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Premio Giovanni Testori. I vincitori 2023

TESTI VINCITORI:

“Per le arti figurative. Premio speciale pubblicazione”
Allegri Agostino per la pubblicazione Intorno a Pellegrino Tibaldi, tra Milano e la Spagna 

Ex aequo nella categoria “Per le arti figurative. Tesi”
Livia Fasolo, per la tesi D’altro non siamo ricchi che di disegni. Longhi, Maccari e il predominio della grafica. Tesi di specializzazione, Università degli Studi di Udine
Pasquale Stenta, per la tesi Benedetto Gennari ritrattista e pittore di corte in Europa tra sei e settecento. I dipinti, la committenza e il diario di lavoro. Tesi di laurea, Università di Bologna
Alessio Vincenzi, per la tesi Il taccuino A di Giovanni Morelli e la ricognizione catalografica del 1861. Proposta per un’edizione annotata. Tesi di laurea, Università Cattolica di Milano.

Ex aequo nella categoria “Per le arti figurative. Saggio critico”
Lucrezia Longobardi per il saggio Lo spazio esistenziale. Definizione #3. Prima declinazione dei tre movimenti.
Giovanni Renzi per il saggio Una traccia per Belisario Cambi

Ex aequo nella categoria “Per la letteratura. Tesi”
Flavia Erbosi per la tesi Lo specchio infranto. Il teatro di Vitaliano Brancati e Giovanni Testori alle prese con la censura (1944-1962). Tesi di dottorato, Università La Sapienza di Roma
Giacomo Micheletti per la tesi Gianni Celati, Lino Gabellone, Louis Ferdinand Céline: Traduzione come reinvenzione. Tesi di dottorato, Università degli studi di Pavia

​Ex aequo nella categoria “Per la letteratura. Testo letterario”
Giulia Asselta per la raccolta di poesia Essudati
Jonathan Lazzini per il testo Camaleonti: trilogia

Menzione speciale “Per la letteratura. Testi e saggi”
Giorgia Marasco per il racconto Carrer de Verdi. Liceo Berchet, Milano 
Giovanni Lumini per la tragedia in versi Tycho. Le cifre del destino. Liceo Berchet, Milano

Il 14 dicembre dalle 17.00 nella Sala della Balla, avrà luogo la consegna del Premio Giovanni Testori, giunto alla quarta edizione: quattro giovani studiosi e scrittori under 35 riceveranno un importante contributo per la propria tesi di laurea o dottorato, ma anche per un saggio o scritto inedito, siano essi di letteratura o critica d’arte. Il premio intitolato a Giovanni Testori si propone di seguire quella che era la sua attività culturale nei campi più diversi e la sua profonda disposizione verso i giovani artisti. Si è voluto che il premio fosse voce della realtà milanese. Ne sono coinvolti il Piccolo Teatro di Milano, il Teatro Franco Parenti, dove Testori ha lavorato all’inizio e nella fase centrale della sua carriera, la Fondazione Corriere della Sera, espressione del quotidiano dove per tanti anni lo scrittore ha esercitato su diversi fronti la propria attività culturale, la Pinacoteca di Brera, la Biblioteca Nazionale Braidense, l’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, la Biblioteca d’Arte del Castello Sforzesco (cuore degli interessi figurativi e letterari dello scrittore), la Casa Editrice Einaudi, la Casa Editrice Giangiacomo Feltrinelli, che ha segnato con “I Segreti di Milano” gli esordi dello scrittore e sta ripubblicando parte dell’opera omnia.

La consegna del Premio sarà seguita dall’inaugurazione, sempre al Castello Sforzesco – Sala del Tesoro – della mostra I Carli di Lombardia nella biblioteca di Testori. Da Carlo Borromeo a Carlo Emilio Gadda (fino al 10 marzo 2024), a cura di Giuseppina Carutti.
Partendo dai materiali della Raccolta Portiana, del fondo Gadda Citati e del Fondo Gadda Roscioni, e dalle edizioni del Cinquecento degli scritti di San Carlo Borromeo, custoditi presso la Trivulziana, l’esposizione segue l’itinerario dei “Carli” di Lombardia, esplorando – grazie anche al contributo degli Istituti della Direzione Musei del Castello, Musei Archeologici e Storici – le letture fondanti per la formazione e la poetica di Giovanni Testori tra arti figurative e letteratura: Carlo Borromeo, Carlo Cattaneo, Carlo Braccesco, Carlo Maria Maggi, Carlo Porta, Carlo Dossi e Carlo Emilio Gadda.

Nel corso della cerimonia Anna Nogara leggerà alcuni tratti da “Un concerto di 120 Professori” di Carlo Emilio Gadda.

Per maggiori info:
www.premiogiovannitestori.org

Andrea Bianconi. LA SENTINELLA

Presentazione venerdì 19 novembre 2021 ore 19.30 
libreria Mittel + Platea Palazzo Galleano + A21 
con Andrea Bianconi, l’architetto Carlo Orsini e Francesco Gesti 
introduce Luca Fiore con la partecipazione dei ControlRUM

Libreria Mittel, via Lodino 41 – LODI 
Ingresso consentito solo con green pass


IL LIBRO

Dallo Studio al Mondo. Il viaggio di una poltrona in un libro
Vanillaedizioni – uscita: settembre 2021

Quante volte abbiamo sentito parlare dello studio d’artista come un universo parallelo dove le idee invadono lo spazio e la mente? Quante volte ci siamo fatti contaminare da un ambiente come un campo magnetico? Da quello spazio, dallo studio d’artista di Andrea Bianconi, ad Arzignano (Vicenza)è iniziato il viaggio della poltrona di Sit Down To Have An Idea. Non una poltrona qualsiasi, ma quella a cui l’artista ha attribuito un valore maieutico: siediti e lascia nascere un’idea.Da lì, poi, la poltrona ha viaggiato dal Nord al Sud di Italia, partendo da Bologna e ritornando a Vicenza e il libroLa Sentinella, edito da Vanillaedizioni, è la cronistoria di quel viaggio per immagini e parole. Un viaggio tra i luoghi che la poltrona ha toccato e di cui è ancora presidio sul posto e nelle parole. Le riflessioni di Andrea Bianconi, scritte volutamente a mano, compaiono tra le pagine del volume come flussi ininterrotti di pensiero. Non nascono, forse, così le idee?

Il progetto – realizzato in collaborazione con Casa Testori Fondazione Coppola e asostegno della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica – è partito con l’installazione della poltrona in luoghi pubblici della città di Bologna durante ArteFiera – ArtCity 2020 e in alcuni spazi eccellenti, privati, tra cui il dehor del Ristorante Al Pappagallo e la vetrina della Boutique Doria 1905, poco prima del lockdown. 

Dopo lo stop imposto, si è riattivato conquistando gli spazi aperti di Cima Carega, con una spedizione-performancenelle Piccole Dolomiti venete, scendendo a sud, a Tropea, dove, in una sorta di rito di propiziazione, si sono attese le luci dell’alba in Piazza Cannone. Per poi, risalire a Colletta di Castelbianco (nell’entroterra di Albenga, Savona) in uno dei borghi medievali più belli d’Italia, primo borgo telematico d’Italia e, poi, ancora più a nord, sotto al Campanile del comune di Chiampo (Vicenza) come simbolo della rinascita di quell’area. 
Nel luglio 2021 la poltrona raggiunge il Torrione della Fondazione Coppola a Vicenza dove fasci di luce, diramati dalle persone durante la performance The Millennium Chair, diventano, con un’azione simbolica, traccia della presenza viva delle persone attivatrici di idee e portatrici di luce quanto mai necessaria in momenti difficili.
Sette tappe per un unico racconto di cui il libro non rappresenta una conclusione bensì un nuovo inizio all’insegna di quel tempo ciclico che caratterizza, da sempre, le performance e le opere di Andrea Bianconi.
L’arte come eterno ritorno dal principio alla fine, e viceversa.

DIES ILLA

Gianriccardo Piccoli e Alessandro Verdi
A cura di Giuliano Zanchi e Giuseppe Frangi
Casa Testori
27 Novembre 2021 – 26 Febbraio 2022

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Due artisti dalla lunga storia, segnati profondamente dal dolore recente della loro terra. Gianriccardo Piccoli e Alessandro Verdi sono uniti dalla comune appartenenza bergamasca e dalla serietà di un percorso artistico che li ha portati a una produzione di grande intensità e originalità. La mostra a Casa Testori ha proposto due percorsi che si intrecciano nei vari spazi, in un dialogo che vede Piccoli occupare le pareti con alcune serie di grandi disegni realizzati dal momento della pandemia ad oggi e Verdi invece occupare il centro delle stanze con i tavoli che accolgono i suoi grandi libri d’artista. Il dialogo avviene quindi tra il nero intenso e denso di ombre delle carte di Piccoli e le pagine su cui sono impresse le forme potenti a “macchia” di Verdi. Filo conduttore della mostra è stato proprio questo confronto all’insegna di una comune percezione drammatica del reale; una percezione che ha determinato in modo coraggioso le loro rispettive scelte recenti. Piccoli ha lavorato per cicli di disegni, spesso ispirati da immagini di altri artisti come accade con La stanza di Louise Bourgeois o con Il Letto di Van Gogh. La sua vena è una vena neo romantica, segnata da una grande tensione esistenziale che si traduce in una ricerca di luce dentro fogli segnati dalla corposità del buio. Verdi invece con i suoi grandi libri, così densi di forme e di immagini, quasi dei manoscritti miniati contemporanei, ci accompagna in una meditazione da era post atomica.

La mostra voleva essere anche un omaggio a due artisti in un momento significativo della loro biografia: Piccoli ha compiuto 80 anni il 15 dicembre 2021, Verdi invece ha appena varcato la soglia dei 60.

RENATO PALAZZI E l’AMBLETO

È scomparso il critico teatrale Renato Palazzi, una delle firme più acute e importanti di cui disponeva il giornalismo d’autore italiano. Lo ricordiamo con la bellissima analisi sulla lingua dell’Ambleto di Testori, pubblicata nel programma di sala dello spettacolo, stampato per il debutto al Teatro Franco Parenti, allora Salone Pier Lombardo, il 16 gennaio 1973.

MITO E STORIA
Nel linguaggio dell’Ambleto

di Renato Palazzi

L’Ambleto è prima di tutto la reinvenzione o la trasfigurazione di un Mito in termini linguistici. Il linguaggio dell’«Ambleto» è un materiale espressivo duro, grezzo, sanguigno e carnoso come l’umanità che se ne serve. Ma soprattutto è un linguaggio inventato, nelle sue connotazioni temporali, geografiche, umane. Ora, il carattere precipuo del segno linguistico è la sua elevata concettualità, cioè la sua estensibilità ad un numero pressoché illimitato di oggetti dello stesso genere. Ma il linguaggio dell’«Ambleto», nato per il Mito e nel Mito, si propone come una dimensione primitiva ed originaria della parola, ritrovata al di fuori del carico di significazioni e di convenzioni dovute ad una storia secolare: la parola non è più, dunque, espressione di un concetto valido per tutti, qui o altrove, ma ritrova il proprio potere significante solo a contatto con la fisicità stessa degli oggetti e della realtà del Mito, cui è intimamente ed univocamente legata. Il linguaggio dell’«Ambleto» è dunque la folle avventura di un evento scenico che tende a rinominare, e quindi a riconoscere e perciò stesso a conoscere, la realtà, in un processo di straniamento linguistico che finisce col ritessere l’assetto dell’universo. La sua stessa apparente disorganicità, il coacervo di elementi di diversa provenienza che esso presenta, sembrano denotare la sua impossibilità di farsi sistema, processo di astrazione e cristallizzazione degli impulsi del reale. Nata dalla Materia e nella Materia, questa lingua nella Materia resta calata, o meglio aspira a farsi Materia essa stessa. Parole oggetto, parole cose che delle cose condividono la necessità, la posizione nell’ordine del l’universo, l’irreversibile univocità, la prigionia nella forma e nel volume, nello spazio e nel tempo. Ma se il linguaggio è, prima ancora che momento della comunicazione, funzione della riflessione e del pensiero, l’umanità che di tale linguaggio si serve non potrà che pensare, immaginare, sognare e riflettere secondo i termini di una «logica del concreto» le cui coordinate passino attraverso le esigenze del corpo e dei sensi prima che della mente e della ragione. Gli elementi di una lingua sono sempre espressione del grado di libertà raggiunto dai suoi depositari sulle contingenze della condizione quotidiana: il linguaggio dell’«Ambleto», così profondamente intessuto di cose prima che di idee, è un insieme caotico di parole oggetto poste l’una accanto all’altra dall’ordine imprevedibile degli eventi e della necessità, e non dall’atto creatore di una volontà libera ed aspirante al pieno ordine dell’intelletto. Ecco dunque il linguaggio operare un processo di regressione del materiale umano dell’opera: pensieri oggetto, pensieri cose sono i termini di un intelletto che non è ancora riuscito a fondare un proprio ordine al di sopra del dato immediato, della violenza stessa della realtà quotidiana. Ci troviamo di fronte ad un’umanità pre-aristotelica, non ancora uscita dal caos delle immagini e dei sentimenti per liberarsi alla funzione ordinatrice dell’intelletto, alla composizione di un universo di idee svincolate dalla tirannia delle pulsioni informi della realtà oggettuale. Se la Storia è la fondazione di un ordine universale composto dal pensiero critico, l’umanità dell’«Ambleto» è fuori dalla Storia: in quanto in essa sembrano vivere simultaneamente tutte le storie possibili, appare al di sopra della Storia; ma in quanto è segnata dall’apparizione di una presa di coscienza, di un’intuizione che aspira a farsi paradigma di Azione, essa si pone come fondamento ed inizio della Storia stessa. «L’Ambleto» è dunque Mito di un’umanità primigenia ed indifferenziata, che reca con sé già impliciti tutti gli elementi del proprio divenire ed attende solo l’atto risolutore che li illuminerà alla coscienza: un favoloso popolo ctonio, che spunti dalla terra rivestito di tutti gli attributi della propria storia, facendosi incontro alla scintilla che ne metterà in movimento la dinamica chiarificatrice e risolutrice, verso la catastrofe e verso la conoscenza. E come in ogni mito che si rispetti, Ambleto, eroe primevo ed antenato leggendario del genere umano, rappresenta il classico Portatore di Civiltà: la sua azione, la sua strage non sono una conclusione, ma l’inizio di un ciclo. Il suo furore e la sua distruzione sono gli stessi che, nei riti di iniziazione, consentono di smembrare e di struggere l’uomo vecchio ed inutile per riplasmare, dall’interno, l’uomo nuovo finalmente Uomo. Ambleto è dunque protagonista e vittima del primigenio rito di iniziazione di un’umanità che si apre a sé stessa, della sua ideale ammissione nel Mondo e nel Tempo. Poiché ogni evento tende sempre a darsi una forma, «l’Ambleto» si da forma di tragedia. E tragedia è, fino in fondo, con Peripezia e Catastrofe, Agnizione, poiché ogni tragedia è un processo di conoscenza, e qui è il Potere a svelare il proprio volto fra gli uomini, e Catarsi, poiché ogni conoscenza raggiunta, per quanto dolorosa, è sempre momento di serenità della ragione irrequieta. Ma in quanto nasce da un mondo umano caotico e primigenio, essa non può che configurarsi come Tragedia Primigenia, come ideale origine della tragedia nella sua forma primitiva ed assoluta, contenente tutte le altre, infinite nel tempo e nello spazio, che le faranno seguito. È una sorta di Epifania del Tragico, di svelarsi improvviso e lampante della natura irriducibilmente tragica degli avvenimenti umani, di quel famoso «ritmo tragico» che appare come il ritmo stesso di ogni realtà e di ogni conoscenza. È la forma stessa che si darebbe, che si potrebbe dare, il teatro dei popoli primitivi, se il teatro dei popoli primitivi aspirasse a una forma. Per noi «l’Ambleto» si pone dunque come momento iniziale non solo di un teatro, individuato nel tempo e nello spazio, ma forse del Teatro stesso, come avventura e corsa nell’ignoto del sentimento e della ragione.

Doninelli guida alla rilettura di Testori

GIOVANNI TESTORI NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA

Prosegue il viaggio ideale e reale che il Centro Culturale di Milano – questa volta in compagnia di Casa Testori – propone con grandi autori della città e dei territori lombardi. Riletture, ovvero letture “contemporanee”.

Testori è una personalità che scuote questo presente. Ha sempre scosso, lui. Intemperante, mai prestabilito, sempre in fieri. Ecco perché acquista il gusto della novità quello di costruire un ciclo per scoprirlo e riscoprirlo attraverso la pluralità dei linguaggi espressivi utilizzati.
In un tempo debordante di definizioni posticce e di “slegami” poco edificanti, pare opportuna la scelta di accostare Testori; ancora una volta, che è sempre una prima volta (un certo sentire del Centro Culturale di Milano è nella tensione al vero, alla cultura come vita, questioni così care all’intellettuale di Novate nella pratica di sbilanciamenti fecondi e irriducibili al tran tran. Lui amava il tram.).
L’accresciuta complessità del vivere dovuta alla pandemia da Covid rende ancor più provocante l’incontro con la parola di Testori, con i corpi, le voci, i cori, vecchi e nuovi fabbriconi, le disperate speranze che dicono, interrogano, giudicano. Dentro e oltre la città. Come non approfittare della sua multidisciplinarità? Di pensiero che compie proprio perché è pensiero?
Anche la scelta di riprendere il filo senza collocarlo e cioè senza attendere la stagione degli omaggi in occasione del centenario della nascita (1923) ci pare una decisione che apre, che lo libera, di nuovo e per sempre “scarozzante”.

Perciò un Ciclo di letture e dialoghi per trovare un’’immagine complessiva e vitale di Giovanni Testori, dove l’arte, il teatro, la letteratura, la poesia, il Testori polemista degli interventi pubblici, attraverso articoli, editoriali, saggi – dove le tante sfaccettature dell’uomo- si ritrovino insieme e ci comunichino quel nesso con la verità e la vita che è stato principio e fine della sua offerta intellettuale e artistica.

Tre gruppi di incontri, il primo dedicato ai grandi amori e ai loro esordi: quello del ’51 con il suo articolo sul Cairo fino a Morlotti, quello del ’54 con l’uscita de “Il dio di Roserio”; quello dei suoi inizi teatrali, culminanti con lo scandalo dell’Arialda, 1961.

Il secondo gruppo, un “a fondo” dove entrare nei suoi grandi amori ma anche nei suoi ripensamenti, sulle sue passioni costanti, sui suoi rifiuti. In pittura, con un ritratto teatrale, a cavallo della grande crisi, con due momenti fondamentali, da un lato l’Erodiade e dall’altro la Trilogia ed infine un incontro dedicato a Testori e la poesia.

Nel terzo gruppo l’ultimo Testori, quello incendiario, con la controversa “conversione”. Un primo passaggio su Testori critico artistico e curatore, con le due mostre emblematiche: quella sulla Ca’ Granda (Testori e la carità) e la sua partecipazione alla mostra dell’84 alla Besana (Testori scopritore di talenti); la stagione del suo rinnovato teatro con tre tappe: Interrogatorio a Maria, In Exitu, Tre Lai; un incontro su Testori polemista, con una scelta di articoli su fatti di cronaca e del mondo.

Gli incontri si svolgono dal vivo al Centro culturale di Milano, in Largo Corsia dei Servi, 4.
Laddove segnalato, sarà possibile seguire gli incontri anche in streaming dalla pagina Facebook del Centro Culturale di Milano.

Necessaria la prenotazione. È previsto un biglietto di 5 euro, scontato a 3 per gli Amici di Casa Testori (presentarsi con la newsletter nella mail del cellulare) e per gli studenti.

per info: centroculturaledimilano.it

La Gilda con Laura Marinoni

9 – 21 NOVEMBRE 2021
TEATRO FRANCO PARENTI

da La Gilda del Mac Mahon di Giovanni Testori
con Laura Marinoni
Alessandro Nidi al pianoforte
adattamento e cura registica Laura Marinoni
direzione musicale Alessandro Nidi
movimenti coreografici Cristina Bucci
costumi Gianluca Sbicca
produzione International Music and Arts

Dal sito del Teatro:
In scena la vitalità senza freni, la fatica di sopravvivere e la passione incontenibile per il sesso sì, ma soprattutto per l’amore. Laura Marinoni, e il musicista Alessandro Nidi, danno voce e corpo agli esuberanti personaggi di periferia de La Gilda del Mac Mahon di Giovanni Testori.
Una selezione di musiche che spazia da Jannacci a poeti-musicisti immensi come Ferré o Monteverdi, fa da commento intimo al racconto testoriano.

per info e prenotazione: teatrofrancoparenti.it

CI VUOLE UNA MADRE PER CAPIRE LA «PIETÀ»

È stata prorogata fino al 31 ottobre la mostra di Emma Ciceri “Nascita Aperta”, in corso al Museo della Pietà Rondanini al Castello Sforzesco di Milano, a cura di Gabi Scardi e prodotta da Casa Testori.
Per l’occasione pubblichiamo di seguito la recensione di Luca Doninelli uscita su Il Giornale.

di Luca Doninelli

Sarebbe sempre bello poter parlare di arte, letteratura, cinema non da esperti, non in qualità di specialisti della materia, ma soltanto come semplici uomini, che leggono e guardano e ascoltano obbedendo a un bisogno naturale.
Comincio così perché so di non avere la competenza per parlare di quello di cui sto per parlare. Per l’esattezza: né di arte classica né di arte contemporanea. So soltanto che amo l’arte, perché non si occupa di sistemi di pensiero ma solo di una ferita che esiste in tutti noi, di un dirottamento, di qualcosa che non si spiega: e più cerca la chiarezza (è suo dovere) e più sprofonda nell’enigma della vita.
Ammirare la Pietà Rondanini, custodita a Milano, al Castello Sforzesco, è quasi un dovere. L’opera estrema di Michelangelo, quasi più un urlo silenzioso, una preghiera fremente che nemmeno una scultura, si trova lì, pronta a interpellare i visitatori. Vale il viaggio, anche da lontano, perciò venite.
Se però verrete nei prossimi giorni, allora avrete la possibilità di ammirare un’altra opera, straziante e meravigliosa, dalla quale potrete imparare, a proposito della Rondanini, tante cose alle quali non avevate mai pensato.
L’enigma di questo capolavoro finale (l’artista continuò a lavorarvi fino a 88 anni, ossia fino alla morte) si spalanca attraverso il doppio video di un’artista, Emma Ciceri, che a pochi metri dalla Rondanini, con tenerissime, semplici immagini ci racconta il suo amore per la bellissima figlioletta, affetta da quella che noi chiamiamo – tradendo l’imbarazzo dell’ignoranza – disabilità.
Le due scene parallele si svolgono una nella cameretta della piccola e una lì, nel museo dove, protetta dal legno di De Lucchi, la Rondanini si alza nella sua solitudine, che a me ha sempre dato un po’ fastidio perché la solitudine impoverisce l’opera, come un posticcio one man show. E penso sempre al museo più felice del mondo, il Bargello di Firenze, che è l’esatto contrario.
Ma a vincere la solitudine ci ha pensato l’artista, Emma, che con la sua azione restituisce a questa Pietà il senso del suo nome. Un’azione pietosa, al cospetto di un’altra (o forse la stessa) azione pietosa, si svolge nei due video paralleli di questa artista. Emma lava, asciuga, accarezza la sua bambina, gioca con lei. Dal viso angelico e perfetto della piccola nascono sguardi enigmatici; lamenti – di gioia, forse – si levano timidi come da oltre un muro: e la mamma li raccoglie, li conserva, li stringe a sé.
Distesa su una coperta, la piccola viene piano piano trascinata intorno alla statua, e a quel punto nessuno spettatore che non sia affetto da distrazione cronica può trattenere un moto di profonda commozione: commozione per quel duplice amore che unisce madri e figli, e per la bellezza che da questo amore si genera, eternamente. Quasi che da questo sguardo nascesse l’Arte, sempre e dovunque.
So che questo non è del tutto vero; eppure, se pensiamo all’arte occidentale e a quello che è nato (anche in termini tecnici) dalla rappresentazione dell’amore di Maria per il suo bambino piccolo, o del suo figlio morto troppo presto, verrebbe da confermare questa impressione volatile, renderla di pietra, e dire: sì, tutto nasce da un bacio, da una carezza.
A questo punto, tornati davanti al misterioso capolavoro di Michelangelo, mentre nel cuore ci scorrono tanti suoi sonetti, la nostra mente si apre, non per un’azione intellettuale ma per l’accettazione dello sconquasso, del felice disordine che lei, la vita! produce nella nostra intelligenza meccanica.
E, a quel punto, si comincia a capire. A capire la beata sfrontatezza teologica, che in faccia alla Chiesa Trionfante ci offre l’immagine scandalosa di un Dio morto, e che proprio nella morte, nell’estrema sconfitta, diviene la salvezza per sua madre: che lo sostiene per esserne sostenuta, che lo stringe per essere da Lui stretta.
Non il Gesù Cristo dispensatore di miracoli e guarigioni, ma quello che non vediamo più, e ci ha lasciato, verrebbe da dire, un simulacro vuoto, un corpo inanimato. I discepoli sono fuggiti, sopraffatti dallo scandalo, ma la madre rimane, accarezza quel corpo, non ha perso la fiducia, ripete tra sé le parole di Pietro, le dice al cadavere: Tu solo hai parole di vita eterna.
Folle, se vogliamo. Eppure umano, umano come niente al mondo. E come la Rondanini è il “Tu” di Maria al figlio, così “Nascita aperta” (questo il nome dell’opera di Emma Ciceri) è il “Tu” di una madre che sa quanto non l’arte, non il successo (che le auguro di tutto cuore) ma quel rapporto è il punto decisivo sul quale si gioca e si giocherà tutta la sua vita.
Riporto, con queste ultime parole, il pensiero di Giovanni Testori, e non a caso, perché proprio Casa Testori ha progettato, prodotto e promosso questo evento (curato da Gabi Scardi, a cui va la mia gratitudine) capace di oltrepassare ogni competenza specialistica con un linguaggio diretto, semplice come tutto ciò che è vero e che, almeno per il sottoscritto, ha liberato il capolavoro di Michelangelo da tutta la polvere che i secoli e le chiacchiere (anche mie) vi hanno depositato.

Scopri di più sulla mostra

Il progetto Alpina

Il progetto ALPINA nasce dall’incontro delle ricerche di Barbara De Ponti e Fabio Marullo che, parallelamente alle proprie attività artistiche, hanno deciso di intraprendere un cammino comune, un viaggio costellato da tappe e incontri che portano nuovi approfondimenti e nuovi punti di osservazione. Lungo questo percorso si è aggiunto l’apporto critico-teorico di Alessandro Castiglioni.

In questa prima fase, il team di operatori-ricercatori culturali è interessato a setacciare i fondi archivistici, raccogliere informazioni e dati scientifici in situ che daranno vita a talk e workshop pubblici e, in futuro, a opere ed esposizioni.

ALPINA è un progetto a lungo termine che nel mese di agosto 2021 è entrato nel vivo con una spedizione presso il Ghiacciaio dei Forni, il più grande ghiacciaio vallivo italiano, l’unico di tipo himalayano, in Alta Valtellina, nel settore lombardo del Parco nazionale dello Stelvio.

ALPINA compie il suo viaggio in collaborazione con Casa Testori e l’Associazione Ardito Desio nello spirito di Ardito Desio, tra i primi esploratori-geologi a studiare il Ghiacciaio dei Forni (la sua prima spedizione risale al 1938). 

Casa Testori si fa archivio della memoria per questo progetto artistico, accompagnandolo fin dai suoi primi passi. In questa teca viene esposto man mano il materiale che gli artisti stanno spedendo dalle loro esplorazioni: un archivio in divenire a disposizione degli sviluppi che prenderà il progetto.

Pubblichiamo di seguito una riflessione dell’artista Barbara de Ponti, sul tema del rapporto fra uomo e natura, oggi più che mai attuale.

Tutto dipende da come si percepisce il tempo.
Di quanto e per quanto tempo ci si sente responsabili del proprio agire.
Il tempo brevissimo dell’essere umano, dalla sua comparsa come specie a quello del singolo esemplare, non facilita la lungimiranza. Il nostro ricondurre ogni cosa ad una scala antropocentrica non aiuta, non aiuta principalmente l’infestante ma fragile Sapiens.
E’ diverso l’atteggiamento solo per chi si è formato con la più romantica tra le scienze, la geologia e le scienze della terra, e la filosofia.
Ancora una volta viene in aiuto Walter Benjamin, quando recupera da Ernest Bloch uno dei concetti cardine del suo pensiero: “Irruzione nel presente di una esigenza che viene dal passato, non nel senso di una restaurazione di ciò che fu, ma in vista di una nuova e originale esperienza del presente. Il passato, in determinate occasioni, irrompe con le sue esigenze nel presente facendolo saltare. Stiamo quindi parlando di un passato che non avrebbe esaurito le sue possibilità nel momento in cui accadeva, un passato cioè che conterrebbe una sorta di slancio verso il futuro”.
Ma non diamo ascolto a ciò che ci viene detto, in realtà sottovoce: è scomodo e faticoso, soprattutto per questa parte di mondo così viziata nel pensarsi autorizzata a sfruttare tutto e tutti che nemmeno si accorge di quanto sia cinica e tossica la comunicazione dei propri modelli di cambiamento, così esigui o addirittura conniventi con chi non desidera nessun cambiamento.
L’arte si è da sempre interessata a questioni legate alla natura del tempo, contribuendo a nuove visioni anche in altri ambiti in cui l’uomo ha posto i medesimi quesiti. E’ da tempo il momento in cui il mondo dell’arte dovrebbe prendersi e avere riconosciuta più responsabilità.

IG: @progettoalpina

CURATELA. 4 CURATORI A CASA TESTORI

Ottobre 2021

In occasione dell’ultimo mese di apertura di CuratelaCasa Testori ha invitato critici e curatori in grado di generare un dibattito pubblico per approfondire la tematica affrontata dalla mostra: il confronto tra l’arte contemporanea e del Novecento con la figura del critico-curatore.
Il dialogo si è strutturato in tre appuntamenti:

Incontro con Emma Zanella e Alessandro Castiglioni
9 Ottobre 2021
Emma Zanella è la direttrice del museo MAGA di Gallarate. Alessandro Castiglioni è vicedirettore e senior curator del museo MAGA di Gallarate.
Il museo MA*GA ha recentemente ospitato la mostra dell’artista Marzia Migliora Lo spettro di Malthus e di Francesco Bertocco Historia, e gli stessi Zanella e Castiglioni sono i curatori della mostra in corso: Impressionisti. Alle origini della modernità.
Riguarda l’incontro

Incontro con Demetrio Paparoni
16 Ottobre 2021
Demetrio Paparoni è un critico d’arte e curatore indipendente. Ha recentemente curato la mostra L’ultima cena dopo Leonardo alla Fondazione Stelline di Milano e, nel 2020, ha pubblicato, insieme a Arthur Danto, Arte e poststoria: Conversazioni sulla fine dell’estetica e altro.
Riguarda l’incontro

Incontro con Eva Fabbris
23 Ottobre 2021
Eva Fabbris è exhibition curator per Fondazione Prada. È curatrice associata della mostra Stop painting, in corso alla sede veneziana della Fondazione, e di Project Room, un programma della Fondazione Arnaldo Pomodoro dedicato ai più recenti sviluppi del panorama artistico internazionale.
Riguarda l’incontro

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