Month: Giugno 2019

ALTISSIMI COLORI. LA MONTAGNA DIPINTA

Giovanni Testori e i suoi artisti, da Courbet a Guttuso
Un progetto di Casa Testori
A cura di Davide dall’Ombra
Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea
Châtillon, Valle d’Aosta
12 Luglio – 29 Settembre 2019

DA COURBET A ZIMMER. CON GLI OCCHI DELLA PITTURA
Davide Dall’Ombra

Cosa vuol dire per un artista vivere e raccontarci la montagna?
Giovanni Testori (1923-1993) è stato uno dei più fertili intellettuali italiani del Novecento, impegnato su tanti fronti della cultura, essendo stato pittore, scrittore, poeta, drammaturgo, giornalista e critico d’arte. Del resto, Testori è anche uno degli autori presenti nella raccolta del Castello Gamba, che ne conserva lo splendido Tramonto (Actus tragicus) del 1967. L’invito è quello di lasciarsi accompagnare dalla sua opera e dalle sue parole alla scoperta delle cime: quelle dipinte in una raccolta entusiasmante di quadri, quelle protagoniste della vita di chi le abita e quelle da lui vissute e ritratte in prima persona. Il rapporto di Testori con la montagna, del resto, non solo ne trapunta la produzione pittorica, critica e poetica lungo tutta la vita, ma ne ha segnato l’esordio. Il suo primo articolo, pubblicato su “Via Consolare” a soli 17 anni nel 1941, chiama in causa proprio un quadro di montagna: il capolavoro di Giovanni SegantiniAlpe di maggio (1891), di cui Testori pubblicò un inedito quadro preparatorio. E non stupisce che questo intimo sguardo di predilezione condizioni anche le sue scelte come critico d’arte, attento a valorizzare con le sue parole, i dipinti di alcuni grandi pittori dell’Ottocento e del Novecento, amati e collezionati.
L’esordio non poteva spettare che a Gustave Courbet, l’artista rivoluzionario che Testori riteneva il padre dell’Informale, capace, come nessun altro, di restituirci la “mater-materia” della natura. È una sorta di artista manifesto per Testori e per l’intera mostra, non solo perché cronologicamente all’inizio di questo viaggio, ma perché ritenuto dal critico il padre di tutta la pittura moderna. Courbet ha insegnato a tutti i pittori dopo di lui che era la materia, non il mondo delle idee, il terreno sui cui si giocava la verità della pittura.
In stretto dialogo con Courbet è Paolo Vallorz, artista trentino, parigino d’adozione, che conserva nella trama della sua pittura l’insegnamento dell’artista francese, declinato nel suo amore incondizionato per la Val di Sole (TN). È proprio la straordinaria unità di Vallorz con il sentimento e la vita della montagna e della sua gente a calamitare Testori.
I tramonti infuocati di Renato Guttuso accendono irrimediabilmente le cromie della mostra. Guttuso è un siciliano che, stregato dalla vista del Rosa, fece della casa di Velate, a Varese, uno studio dove realizzare molte delle sue opere più celebri. E Guttuso a Varese fu il tema di una mostra fortemente voluta da Testori, che si apriva proprio con questo pastello: “uno di quei divampanti, innamoratissimi addii; gettato giù, su d’un foglio, con abbacinante libertà (e la materia, ne è, quella immediata, franante e delicata dei pastelli)”. Testori sigillava così, nel 1984, un’amicizia e collaborazione con Guttuso di oltre 40 anni, tra articoli, recensioni e presentazioni in catalogo. Molte le pagine di Testori dedicate al pittore che, pur nella diversità ideologica, fu un interlocutore importante, fin dagli anni appassionati del Realismo italiano, durante la Guerra e la ricostruzione. 
Varlin, il geniale artista zurighese che scelse di andare a vivere tra le montagne della Val Bondasca, nei Grigioni svizzeri, a pochi passi dalla Stampa di Giacometti, è l’autore di alcune tra le più straordinarie nevicate della storia dell’arte europea. Opere che stregarono Testori, decisive anche per il suo personale impegno nella pittura. Insieme a Friedrich Dürrenmatt, Testori fu il più grande interprete del pittore, in cui ritrovava tutto ciò che andava ricercando nell’arte: la drammaticità – anche nel senso teatrale del termine – e la verità delle trame domestiche. Una pittura senza sconti, in cui il quotidiano è raccontato sempre ai vertici dell’universale. 
Il saluto finale spetta a Bernd Zimmer, pittore tedesco “scoperto” da Testori, che si era innamorato della sua natura, delle sue montagne infiammate e visionarie. Zimmer è tra i maggiori esponenti dei cosiddetti “Nuovi selvaggi”, artisti berlinesi che negli anni Ottanta cercarono fortuna in Italia e trovarono in Testori uno dei loro più importanti interpreti. L’energia della pittura sprigionata da questi artisti diede una carica decisiva al Testori critico militante, impegnato in quegli anni alla promozione della giovane pittura non solo italiana, curando diverse mostre o recensendole sul “Corriere della Sera”, per il quale fu responsabile della pagina artistica, dal 1977 fino alla morte. 

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LA CASA INTORNO AL VASO

Anna Caruso
A cura di Davide Dall’Ombra
Casa Testori
21 Giugno – 10 Novembre 2019

I PIANI FORTI
Davide Dall’Ombra

“I miei dipinti si basano su una distinzione tra spazio illustrato e spazio pittorico astratto. Il primo è mimetico e referenziale, il secondo è trasformativo, completamente incarnato dalle dinamiche pittoriche, perché l’astrazione formalista non si sforza di raggiungere un soggetto rappresentato e rivendica lo spazio che vorrebbe abitare. Lo so. È la più autoreferenziale delle forme pittoriche possibili, ma è (anche) la mia”. 

La mostra allestita da Anna Caruso al primo piano di Casa Testori è articolata in una serie di carte e installazioni, wall drawings immersivi, dipinti inediti, quasi totalmente realizzati per l’occasione, sperimentando tecniche nuove e lasciandosi interrogare dall’idea di appartenenza e strappo, caratteristiche di una figura come Giovanni Testori e così ben rintracciabili tra le pareti della sua casa, oggi un hub culturale giunto al decimo anno di sperimentazioni, anche nell’ambito della giovane arte contemporanea.

Nella sua personale alla Thomas Masters Gallery di Chicago dello scorso gennaio, Anna aveva aggiunto un tassello alla sua ricerca sulla percezione umana della realtà, interrogandosi sulla visione soggettiva del tempo e sulla sinestesia che condizionano la nostra memoria. 

La realtà filtrata e, in un certo senso cancellata, sconvolta e ricomposta, dalla nostra memoria è, infatti, al centro della sua ricerca, visibile in dipinti segnati dalla striatura geometrica che crea piani e spazi che si moltiplicano all’infinito. In un ritmo che fonde elementi di flora, fauna e architettura naturale e artificiale, l’artista ci obbliga a planare su questi piani, in un moto che, dagli occhi della percezione, non può che portare all’inseguimento di emozioni e ricordi. 
I nostri. 

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pagine 28-29
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LA MOSTRA

Salendo i gradini dello scalone, ci accoglie l’opera che dà il titolo alla mostra, La casa intorno al vaso, un vaso evocato e non rappresentato, quale simbolo della casa stessa, che è capace di abbracciare il vuoto dell’esistenza, anzi, proprio come il vaso, trae la propria natura e funzione dal circondare un’assenza.
Nella grande stanza da letto, una tela di oltre quattro metri apre la parete di fondo verso le montagne rocciose e tre piani sovrapposti di PVC trasparente dilatano i piani inclinati della prospettiva immaginaria dell’artista e dell’osservatore. Sulle pareti della camera successiva si fronteggiano la celebre Crocifissione del 1949, dipinta da Testori, e il personale omaggio dell’artista: un’opera di pari formato e, probabilmente, soggetto, per quanto possibile alla sincerità e alle contaminazioni, personali e del nostro tempo che siano.

Di fronte alla grande libreria si schierano quattro ritratti di pari formato. Sono Giovanni Testori e sua madre, l’artista e suo padre. Affetti e tensioni, inevitabilmente costruttive e distruttive insieme, si intrecciano in un profondo dialogo dell’imprevisto, tra storia culturale e degli affetti. 
Nella camera di Testori da ragazzo, il tema del nudo presente alle pareti – un tempo per le tele attribuite a Géricault e Courbet, oggi nel lavoro a esse dedicato da Andrea Mastrovito (2011) – ispira alla Caruso un lavoro intimo, figlio dell’installazione presentata al Teatro Elfo Puccini lo scorso anno, in cui una nuvola di centinaia di disegni accarezza il visitatore. 

La piccola stanza finale accoglie mondi che si allargano ancora una volta. Anna dipinge tutte le pareti con un grande wall drawing e il pavimento coperto da una tela, ma la pittura non si dà confini, scalando i gradini che portano al solaio e interagendo con la grande conifera del giardino, che si staglia oltre la finestra.

Scarica qui il foglio di sala.

L’ARTISTA

Anna Caruso nasce a Cernusco sul Naviglio (MI) nel 1980. Nel 2004 si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bergamo. Vive e lavora a Milano. Lavora con gallerie italiane ed estere, tra cui lo Studio d’Arte Cannaviello di Milano, Anna Marra Contemporanea di Roma e la Thomas Masters Gallery di Chicago (USA).

TRAGÖDIE

Marica Fasoli e Silvia Argiolas
A cura di Ivan Quaroni
Casa Testori
21 Giugno – 8 Settembre 2019

TRAGÖDIE. PREMESSA
Ivan Quaroni 

Nella barbarie linguistica della comunicazione odierna – massmediatica direbbe qualcuno – la filosofia è stata oggetto di numerosi processi di liofilizzazione a uso e consumo del pubblico. Tra i concetti che questo tipo di pubblicistica ha consegnato alla mediocrità del vocabolario corrente, vi sono due aggettivi sostantivati di estrema rilevanza: dionisiaco apollineo.
Sono termini oggi grossolanamente usati per designare due aspetti o attitudini del comportamento umano. Il primo, di carattere orgiastico, attiene i sentimenti di esaltazione e furore della sfera istintiva e irrazionale; il secondo, di matrice solare, introduce le idee di ordine e armonia che sostanziano il pensiero logico e razionale. Si riferiscono a due divinità della religione dei greci antichi: Dioniso, il Dio arcaico della vegetazione, incarnazione della linfa vitale, ibrida e multiforme, che alimenta le esplosioni mistiche e sensuali, secondo un principio d’indistinzione, o di primaria comunione tra uomo e natura; Apollo, divinità dalle qualità cumulative, auriga solare, protettore di pastori e greggi, patrono della musica, della poesia, della medicina e della mantica, acuto nel giudizio, oscuro nei vaticini. 
Dionisiaco apollineo prendono forma nella mente di un giovane filologo tedesco rintanato in un angolo delle Alpi, durante la guerra franco-prussiana del 1870-71, “mentre i tuoni della battaglia di Wörth trascorrevano sull’Europa”. Friedrich Nietzsche dà alle stampe la sua opera prima, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ovvero grecità e pessimismo, nel 1872, esordendo con uno sbalorditivo incipit: “Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione, che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco”. 
Sarà, infatti, la composizione dei due principi che fanno capo alle opposte origini e finalità delle due divinità, sempre in aperto contrasto e in “eccitazione reciproca”, a produrre finalmente l’opera d’arte, inizialmente nella particolare forma della tragedia attica. Tuttavia, quattordici anni dopo la pubblicazione dello scritto, nel suo Tentativo di autocritica (1886), Nietzsche applica quelle prime e visionarie intuizioni estensivamente a tutta l’arte, indicando in essa – e non nella morale – la vera attività metafisica dell’uomo. 
La Nascita della tragedia s’innesta, a tratti come una sorta di sovrascrittura, sulla concezione pessimistica de Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer (1818). Il dionisiaco vi s’inserisce come una forma di totale identificazione col dolore originario, come uno stato che subentra alla rottura del principio d’individuazione e produce una mistica, erotica congiunzione con la natura, un rapimento estatico che l’autore della Tragedia paragona all’ebbrezza provocata dalle bevande narcotiche o dal “poderoso avvicinarsi della primavera”.
Laddove Schopenhauer avverte il terribile orrore che afferra l’uomo quando perde fiducia nelle forme di conoscenza dell’apparenza, Nietzsche intravede una possibilità di riconciliazione con la natura. Proprio qui si consuma il distacco dal pensiero di Schopenhauer. Nietzsche si domanda, infatti, se il pessimismo – ossia la coscienza che il mondo e la vita non possono dare nessuna vera soddisfazione, nessuna gioia permanente – sia necessariamente un segno di declino, di decadenza o se possa esistere un pessimismo della forza, “un’inclinazione intellettuale per ciò che nell’esistenza è duro, raccapricciante, malvagio e problematico, in conseguenza di un benessere, di una salute straripante, di una pienezza dell’esistenza”.

TRAGÖDIE. DUE EVIDENZE APPARENTEMENTE ESEMPLIFICATIVE
Ivan Quaroni 

Ora, la succitata premessa potrebbe fornire una chiave interpretativa delle ricerche di Silvia Argiolas e Marica Fasoli. Si potrebbero, cioè, applicare le categorie contenute nell’opera prima di Nietzsche per penetrare a fondo le loro differenti attitudini espressive.
Nella pittura di Argiolas domina lo spirito dionisiaco, l’attrazione per il titanico e il barbarico, l’interesse per il doloroso fondo esistenziale e per la sua controparte panica e sensuale. C’è, nei suoi racconti visivi, l’espressione di uno sguardo coraggioso, intento a scrutare gli accessi di follia e i deliqui erotici, le estasi e le agonie del magma esperienziale, ma anche la banale quotidianità di esistenze straordinarie o marginali.
Placido e distillato è, invece, lo sguardo di Marica Fasoli, governato dalla geometria aurea e trasognata dell’apollineo. La sua indagine pittorica decanta il mondo in forme astratte, filtrandolo attraverso una pletora di diagrammi che simbolizzano la realtà fenomenica, senza mai rappresentarla direttamente. L’impeto mimetico, che da sempre costituisce la marca stilistica del suo lavoro, è indirizzato verso la pellicola dell’immagine, insieme superficie testurale e concettuale. 
Quella di Argiolas è una pittura scaturita da un abbandono vigile, che riceve e restituisce, come una sorta di documento poetico, l’urto dell’esperienza vitale. Quella di Fasoli è una pittura stillata e meditata, che osserva la vita da un punto di vista remoto per ricavarne un senso ulteriore, radiografandone la struttura per trasmetterla all’osservatore in forme platoniche e ideali, ma dotate di una potente capacità seduttiva. 

Tragödie fa parte di Pocket Pair, un ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Il titolo del ciclo riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.

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La Biblioteca d’arte di Giovanni Testori

La Biblioteca Testori comprende 17.800 titoli, di cui 15.000 volumi d’arte antica e del Novecento, 2.100 volumi di letteratura e saggistica, cui si aggiungono i 700 libri a corredo dell’Archivio: volumi scritti da Testori, contenenti un suo intervento o dedicati alla sua opera.

La sezione dedicata all’arte rispecchia nel suo contenuto e ordinamento le indicazioni date dallo stesso Giovanni Testori (1923-1993), scrittore e critico d’arte. La sezione più ampia comprende le monografie di artisti del Novecento, con numerosi cataloghi prodotti da gallerie private e istituzioni nazionali e internazionali. 
Una sezione di monografie di artisti operanti dal 1200 al 1700 è accompagnata da alcune sezioni tematiche, dedicate, ad esempio, alla Natura morta, al Disegno, all’Incisione, alla Scultura, ai Musei o alle Regioni Italiane. All’ampia sezione di riviste, enciclopedie e raccolte d’arte, si affianca anche una specifica raccolta di rari volumi dedicati all’arte africana e precolombiana. 
La Biblioteca permette di cogliere gli interessi del critico che, in alcuni volumi, include proprie glosse manoscritte o appone firme e timbri di proprietà. Sono presenti volumi con dediche autografe dell’autore e alcune edizioni rare d’artista, in alcuni casi pezzi unici, completamente eseguiti e dipinti a mano. 
La Biblioteca è aperta a tutti, in particolare a studenti, studiosi e ricercatori, e si offre come un punto di riferimento per il Nord Milano, che ha la possibilità di accedere a un ampio catalogo d’arte, unico per il territorio.

La Biblioteca Giovanni Testori è conservata presso Casa Testori, a Novate Milanese, ed è aperta al pubblico. I volumi sono disponibili per la consultazione in sede ed esclusi dal prestito.

La catalogazione della Biblioteca, affidata alla dott.ssa Alessia Gianforti, è in fase di ultimazione e viene costantemente riversata nel Catalogo OPAC SBN del Polo Regionale della Lombardia e nell’OPAC SBN. Catalogo del servizio Bibliotecario Nazionale:
OPAC Polo Regionale
OPAC Servizio Pubblico Nazionale

Consultazione dei volumi
Coloro che vorranno consultare i volumi della Biblioteca avranno a disposizione una postazione loro dedicata e potranno richiedere riproduzioni, a norma di legge.

Dove
Casa Testori
Largo Angelo Testori, 13
20026 Novate Milanese (MI) 
Orario di apertura al pubblico               
Mar-Ven 10.00-13.00; 15.00-18.00
Informazioni
Email biblioteca@associazionetestori.it
Telefono: + 02.36.58.68.77

Responsabile della Biblioteca
Prof. Davide Dall’Ombra 
davidedallombra@associazionetestori.it