Giorni Felici 2012

PREMIO MARIUCCIA PARACCHI

A cinquant’anni dalla scomparsa di Mariuccia, grazie alla generosità della famiglia, viene indetto il Premio Mariuccia Testori Paracchi, destinato a sostenere l’attività di un giovane artista emergente.

Luca DoninelliRicordi come nacque la tua passione per l’arte, per la letteratura?
Giovanni TestoriAvevo una cugina che dipingeva. La mia famiglia e quella del fratello di mio padre abitavano nella stessa casa, in due appartamenti separati ma comunicanti. Mi regalava sempre, fin da quando ero bambino, libri e libretti dedicati ai pittori (prima, però, strappava le immagini troppo ardite, come le Veneri e altre cose del genere).Questa cugina era maggiore di me di circa dodici anni e io andavo ogni giorno a trovarla, nel salottino dove lavorava, e in silenzio seguivo le fasi del suo lavoro: dai primi schizzi a penna ai disegni fatti a carboncino e da questi all’esecuzione finale, quando i colori schizzavano dai tubetti. Ero stupito tanto dalla materia quanto dalla volontà di costruire che c’era in lei. Faceva nature morte, paesaggi, e anche alcuni bellissimi ritratti.

Entrando in Casa Testori, l’ingresso e la grande scala dividevano i due appartamenti: a sinistra, sopra e sotto, viveva la famiglia di Edoardo e della moglie Lina, genitori dello scrittore Giovanni Testori, di Piera, Giuseppe, Marisa, Lucia e Gabriella; a destra viveva lo zio Giacomo con la moglie Giuseppina Rusconi e i figli Angela (Angiùla), Angelo e Mariuccia, la cugina di cui parla Testori in questa intervista del 1992. Mariuccia Testori (1911-1962) si dedicò presto alla pittura e al disegno, arrivando a partecipare ad alcune esposizioni collettive alla Permanente di Milano negli anni Trenta; la sua produzione è ristretta a pochi anni, tra il 1935 e il 1942. Mariuccia, che si era sposata con Piero Paracchi, dopo la nascita della seconda figlia, Anna (1941), si era dedicata alla famiglia. In seguito ebbe altri tre figli: Giacomo, Marta e Letizia. Testori rimase riconoscente tutta la vita verso l’amata cugina, così importante per la sua precoce fascinazione per il colore e la pittura, ma anche testimone di una totale dedizione all’alveo famigliare, così importante per la storia di questa casa, e per lo scrittore.

Il premio è stato vinto da Aleksander Velišček, scarica qui il comunicato.

Filippo Timi, “INZIPIT AMBLETI TRAGEDIA”

Special Guest

Il 16 gennaio 1972 andava in scena al Teatro Pier Lombardo L’Ambleto. Non solo si alzava il sipario su un nuovo spazio che ancor oggi è tra i più importanti della scena milanese, ma iniziava anche un sodalizio straordinario tra un autore, Giovanni Testori e un attore, Franco Parenti. C’era un qualcosa di sovversivo in quel binomio che irrompeva nella Milano di quegli anni. Uno scrittore di impronta cattolica e un attore di fede comunista rompevano tutti gli schemi aprendo spazi di appassionante riflessione nel tessuto ferito della Milano di quegli anni. L’Ambleto, a dispetto della novità e dell’anomalia del testo, fu un successo clamoroso, che segnò l’inizio di un sodalizio straordinario. Anni dopo L’Ambleto è stato riportato in scena da un altro grande protagonista del teatro italiano: Sandro Lombardi, con la regia di Federico Tiezzi. Anche in questo caso il successo è stato straordinario. E ora, a quarant’anni da quell’esordio, sarà Filippo Timi il terzo Ambleto? L’attore perugino, reduce da una serie di spettacoli che hanno sbancato il botteghino, per Casa Testori si è cimentato in un primo assaggio, interpretando il memorabile incipit del testo e la sua voce profonda e inconfondibile risuona per le stanze della casa (come risuonava quella di Sandro Lombardi in occasione della prima edizione di Giorni Felici). Quello che tutti ci auguriamo è che sia davvero un inizio. Un grazie va ad Andrèe Ruth Shammah, che quarant’anni fa aveva firmato la regia del primo Ambleto, e anche oggi ha “preso per mano” Filippo Timi in questo inizio di percorso testoriano.

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Filippo Timi è nato a Perugia nel 1974. Vive a Milano.

Graziano Folata, COMINCIARE GUARDANDO IL CIELO

Stanza 8
Invitato da Gianni Caravaggio

In queste visioni in cui l’uomo è soggetto ideale in un abbraccio con il sistema regalato da Natura, chi può definire in maniera incontrovertibile quale di questi rapporti è gentile e quale è invece violento?
Durante l’atto dell’osservare e del sentire, nasce sempre l’interrogativo a proposito della nostra preferenza, questa lega il nostro sguardo a un’immagine o a un’altra e passa da una relazione tra le cose ad un’altra.
La risposta rimane un mistero, che aleggia nella nostra percezione in una costante somma di esperienze, in un solenne movimento di muta fascinazione.

Graziano Folata è nato nel 1982. Vive e lavora a Milano.

Caterina Silva, RÈCIT

Stanza 5
Invitata da Enzo Cucchi

A story? No. No stories, never again.
Cosa succede alla Cosa quando viene detta? Vive? Muore?
È possibile immaginare una forma aperta che superi l’inadeguatezza del linguaggio nel definire il reale, pronunciando ma allo stesso tempo tenendo in vita senza distruggere?La mia ricerca esplora pittoricamente i limiti linguistici del dicibile. I segni che uso non sono rappresentativi, documentano un tempo, una realtà. Le immagini non sono la narrazione di un evento, ma l’evento stesso. Chi guarda ha il compito o la possibilità di costruire la sua personale visione.
Il progetto per Casa Testori è il tentativo di generare un Mistero attraverso l’alternanza di luce e di buio, di gravità e di grazia.

Caterina Silva è nata a Roma nel 1983.

Mary Pola, SALDATURE

Stanza 1
Invitata da Leonora Hamill


Mi ritrovo a sperimentare e a ricercare anche attraverso la scultura la Forma e la Materia.
Ho un’affinità epidermica con materiali come le lamiere e i barili, materiali grezzi, pesanti e poco malleabili. Oggi, anche in scultura, scelgo il ferro. Il perché di questa scelta sta nel semplice fatto che lavoro con l’intento di tirar fuori da un elemento considerato “pesante” la sua leggerezza. La potenza emozionale che riesce a trasmettere nel solo osservarlo, attraverso la stessa ruggine e le sfumature che da essa ne derivano, crea una sorta di dipendenza… È una continua scoperta.
Con le sculture ho voluto lavorare su spessori e profondità, giocando con gli equilibri e la dinamicità delle forme, dello stesso materiale, con semplici sovrapposizioni, utilizzando elementi molto lineari. Ho voluto lavorare su aspetti più nascosti della materia stessa, come la leggerezza e la linearità. Con la riduzione delle dimensioni delle sculture, con un gioco di profondità e chiaroscuri e di tagli orizzontali ho cercato di trovare la luce. Una luce che dà quel senso di leggerezza ad una scultura che di per sé è fisicamente “pesante”. Proprio saldando delle lamine, finemente tagliate, a una distanza calcolata riesco a ritrovare e a far filtrare la luce. Una luce che affiora attraverso la materia e che dà un senso a chi la scorge anche di “scoperta”.
Spesso, lavorare su un progetto già da me prestabilito, fa in modo che io sia guidata da una forma verso un’altra in modo istintivo ma affatto casuale. E così che alla fine realizzo un’opera (in questo caso scultorea) che parte da un’idea e finisce con il comprendere un insieme di miei atteggiamenti e sensazioni che poi cerco di trasmettere al mio interlocutore.
Il prodotto finale risulta ai più un oggetto comunque imponente quanto elegante nonostante la scelta del materiale, il ferro, del colore, la ruggine, dell’imperfezione propria della materia e dei punti di saldatura lasciati in alcune opere evidenti sottolineano il lavoro manuale.

Mary Pola è nata nel 1975 a Tempio Pausania (OT). Vive e lavora a Foligno.

Luca Pignatelli, MEMORIA E MATERIA NELLA CASA DI TESTORI

Stanza 2
Invitato da Julia Krahn

Per il mio ingresso nella casa di Giovanni Testori ho voluto portare due sole opere, che parlano di me e di lui. Questo Eroe appartiene a un ciclo a cui sto lavorando negli ultimi anni e che parte dal libro di Heinrich Wolfflin, Come fotografare le sculture. L’intento è quello di lavorare con le carte ridipinte sulla statuaria classica; grazie al medium della fotografia, la statua diventa un dipinto e questo mi permette di avvicinarla. Spesso la collocazione museale non rende giustizia all’opera, me la rende sfuggente, m’impedisce quella visione d’insieme che è necessaria per vederla veramente. La pittura cerca di rispondere a questo bisogno, riassumendo in sé tutti i punti di vista necessari e liberando la forza che l’opera vorrebbe esprimere.

Per la seconda immagine ho pensato a Testori, al suo essere un poeta tragico, ed è la prima volta che lavoro in modo serio, sereno e pensoso sul teschio umano. Diversamente da come avviene di solito, non sono partito dalla pagina di un libro, ma ho fatto scattare una foto ad hoc che avesse la composizione, la forza e l’ombra che avevo in mente. È un lavoro che mi riporta indietro, alla mia formazione, quando dipingevo architetture caratterizzate da bucature scure, da questi rapporti tra buio e luce. Guardavo all’amato Bellotto e alle sue ombre, dove le immagini emergono potenti grazie a zone assenti, a cavità. In questo caso si tratta di un cranio umano e, come per i bucrani di animali, a dominare è il mio rapporto privilegiato con il nero. Come nella scrittura, i colori si riducono al minimo, perché quelli che dominano sono i colori dell’assenza: le sfumature del grigio, i colori lunari che portano fin quasi al monocromo, alla grisaille. La tavola è un supporto che non uso mai, ma che mi riporta anche questa ai miei primi lavori, quando dipingevo sulle masoniti rovesciate e sui legni trovati. E poi lavoro sempre sui temi del tempo e della memoria, per questo amo i materiali che hanno avuto una loro storia e che ne portano la traccia.

Luca Pignatelli è nato nel 1962 a Milano, dove vive e lavora.