ISCARIOTES

Matteo Fato e Nicola Samorì
A cura di Alberto Zanchetta
Casa Testori
8 Aprile – 20 Maggio 2018

MANUS TRADENTIS
Alberto Zanchetta

L’apostolo Giuda incarna quell’apostasia e quell’apologia che appartiene sia a Matteo Fato sia a Nicola Samorì. E proprio come Giuda, anche le Belle Arti possono essere indotte al suicidio e alla loro redenzione. Sotto l’egida di un sacrificio che non resterà impunito, la mostra viene siglata dalla parola Iscariotes, un nome proprio che si aggiunge alla triangolazione che coinvolge gli artisti e il curatore. 

Come curatore sono posseduto dal Demone dell’Analogia, motivo per cui – nel mio tentativo di aggirare le note biografiche – sono solito definirmi un “analogo patologo”. Ma come raccomandava Goethe: «se si segue troppo l’analogia tutto coincide e s’identifica». Ebbene, ciò che mi assilla non sono le equivalenze bensì le propaggini che si creano tra opera e opera, così come tra autore e autore. Consapevole del fatto che un’opera non dovrebbe mai essere comparata a un’altra, in quanto ognuna ha in sé un carattere specifico e speciale, mi sforzo di capire quale sia la dorsale che divide l’identità dall’identico, concetti avversativi che condividono la stessa etimologia. La mia eco è quella del demone che si impossessa, che si impone, ossessionando, perseguitando e perseguendo gli obiettivi di un’ipseità dei metalinguaggi artistici. 

Con i due artisti qui presentati intrattengo un dialogo di lungo corso, costante, disseminato di stimoli reciproci, intuizioni, coincidenze e sfide. Fato e Samorì si riconcorrevano da diversi anni, senza mai riuscire a portare a compimento un’agognata attractio electiva duplex; ho quindi voluto intercettare questo desiderio, che anch’io avevo alimentato più e più volte, avverando quel loro “appuntamento mancato”. La consanguineità di questi autori è più di una scommessa, è una scoperta di idee e di finezze operative, di crisi e tradimenti artistici che diventano atto di affermazione e di responsabilità. Considero questa mostra come un’ineluttabile “pietra di paragone” che soltanto pochi anni or sono sarebbe stata liquidata come una “pietra d’inciampo”, se non fosse che nel frattempo noi tre siamo diventati – volendo parafrasare Nicola – dei venerabili abietti. L’esposi zione è quindi stata concepita come un recto/verso della Pittura riuscendo vieppiù a eccedere il tutto tondo della Scultura, svelandone anche l’alto e il basso. 
Il mefistofelico orgoglio del non serviam (tradire cioè la tradizione) converte il peccato di vanità in una virtù; anziché rassicurare lo sguardo, i due artisti cercano di sobillarlo con disfatte e trionfi, cedevolezze e resistenze, intermittenze e persistenze. Dipinti, sculture, disegni, collage e incisioni stabiliscono, infatti, un’affinità [s]elettiva, dove analogie e accidentalità rivelano una contiguità d’intenti, che però si biforca su un versante di tenebra e di turbamenti, nel caso di Samorì, o in un crinale luminoso e numinoso, nel caso di Fato. Le contra[ddi]zioni che si manifestano scorrendo lo sguardo da un autore all’altro mettono in evidenza un’iconoclastia che non consiste più nel distruggere le immagini, ma vieppiù nel produrne di nuove che – in una spirale infinita – confinano le precedenti nell’oblio. Se queste opere incarnano un “peccato”, di certo è dispensato dal rimorso, al contrario: tenta di far affiorare il rimosso. In questo senso si devono leggere anche gli omaggi che ambo gli artisti dedicano a Giovanni Testori, intervenendo su libri o dipinti da lui amati e qui completamente trasfigurati. 

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Iscariotes inaugura Pocket Pair, un ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Il titolo del ciclo riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.
«Ho raccolto la sfida e ho deciso di giocare due assi», afferma Alberto Zanchetta, il direttore del MAC di Lissone, il quale ha deciso di invitare due artisti dal curriculum importante e legati da una comune riflessione sulla disciplina pittorica e quella scultorea.

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