Arte contro la Corruzione

LA BASE DELLA SCALA

I migranti hanno conosciuto il ricatto della corruzione sulla loro pelle. Lo hanno conosciuto sull’altra sponda del Mediterraneo quando hanno dovuto mettere i loro pochi risparmi nelle mani degli scafisti o di chi per loro; e spesso l’hanno sperimentata anche in Italia, quando l’accoglienza è finita nelle mani di organizzazioni gestite da affaristi. I migranti sono testimoniati in mostra da due opere di grande impatto e valore. Tindar, “nickname” di un artista milanese che oggi vive a Roma (e ha aperto le porte della sua casa all’accoglienza di un migrante), è presente con un trittico nato da un’esperienza di frontiera, a Calais, nei mesi della “Jungle”, il grande campo profughi dei migranti che speravano di passare la Manica. Tindar ha realizzato un ribaltamento di prassi e paradigma: ha chiesto ai migranti stesso di raccogliere (dietro un piccolo compenso) le impronte di persone che a diverso titolo incrociavano nel campo. Le impronte, montate su pannelli coperti di terra, vengono a comporre un flusso di presenze che transitano da un mondo all’altro. Tindar con un’opera come questa mette in gioco il suo essere artista. La stessa cosa accade per un nome carismatico di una diversa generazione: Corrado Levi ha portato a Casa Testori una propria foto (scattata da Beppe Finessi), in cui indossa gli abiti ritrovati sugli scogli di Otranto. Abiti abbandonati da migranti che erano sbarcati lì. Levi li aveva raccolti tutti e indossati.  «Io immaginavo di essere il corpo degli altri – ha raccontato – lo so di aver finto, ma per quanto potevo l’ho sentita dentro di me questa cosa». “Vestiti di arrivati” è il titolo dell’opera. «Quando me li tolgo e li lascio su una spiaggia, lì sugli scogli a futura memoria, quello è il momento in cui spero di poter cambiare la mia vita. È la libertà. Come un battesimo… per chi ci crede».

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LA CUCINA

Un autore in solitaria monopolizza questo ambiente: è Antonio Marras. Noto come stilista, ha sempre affiancato alla sua attività professionale anche una intensissima produzione artistica recentemente presentata con una grande mostra alla Triennale di Milano. L’opera di Marras è un’installazione che per il suo contenuto intreccia una relazione stringente con le altre opere presenti in questa sala. “Le malelingue” è un’installazione costituita da una cascata di lingue saettanti che sgorgano da una montagna di libri. È un’opera che si ispira ad una delle artiste più amate da Marras, Carol Rama. La reiterazione delle lingue che si prolungano nello spazio suona come deplorazione ironica “del vizio privato” del pettegolezzo che copre comportamenti pubblici tutt’altro che virtuosi. 

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LA VERANDA

Tre artisti diversi, per stile e generazioni, si confrontano in questo che è uno degli spazi più magici di Casa Testori. E qui il discorso sulla corruzione diventa interno all’arte, come un’energia che intacca il manufatto da dentro: è quanto sembrano comunicarci le due sculture di ceramica in forma di vaso di Alessandro Roma poste al centro. Uno sta perdendo la sua stessa forma regolare; l’altro accoglie fiori a cui però non riesce a dare vita. Il contrasto tra l’anelito alla bellezza costitutivo di due manufatti come questi, e una dinamica invece drasticamente avversa si propone come un trapasso liricamente emblematico. Francesco Fossati, con la sua lapide posta tra le colonne, usa un linguaggio sempre ai confini del verosimile, ponendo l’attenzione su un dato di realtà non eludibile: spesso accade agli artisti di essere loro stessi un anello nel meccanismo perverso della corruzione. La targa di Fossati non vuole raccontare una verità, ma smascherare quel rischio sempre presente di fariseismo. Si possono veicolare messaggi corretti, e intanto attivare meccanismi perversi con le proprie scelte rispetto al mercato: una bella statua può essere strumento per trafficanti di droga. Che resti comunque bella, è un problema che spiazza e fa pensare. Infine, alle pareti, Alessandro Verdi propone due lavori recentissimi, uno dei quali pensato all’interno del progetto “arte CONTRO la corruzione”. Infatti la piccola figura umana che naviga nel vuoto è il prototipo di quelle dipinte sulle colonne della Sala Testori al Teatro Franco Parenti, che aveva ospitato il primo incontro del progetto. Nella seconda carta la piccola figura si rapporta con un grande cosmo, realizzato con un intensissimo pigmento blu.  Un qualcosa di più grande di lui da reggere.

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IL SALONE

Per capire il tema di questo avvertimento basta che ci spostiamo nel salone di Casa Testori. Qui ci aspettano tre maestri dell’arte italiana di oggi: Mimmo Paladino, Emilio Isgrò e Gianni Dessì. Quella di Paladino è una scultura realizzata dal maestro di Paduli nel 2013 e mai mostrata in pubblico. Come spire di un serpente che non ha né capo né coda, un serpente da cui sembra impossibile potersi liberare, il cavo di ferro tiene prigioniera una testa lavorata in alluminio. Paladino si pensa in primo luogo come pittore, per questo dice «nella scultura io ho sempre pensato a quelli che anche nel passato avevano questa architettura grafica». Quello sul camino è un nodo inestricabile, che non solo imbriglia quell’icona umana ma la fa regredire quasi a maschera di un automa grazie all’uso di un materiale freddo come l’alluminio.

Nella parete di fronte sono esposte quattro tavole di uno dei cicli più celebri di Emilio Isgrò: “La costituzione cancellata”, del 2010. «Mi ha spinto in quest’impresa il disappunto malinconico di un italiano che vede il proprio Paese crollare», aveva detto l’artista spiegando le ragioni di questa sua impresa.  La cancellazione è un atto di profondo rispetto. «La Costituzione – ha detto Isgrò – è un’opera d’arte, al pari del “Cantico” di San Francesco e della “Commedia” di Dante. È scritta in un italiano perfetto, semplice, burocratico, non in “burocratese”. I Padri costituenti erano delle persone molto colte». Ma con la Costituzione cancellata Isgrò mette anche in risalto come in troppi si prendano gioco di quel testo costituente. Queste, infatti, sono le parole sopravvissute che danno quindi i titoli alle quattro opere in mostra: “Una indivisibile minorata”, “Non sono proibite le associazioni segrete”, “È senatore di diritto chi è nato a febbraio”, “Addì 27 dicembre 1947”. Rispetto e insieme denuncia; venerazione e insieme amarezza: questo ci comunica l’opera di Isgrò.

Il dittico di Gianni Dessì è un’opera recentissima: le tele sono dipinte a olio in una sorta di nero-nero su nero. Una delle due opere, “A&E”, richiama quello che simbolicamente rappresenta l’avvento della corruzione alle origini stesse della storia umana nella Bibbia. Il serpente come il grande corruttore. L’altra opera, “Insieme” vede ancora una figura umana: l’elemento geometrico, freddo, neutro sulla sua sinistra sembra scattare come una trappola.

Nella stanza, campeggia la sorpresa di Katja Noppes: è un’installazione semplice che mette in moto un processo da cui non ci si può sottrarre. Immagini di corruzione, di guerra e ingiustizia, raccolte a tutte le latitudini da oltre 25 anni, si riflettono nello specchio. Ne vediamo solo il riflesso, e tra loro si mescola anche la nostra immagine, come pure quella dell’ambiente incantato in cui ci troviamo. La corruzione ci riguarda. Non ci può chiamare fuori e non ci si può illudere di non c’entrare con quello che vediamo. La neutralità non ha spazio. Spazio extrapersonale, peripersonale e personale vengono a sovrapporsi.

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LA PRIMA STANZA

Il percorso della mostra prende avvio da una sala in cui al visitatore viene presentato un video con la sintesi del percorso fatto per arrivare a questa mostra: tre incontri per lanciare un dialogo tra chi è in prima linea nella sfida alla corruzione e artisti che hanno avvertito l’importanza di fare loro questa sfida. Michelangelo Pistoletto si è confrontato con Raffaele Cantone, alla testa dell’Autorità Nazionale Anticorruzione; Emilio Isgrò con Francesco Greco, procuratore capo a  Milano; infine, Stefano Arienti ha dialogato con Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e con Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Di fronte al video è posta una coppia di opere emblematiche: è l’Italia sottosopra di Andrea Bianconi, artista vicentino che vive e lavora tra il nostro Paese e gli Stati Uniti e che con questo dittico ha voluto essere felicemente schietto: con il segno sottile ed esatto della sua penna acrilica – segno che sembra quello di un sismografo – traccia una cartina secondo la prospettiva resa celebre dall’opera di Luciano Fabro del 1968. L’Italia come Paese ribaltato e sulla soglia di implodere. Con il suo tratto delicato Bianconi lancia un morbido avvertimento. 

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