Author: Alessandro Frangi

METAMORFOSI DI IDENTITA’ E METAMORFOSI DI PAESAGGI

Felipe Aguila, nato in Cile 

Filum è un tentativo di tornare alle proprie origini, cercando di analizzare la distanza rispetto al presente. Nel film, tramite una doppia inquadratura, Felipe Aguila confronta se stesso con suo padre, per verificare se e come il tempo, la distanza, le abitudini differenti abbiano modificato la sua identità o se permanga un filo invisibile, a prescindere dai continenti diversi e dagli spazi attraversati. Mi sono reso conto che il modo in cui penso è cambiato non solo in senso linguistico, ma che anche il senso di appartenenza a una cultura è diventato più debole. Molti anni fa le mie abitudini erano simili a quelle di mio padre: il modo di mangiare, di concepire il tempo o il modo di pianificare la vita. Vorrei misurare la distanza che c’è tra me, oggi, e ciò che ero anni fa, prendendo come riferimento una persona che rappresenta le mie radici e che non è cambiata così tanto in questi anni. 

Oscar Contreras Rojas, nato in Messico

Una fusione tra tradizioni differenti, ma accomunate dalla stessa idea di trasformazione: il Popol Vuh (“Libro della comunità”) e Le metamorfosi di Ovidio sono il punto di partenza dell’opera di Oscar Contreras Rojas. 
Sia nella raccolta di miti e leggende dei vari gruppi etnici che abitarono la terra Quiché, uno dei regni Maya in Guatemala, sia nel poema epico latino il fulcro del racconto è, infatti, la metamorfosi, la possibilità di cambiare, di evolvere. Così, le piccole sculture della serie Mutant sono un assemblaggio di materiali differenti, in parte oggetti ritrovati in parte ricostruiti artificialmente, mentre il grande quadro a parete, che riassume la fluidità e la leggerezza pittorica caratteristiche dell’artista, evoca un paesaggio indistinto, con un accenno di figure che vanno costruendosi.

Appocundria, Casa Testori, 2019 © Maki Ochoa-19
Appocundria, Casa Testori, 2019 © Maki Ochoa-20
Appocundria, Casa Testori, 2019 © Maki Ochoa-21
previous arrow
next arrow

TANTE CASE, TANTE STORIE IN UN’ALTRA CASA: BENVENUTI

Alek O., nata in Argentina

Ve ne siete accorti? Li avete visti? Se foste scalzi, li sentireste sotto di voi. Con le setole dure, su cui centinaia di suole si sono strofinate, migliaia di piedi hanno atteso. Forse aspettando che qualcuno aprisse la porta, forse cercando le chiavi nella borsa. Siete oltre la soglia, non siete più la fuori, ma siete su un’altra soglia. In sospeso, senza sapere cosa ci sarà oltre. In un interno, con uno slittamento che è il primo spaesamento, come quando si entra in un luogo in cui c’è qualcosa fuori posto. Qualcosa che non è più se stesso, ma di sé conserva quasi ogni cosa: forma, colore. Un’altra funzione, certo. Racconta la propria storia, in un altro luogo. Adesso, custodisce anche un poco le vostre impronte, questo vostro passaggio.

Appocundria, Casa Testori, 2019 © Maki Ochoa-18

RENATA BOERO

Le opere di Renata Boero presentate in Libere tutte fanno parte della serie dei Cromogrammi. Sono esposte nella veranda, nell’ambiente visivamente connesso al giardino, con il quale stabiliscono un dialogo stretto e intensamente poetico con il contesto. Le tele non sono dipinte, ma sono esito di collaudati processi grazie ai quali i colori rilasciati da alcune selezionate erbe vengono fatti colare sulle tele stesse che l’artista ha disegnato e ripiegato, ritmando la superficie. Il colore cola e inciampa nella trama dando vita a concrezioni materiche sempre diverse, generando così delle continue trasformazioni della superficie. L’impatto con il sole e con l’aria nella fase di asciugatura completa il processo, lasciando che sulla superficie agiscano anche gli agenti atmosferici. Il risultato sono opere nelle quali la natura entra in gioco non come tema di rappresentazione, ma come fattore controllato che agisce nel farsi stesso dell’opera. Anche il tempo in questo processo riveste un ruolo, quale, ad esempio, nel progressivo consolidarsi delle pieghe, che conferisce una dimensione fisica e scultorea dell’opera. L’allestimento nella veranda di Casa Testori ha esaltato anche un’altra caratteristica di questi lavori di Renata Boero: la dimensione architettonica data dalla loro verticalità. È una tensione verticale nella quale entra in gioco il pensiero dell’artista, che associa a questi totem naturali un’imprevista energia ascensionale: identità formali compiute che si sono conquistate una loro autonomia spaziale.

PEL_1203
PEL_1210
PEL_1225
PEL_1229
PEL_1242
PEL_1248
PEL_1252
PEL_1258
previous arrow
next arrow

Telero, 2015, colore naturale su tela portuale, 90 x 290 cm, courtesy l’artista
Ctonio, 2015, colore naturale su tela portuale, 50 x 150 cm, courtesy l’artista
Ctonio, 2015, colore naturale su tela portuale, 50 x 150 cm, courtesy l’artista
Progetto bianco, 2015, colore naturale su tela portuale, 90 x 90 cm, courtesy l’artista

MARTA SPAGNOLI

Il segno è al centro della ricerca di Marta Spagnoli. È un segno che non scaturisce da ipotesi predeterminate ed è liberato da ogni necessità di significare. Il segno è l’entità primigenia, che indica innanzitutto il vivere della pittura sulla superficie a cui è destinata. Non è un caso che, come accade nell’opera di grandi dimensioni presentata a Casa Testori, il segno prenda un aspetto filamentoso di organismo naturale che abita la tela in modo attivo, come una scrittura in continua mutazione. Il segno per Marta Spagnoli assume infatti valore pittorico nel momento in cui si libera dalle intenzionalità e dalle emotività, accettando di ridursi a traccia, a indizio, semplice esito di un “fare” che a volte può semplicemente coincidere con l’azione del pennello. È una condizione in cui non ci sono gerarchie, né sequenze che possano restituire una logica a quei segni: la pittura diventa così un campo aperto in cui avviene una riemersione di forme, sempre in bilico tra arcaico e presente, tra dimensione fisica e dimensione mitica. Il segno, per quanto scarico di contenuti, non retrocede mai nell’astrazione. La superficie, come ben riscontrabile in Untitled, diventa così luogo di grande densità pittorica, un campo dove vengono a raccogliersi energie molteplici ed elementari. La tela diventa spazio abitato da queste sequenze, che non sono semplici restituzioni in scrittura del reale, ma particelle pregnanti dalle quali attendersi nuovi e continui processi di significazione.

PEL_0974
PEL_0966
PEL_0955
previous arrow
next arrow

Untitled 2019, acrilico ed olio su tela, 150 x 200 cm, courtesy l’artista

IVA LULASHI

Il punto di partenza della pittura di Iva Lulashi è frequentemente un “frame” video. L’artista, dopo aver compiuto una ricerca nel web con alcune delle parole che ama indagare, sceglie un’immagine che ritiene adatta a innescare un processo pittorico. Il “frame” funziona da spiraglio sulla realtà e proprio per la sua indeterminatezza e anche la sua ambiguità lascia spazio aperto all’agire della pittura. È un metodo a cui l’artista si attiene con molta coerenza e che sta alla radice dell’opera Sweet flagrum, realizzata appositamente per Libere tutte. È un olio di dimensioni nettamente più grandi rispetto alla consueta produzione di Lulashi, documentata dagli altri due quadri esposti. Il corpo di donna inghiottito da una natura dall’apparenza vorace è una prova di alta qualità e intensità pittorica, con quelle stesure a macchia che restituiscono una tensione drammatica che è intrinseca al processo tecnico. L’opera vive così di una doppia spinta contrastante. Da una parte mantiene un senso di lontananza, fisica e temporale, restituito dal tono ovattato della pittura; dall’altra esprime una dimensione di imminenza, di urgenza che è propria delle situazioni indagate. Anche la figura femminile di Sweet flagrum è sottoposta a questa duplice tensione che la sospinge nel groviglio vegetale del contesto (il “dolce flagello” a cui fa riferimento il titolo dell’opera) e contemporaneamente la fa rimbalzare sulla superficie della tela. Lo spazio liberato dall’indeterminatezza del “frame” diventa in questo modo un campo in cui la pittura può operare, ampliando oltre misura lo spettro dell’ambiguità.

PEL_1025
PEL_1036
PEL_1043
previous arrow
next arrow

Sweet Flagrum 2019, olio su tela, 90 x 120 cm, courtesy l’artista e Prometeo Gallery, Milano 
Sposta il sole 2019, olio su tela, 30 x 30 cm, courtesy l’artista e Prometeo Gallery, Milano
Il ridicolo addio 2019, olio su tela, 40 x 50 cm, courtesy l’artista e Prometeo Gallery, Milano

DEBORA HIRSCH

I lavori presentati in mostra da Debora Hirsch sono complementari e spiazzanti nella relazione tra di loro. La prima operaIconography of silence è costituita da due video, confezionati come un dittico. L’artista affronta il tema drammatico degli abusi sulle donne, scegliendo un linguaggio scabro che nulla concede alla retorica e alla spettacolarizzazione. Nel primo video frammenti di immagini di violenze riprese da telecamere ambientali emergono dal fondo dello schermo per pochi istanti concitati e poi lasciare spazio allo sconcerto e al silenzio. Nel secondo, invece, poco alla volta assistiamo al comporsi di una sequenza di frasi reali che hanno accompagnato gli episodi di violenza, in caratteri di color rosso. Il flusso delle parole alla fine stabilisce una “texture” che trafigge lo sguardo. La violenza trova così una sua voce che risulta ancora più impattante nell’assenza del suono che contraddistingue l’opera. La superficie a specchio dei due schermi completa il senso dell’opera: chi guarda ritrova la propria immagine catturata dai video come a certificare l’impossibilità di chiamarsi fuori. Di fronte la grande tela della serie Firmamento funziona da compensazione, con lo stile arioso e immaginifico della composizione. Hirsch infatti dispiega sulla superficie della tela, con molta libertà, elementi derivati da una sensibilità visiva latina. L’aspetto è volutamente neutro e decorativo. La sensazione, per colui che guarda, è che quel viluppo di forme abbiano una funzione taumaturgica, che bilancia il male sigillato dentro le scatole nere dei video.

PEL_1089
PEL_1092
PEL_1047
PEL_1176
previous arrow
next arrow

Iconography of Silence (images), 2019, ipad, cornice, specchio, 32 x 39 cm, courtesy l’artista
Iconography of Silence (sentences), 2019, ipad, cornice, specchio, 32 x 39 cm courtesy l’artista
Firmamento, 2019, olio su tela, 110 x 186 cm, courtesy l’artista

LUCIA VERONESI

Era lì da sempre nasce durante un periodo di residenza di Lucia Veronesi in Norvegia. L’opera, che è formata da rocce e da materiali di risulta provenienti da lavorazioni industriali, è costituita da elementi raccolti in numerose camminate, delle quali sono traccia e memoria, una sorta di casuale campionamento. Nell’installazione – il cui titolo ha un sapore vagamente esistenziale riferito forse anche alla condizione di abbandono dei materiali raccolti – l’artista associa elementi leggeri, come i tessuti, con parti scultoree più massive, realizzate invece in roccia e gesso. Era lì da sempre appare così costituita da forme eterogenee, da scarti (cioè gli elementi meno nobili) del paesaggio e del ciclo produttivo, tessuti sfibrati e strappati. A questi Veronesi dà nuova vita, risemantizzandoli come elementi costitutivi di un nuovo paesaggio, ipotetico, mentale e proiettivo, ma non per questo meno suggestivo e gravido emozionalmente. Coesistono così nell’opera componenti naturali e materiale antropico, istanze di tipo organico e i segni nascosti del nostro mondo industriale, entrambi parti di un’orografia complessa che procede per suggestione, per frammenti, per paratassi, per addizione di elementi successivi. L’opera, riallestita e rimodellata sulla planimetria della stanza di Casa Testori, dialoga con il ritaglio di paesaggio che si vede dalla finestra, in un continuo rimando di frammenti materiali, cromatici e geometrici.

PEL_0898
PEL_0905
PEL_0910
previous arrow
next arrow

Era lì da sempre, 2019, tessuto, gesso, acrilico e rocce, installazione ambientale, courtesy l’artista

ESTHER STOCKER

La pratica artistica di Esther Stocker è rivolta alla natura percettiva dell’immagine e dello spazio, che vengono indagati sia con la pittura che con opere e installazioni di natura tridimensionale. I suoi lavori, asciutti e razionali, analizzano l’ambiguità ottica sottesa alle matrici geometriche, alle ripetizioni delle medesime forme e alle sovrapposizioni di più trame. Stocker crea infatti – con strumenti semplici e minimali come la linea, il poligono e l’impiego del semplice bianco e nero – delle strutture visive in cui gli elementi spingono l’occhio in una condizione di difficoltà di lettura o di possibile ambiguità spaziale. L’incertezza, il conflitto tra più ipotesi interpretative, tra forme bidimensionali e visione prospettica, mettono lo spettatore in una condizione di spiazzamento e di ludico piacere; ma anche di ansia di comprensione a cui risulta difficile sottrarsi se non deviando lo sguardo altrove, chiudendo gli occhi o, quando è possibile, toccando con le mani. I lavori di Stocker mostrano così i limiti strumentali insiti nelle consuete modalità visive con cui siamo abituati a guardare il mondo, costringendoci a ridiscuterne la pregnanza e la reale efficacia. Inoltre le sue opere testimoniano le possibilità dell’immagine, e più in generale dell’arte, di costruire mondi che non ci sono e di creare spazi indeterminati, astratti. Luoghi nei quali l’occhio e l’osservatore possono smarrire le coordinate che ci aggrappano all’ordinario e perdersi.

PEL_1263
PEL_1265
PEL_1268
previous arrow
next arrow

Untitled, 2017, acrilico su tela, 100 x 100 cm, courtesy l’artista e Galerie Alberta Pane, Parigi e Venezia
Untitled, 2017, acrilico su tela, 140 x 160 cm, courtesy l’artista e Galerie Alberta Pane, Parigi e Venezia

GIORGIA SEVERI

La ricerca di Giorgia Severi è rivolta all’ambiente e alle modalità con cui esso interagisce con l’uomo dal punto di vista geologico, biologico, culturale ed emotivo. In particolare la sua opera indaga la condizione di precarietà e fragilità del paesaggio nonché i repentini cambiamenti in atto a causa della devastante presenza antropica, che ha conformato in base alle proprie esigenze ogni angolo della terra. About the creation (Rocca Pendice, parete Messner) è un “frottage” di una parete montuosa realizzato a carbone direttamente sulla superficie di un arazzo, presso i Colli Euganei, un luogo particolarmente esposto ai fenomeni di erosione a causa dei cambiamenti climatici. L’opera è un’impronta di una piccola area della montagna, un calco che ne evoca silenziosamente la presenza, la smisurata età e la mastodontica estensione, che paiono enormi rispetto alla presenza di un singolo uomo, come l’osservatore, che con essa si confronti. Ma è anche un dispositivo tecnico che registra in forma bidimensionale uno stato transitorio del paesaggio, una forma precaria e transitoria che sarà poi destinata a cambiare, alterarsi, erodersi o dissolversi: esattamente come un’immagine fotografica l’opera testimonia un momento passato che non potrà più presentarsi con le stesse caratteristiche. L’arazzo risulta così un campionamento di un preciso momento che restituisce non solo la suggestione di qualcosa che c’era, ma metaforicamente mostra ciò che si vuole proteggere dall’avanzare del tempo e dalla rovinosa azione degli uomini.

PEL_1299
PEL_1305
previous arrow
next arrow

About the creation (Rocca Pendice, parete Messner), 2019, carbone su tela di cotone, ossidi, 200 x 290 cm, courtesy l’artista

CHRIS ROCCHEGIANI

La pratica artistica di Chris Rocchegiani è caratterizzata dalla presenza simultanea di più stili e più soluzioni esecutive, che riferiscono a differenti modalità pittoriche. Nelle sue tele si riconoscono infatti sezioni di diversa natura: parti gestuali e informali, caratterizzate dalla predominanza del segno e dell’azione; aree aniconiche di puro colore, improntate agli aspetti lirici; episodi riconducibili figurativi sintetici e frugali, in cui gli elementi sulla tela paiono brandelli di realtà ricostruiti grazie a un’azione essenzialmente mnemonica. L’opera dell’artista è così basata su un linguaggio plurimo, discontinuo e metamorfico, che si differenzia linguisticamente dalla forma più consueta di pittura, che avviene in senso identitario monolitico. Per Rocchegiani la pittura è infatti esercizio di libertà intima, un’indagine tormentata che, oltre l’affondo e la corsa verso una direzione chiara e programmata, ammette anarchicamente anche l’arretramento, il riesame, la dissipazione, lo sviluppo poliedrico, la contraddizione, lo zig-zag. In questo modo le sue tele sono campi di possibilità, incertezze sorpassate ma che potrebbero ripresentarsi ancora, colore che c’è ma che potrebbe condurre a un ripensamento. Sulla superficie sono così tanti quadri a stratificarsi – reali e potenziali – che vivono insieme in uno stato di continua tensione. Chi guarda deve così fare esercizio di ricomposizione e di ricucitura per cogliere le parole degli elementi mentre, sulla tela, si parlano sottovoce.

PEL_1067
PEL_1072
PEL_1095
previous arrow
next arrow

L’angelo sterminatore, 2019, olio su tela, 90 x 120 cm, courtesy l’artista
L’angelo sterminatore, 2019, olio su tela, 90 x 120 cm, courtesy l’artista
Composizione da camera, 2019, olio su tela, 50 x 40 cm, courtesy l’artista

Privacy Policy Cookie Policy