud di Milano e dedicare la sua ultima produzione al ritratto intimo di campi coltivati, risaie e frutti della terra lombarda.
La mostra, realizzata in collaborazione con The William Congdon Foundation, puntava a indagare il ventennio lombardo del maestro americano. I circa 50 dipinti e i 20 pastelli selezionati descrivevano una parabola di conoscenza sempre più intima e profonda del sud-ovest milanese, che costituisce l’apice del suo percorso.
Le stanze tematiche presentavano i diversi nuclei intorno ai quali si articola la sua produzione: riemergevano, in una chiave nuova, i nodi affrontati a fianco degli action painters, frutto di un’osservazione solo apparentemente stanziale. 
Dopo le New York degli anni Quaranta, i Sahara e Santorini degli anni Cinquanta, la ricerca da spaziale si fa temporale. Protagoniste diventano la potenza della terra, delle sue trasformazioni e la mutabilità inesauribile del ciclo stagionale, delle colture e dei fenomeni atmosferici. È così che i campi sono chiamati per nome e il passaggio del tempo è fissato con la spatola tra i lunghi i solchi della pittura a olio.
Ricostruita per l’occasione, una sorta di quadreria immaginifica immergeva il visitatore tra le visioni notturne del colore dei campi ubertosi, in una relazione intima, lirica, quando non mistica e simbolista, con la terra, l’orzo, la soia, il mais, i glicini e le violette.
Non si trattava tuttavia di visioni idilliache, perché lo sguardo di Congdon lo portava a sconvolgere l’orizzonte sui campi, che da una disposizione lineare che ricorda ancora le città, muta in un disassamento dei piani, quasi a seguire le trasformazioni telluriche dell’origine. Un tormento, anche materico, che si risolve e trova pace nelle straordinarie Nebbie che aprono la via ai monocromi, introducendo una profonda trasformazione nella percezione e rappresentazione dello spazio, del rapporto tra i suoi elementi strutturali (cielo, terra e orizzonte) secondo un’ottica sempre meno naturalistica.
Riemergevano così le meditazioni sull’opera di Braque e De Staël, ma soprattutto, i confronti e dialoghi pittorici intessuti in presa diretta con la Scuola di New York di Betty Parson e Peggy Guggenheim, che hanno portato opere di Congdon nei più importanti musei di New York e alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.

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PROFESSIONE BOTANICO

A cura di Mami Azuma
In collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Milano
10 Ottobre – 8 Novembre 2015

Da un esperimento, la realizzazione della mappatura del giardino di Casa Testori, è nata l’idea della mostra Professione Botanico, una selezione di affascinanti erbari che hanno aiutato a conoscere meglio l’appassionante lavoro di chi “cataloga” la natura: il botanico.
Grazie all’esposizione i visitatori hanno avito modo di scoprire come questa figura professionale non si occupi unicamente dello studio teorico, fine a se stesso, di specie erbacee, arbustive e arboree, attraverso la raccolta, il riconoscimento e la conservazione degli esemplari, chiusi in un armadio. Ma bensì che le scoperte nell’ambito della botanica hanno delle ripercussioni nella vita di tutti i giorni. A tal proposito, il percorso della mostra apriva le porte alla sezione di Botanica del Museo di Storia Naturale di Milano, svelando alcune delle attività condotte quotidianamente nei laboratori e nei depositi. 

Le collaborazioni con istituti di ricerca universitari, enti territoriali, aziende sanitarie e centri ospedalieri costituiscono una fitta rete di scambi di informazioni ed esperienze che evidenziano l’utilità delle ricerche botaniche condotte negli anni.
Il tempestivo riconoscimento, al pronto soccorso, per esempio della foglia, del frutto, del seme o della radice ingerita, anche inavvertitamente, da un paziente consente al personale dei Centri Antiveleni di intervenire rapidamente con una terapia appropriata, mirata al tipo di sostanza tossica, potenzialmente mortale. In una certa misura si ha la convinzione che tutto ciò che è “naturale” non possa che far bene. Nulla di più falso, basti pensare alle gravissime intossicazioni provocate dai funghi.

Percorrere il territorio osservando la flora spontanea, unitamente al possesso di solide conoscenze botaniche, consente di monitorare costantemente l’ambiente e di segnalare con tempestività la comparsa di specie esotiche potenzialmente invasive che possono colonizzare, in pochi anni, il territorio, sostituendosi alla flora autoctona. L’introduzione di specie esotiche può essere del tutto accidentale, ma i danni in termini ecologici ed economici per l’estirpazione della specie indesiderata non sono da sottovalutare.

Non si vuole però togliere del tutto quell’aura di romanticismo che circonda l’attività del botanico. Infatti, l’eventualità di trovare delle specie nuove, anche ai giorni nostri e senza andare in qualche regione sperduta della Terra, esiste. Nel 1992 Enrico Banfi e Renato Ferlinghetti hanno infatti determinato l’esistenza di una nuova specie: la Primula Albenensis, presente sul Monte Alben nelle Prealpi Bergamasche. Banfi e Ferlinghetti così coronato il sogno di molti botanici.

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PROGETTO OSKAR

A cura di Arianna Beretta
In collaborazione con Circoloquadro
10 Ottobre – 8 Novembre 2015

Nell’arco di cinque mesi, CircoloquadroMARS e Lucie Fontaine, tre realtà indipendenti di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea, hanno avuto la possibilità di declinare liberamente il macro-tema della Botanica, scelto come filo conduttore per la stagione espositiva 2016 di Casa Testori, alternandosi in alcune delle stanze del piano terra.

Come un pomodoro può riqualificare un territorio. Un percorso delicato e coinvolgente proposto da Fabrizio Segaricci. Un progetto di arte relazionale. Una riflessione su come prendersi cura del territorio, stabilire relazioni sociali, creare un contatto umano fra le persone e il proprio luogo di appartenenza. 
Una passeggiata lungo le rive del lago Trasimeno, luogo da anni in bilico tra paesaggio e abbandono, induce l’artista a meditare sul tema dell’attraversamento: come l’uomo e il suo passaggio sono in grado di mutare il luogo che percorrono e rigenerarlo rispettandone natura, identità e storia? Attraverso immagini e video, l’artista raccontava l’esperienza documentando comportamenti e reazioni delle persone spontaneamente coinvolte.

Progetto Oskar nasce nel 2013 durante gli attraversamenti di Segaricci nei dintorni del Lago Trasimeno, luogo protagonista di molti dei lavori dell’artista umbro, che si rende conto, con grande dispiacere, che i luoghi della sua infanzia, quelli dei giochi con i compagni, sono ormai diventati piccole discariche. E allora, proprio come fanno i contadini che puliscono il terreno dalle erbacce e dagli arbusti per preparare la semina, Segaricci pulisce dall’immondizia una piccola striscia di terreno che dà sul Lago. Una volta preparata la terra, ecco il momento della semina. Decide di piantare Oskar, una piccola pianta di pomodori Perini, già coltivati in passato nell’area umbra.
E siccome la semina e, soprattutto, il raccolto dei frutti del terreno sono sempre stati un lavoro corale, Fabrizio Segaricci invita la popolazione locale a prendersene cura. Lo fa con il suo modo gentile e coinvolgente: parla con le persone in piazza, al bar, per strada. Semplicemente dice loro che ha piantato dei pomodori e che c’è bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. L’artista realizza qui Osservatorio Oskar, una panca di legno che consente ai visitatori di fermarsi non solo ad osservare l’opera, ma anche a riprendere contatto con il luogo e con la terra cui appartengono.
Dopo uno scetticismo iniziale, iniziano le visite: le persone del luogo, incuriosite, vanno a vedere. Alcuni puliscono la zona dalle erbacce, molti danno prima l’acqua alle piante, poi il verderame, altri si preoccupano di legarle e, infine, piantano altri pomodori. Oskar diventa così un luogo in cui incontrarsi, chiacchierare e portare i bambini, che quasi non sanno dove crescono i pomodori che vedono al supermercato; i Magionesi riscoprono la bellezza di un brano della loro terra, creando una sorta di comunità concentrata in quel preciso luogo. Una semina che ha dato i suoi frutti, tanto che i pomodori vengono raccolti per farne dei barattoli di passata. Una semina che ha dato altri frutti perché Segaricci documenta l’intero processo attraverso fotografie e video, dando la possibilità  di “toccare con mano” quell’arte relazionale che funziona perché parte dalla gente, perché non viene imposta dall’alto come esperimento sociale o artistico. Un coinvolgimento della popolazione spontaneo, che segue un invito fatto tra una chiacchiera e l’altra, quasi sottovoce.

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