Contexto

Mauro Maffezzoni, ROMANINO IN VAL CAMONICA

Mauro Maffezzoni, prendendo come spunto la storia dell’arte, ha reinterpretato il preesistente, dandone una nuova possibilità di lettura. In questo caso, l’artista si è nutrito del lavoro del Romanino, maestro bresciano a cavallo tra Quattro e Cinquecento, che in Valle Camonica ha lasciato molti segni. Maffezzoni guarda agli autori locali, intrecciando vicende ed effettuando parallelismi, per esempio tra le immagini del Romanino di Pisogne e quelle del Duomo di Cremona, dove l’artista risiede. Con una pennellata fresca, veloce e leggera, Maffezzoni ha attuato un ritorno alla tradizione, studiando la storia dell’arte e, un poco, anche la sua, recuperando le origini camune della sua famiglia.

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Maffezzoni
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LE OPERE

Senza Titolo, 2016, olio su tela, 80×100 cm
Senza Titolo, 2016, acrilico su tela, 150×100 cm
Senza Titolo, 2016, acrilico su tela, 80×100 cm
Senza Titolo, 2016, acrilico su tela, 80×100 cm
Senza Titolo, 2016, acrilico su tela, 100×100 cm
Senza Titolo, 2016, acrilico su tela, 70×100 cm
Senza Titolo,2016, acrilico su tela, 70×70 cm

Marina Lorusso, PIANO PIANO SULLA PIETRA

La città è negli occhi di chi la guarda almeno quanto di chi la abita. Mandare un fotografo a cercare la “sua” Edolo, significa aspettarsi un ritratto inatteso di quegli stessi borghi, volti e vie. Marina Lorusso non ha disatteso le aspettative e in questa galleria di scatti ha saputo partecipare di ogni luogo con l’immedesimazione prepotente che caratterizza da sempre il suo lavoro d’indagine. Sono foto di grande carattere, in cui l’autrice si è buttata in un corpo a corpo senza risparmio, alla ricerca della verità senza tempo di queste pietre. L’esito è stato una galleria apparentemente agli antipodi della cartolina, eppure, non per questo meno elegiaca. Sono immagini che affondando nella verità ancestrale di queste case e che, per questo, non temono il tempo.

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Andrea Bianconi, MANGIAMONE TUTTI

Decine di omini dalla testa di nuvola si stagliavano contro il cielo di Edolo. Fanno parte di Mangiamone tutti, installazione di Andrea Bianconi già presentata nel 2015 ad Arezzo in occasione di Icastica. Queste sagome colorate, appese tra un palazzo e l’altro come bandiere durante una sagra di paese, invitavano i passanti a sollevare lo sguardo: non esiste solo il terreno, sostiene l’artista, gli uomini hanno la necessità di nutrire anche la mente, lo spirito. La cultura diventa così l’alimento fondamentale, da cui deriva la parafrasi del monito evangelico che dà il titolo all’intervento e che si trasforma in un imperativo intellettuale.

L’OPERA

Mangiamone tutti, 2015, 156 sagome, alluminio, dimensioni variabili

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Anna Turina, DONDOLI

I tre cavalli a dondolo sovradimensionati realizzati in ferro – suo materiale d’elezione – da Anna Turina ne riassumono la poetica in cui il mondo dell’infanzia viene analizzato con sarcasmo e disincanto.

Spesso nel suo lavoro, infatti, l’artista ripropone in scultura giochi che rievocano passatempi di bambini, inserendo, però, un elemento difforme. Nei Dondoli la struttura allampanata ne impedisc l’utilizzo e il color antracite elimina ogni riferimento puerile. La loro oscillazione, quindi, non è esaltazione di un rassicurante cullare, bensì prefigurazione dell’incertezza e dell’instabilità dell’età adulta.

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Giulio Zanet, LANDSCAPE DISRUPTED

Il rapporto tra colore e forma è la base della ricerca di Giulio Zanet, che declina la pratica pittorica trasformando sempre più spazi e supporti nella sua tela, anche quando non utilizza acrilico e pennello per realizzare un dipinto. In questo caso, l’artista è partito da un elemento strutturale imprescindibile del paesaggio di Edolo, il Ponte Alto in pietra a sesto ribassato che attraversa l’Oglio, per creare una cascata in cui le cromie hanno la fluidità dell’acqua che scorre a poca distanza. La sinuosità delle forme delineate da Zanet in modo istintivo potrebbe, infatti, essere stata ispirata dal percorso del fiume, parzialmente celato alla vista dalla sua installazione che crea un nuovo paesaggio.

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Benito Ligotti, SOCIAL CONTROL

Quattro grandi tele attorniavano il visitatore, sul fondo s’intravvedeva chiaramente la sagoma del mondo. In primo piano la composizione era resa da centinaia di tessere con un piccolo segno al centro. Avvicinandosi, l’indistinto diveniva distinto. Si trattava di centinaia d’impronte digitali che inserivano Edolo in un progetto in corso dalla fine del 2013, con cui l’artista vuole sottoporre agli occhi di tutti il tema della privacy, del trattamento dei nostri dati sensibili. Impronte lasciate spontaneamente dai passanti, in decine di occasioni pubbliche, in una sorta di mappatura dell’umanità attraverso il suo segno unico e distintivo. Cosa sveliamo di noi, magari senza accorgercene? Cosa potremmo definire come tratto unico della nostra personalità? Che immagine associamo al termine umanità e collettività? Cos’è il mondo? Sono alcune delle domande cui si apriva un’opera così e, con lei, Contexto 2017.

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L’OPERA

Social Control, 2017

Contexto 2017


Marta Carenzi, EDOLO 1:3, 2017

«Questo è il titolo. Si legge: Edolo uno a tre, nel senso della proporzione, che è relazione. Ogni immagine è costituita dalla relazione tra le tre immagini. Il trittico porta, in sé, questa relazione (di segni, luci, ombre, soggetti, forze, pesi), sempre raccontata con i tempi lunghi e sospesi della fotografia di paesaggio». 
Sono la sintesi formale e la chiarezza didascalica tipiche dei fotografi che discendono da Luigi Ghirri o Giovanni Chiaramonte. Si trattava di quindici gioielli, con cui raccontare la propria Edolo, una città invasa dal sole, fatta di silenzio, di un oggetto da usare come perno per tre scorci, di alcune linee spericolate che tendono allo spasimo gli incroci, di due coppie di condotti che sembrano innervare e smottare la città. Al centro, un concerto di cubi vuoti e pieni e, a chiudere, un elogio del legno, che pone il fine, tra il rigore e il caos.

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Contexto 2017

Alessandro Pongan, PRONO

«Il mio lavoro si struttura intorno a un personaggio centrale, il Prono. Siamo di fronte all’invenzione di un archetipo contemporaneo che in qualche misura dialoga con l’uomo di Vitruvio disegnato da LeonardoIl Prono è un character, ossia un personaggio che viene rappresentato in diversi contesti, linguaggi e formati, senza mai perdere la propria identità. È massiccio, geometrico, arcaico e pop al tempo stesso. Riecheggia i ciclopi dell’Isola di Pasqua, l’iconografia maya e azteca ma anche i manga e gli ufo-robot giapponesi, i graffiti e i fumetti. È a carponi in segno di sacrificio e sopportazione, nella posa tipica degli oppressi. Ma, al tempo stesso, è un accumulatore di energia. Nel suo corpo massiccio si avverte la tensione di un velocista ai blocchi di partenza. È una creatura in ascolto, in attesa del momento giusto. Prono è il simbolo del potenziale di riscatto che c’è dentro di noi».

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L’OPERA

Prono, 2016, 250×210 cm

Contexto 2017

Matteo Cibic, THE FLEXIBLE LIVING

L’iconica scarpa della Timberland si è espansa fino ad invadere la passerella del Municipio di Edolo. Quattro scarpe che segnano quattro punti di appoggio per una scultura giocosa ed elegante insieme. Fatta per essere vissuta, fatta per sedersi sopra le morbide sedute bianche. È un’opera disegnata dal giovane Matteo Cibic, designer italiano conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo che, con le sue volute ha interpretato il concetto di flessibilità della scarpa e del passo umano. Si tratta di un’opera di design, di un’opera chiaramente promozionale, ma che racconta quanto siano ormai labili i confini tra arte contemporanea, design, arte partecipata e gioco. In questo senso è un’opera emblematica e come tale affidata al divertimento, ma anche all’uso rispettoso degli edolesi.

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L’OPERA

The Flexible Living, 2016

Contexto 2017

Zeus!, COLLAGISTI ANONIMI

Una rivista, sei collage, una squadra. Il Cardo è una cooperativa sociale, molto importante per Edolo, che ha guadagnato di diritto una bella vetrina della città per questa edizione di Contexto. Una vetrina che è diventata per l’occasione una scatola trasparente, da guardare da molti punti di vista, invasa dal lavoro nato intorno alla rivista Zeus!, che la cooperativa edita da molti anni. Una pubblicazione resa artistica dalla cura e originalità con cui è redatta. Sono comparsi così, a sinistra, un grande trittico di collage che rende omaggio al mondo incantato e mostruoso del pittore fiammingo Hieronymus Bosh, qui reinterpretato in chiave monocromatica. A destra, a librarsi al centro erano, invece, tre grandi collage realizzati non dai ragazzi, ma dagli stessi operatori, guidati dall’illustratore veneziano Oscar Sabini e destinati alla copertina del numero 70 della rivista. Il collage ha confermato il suo significato metaforico: un mezzo in cui l’accostamento guidato di elementi diversi dà vita auna bellezza comune. 

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L’OPERA

Collagisti anonimi, 2016, gessetto e primal su tessuto, cm 250×210

Contexto 2017

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