Month: Febbraio 2021

MA ALLORA, PERCHÈ M’HA FATTO VENIRE QUI?

Francesco Tola
A cura de Il Colorificio
Casa Testori
5 Marzo – 19 Giugno 2021

PROLOGO
Il Colorificio

Il 5 marzo 2021 Il Colorificio, collettivo curatoriale e spazio progetto, inaugura la collaborazione con Casa Testori, associazione culturale con sede nella dimora di Giovanni Testori a Novate Milanese volta alla promozione dell’eredità artistica dello scrittore, drammaturgo, storico dell’arte e artista milanese, come della ricerca contemporanea, talvolta messa direttamente in dialogo con la sua figura. 
In questa cornice Il Colorificio presenta Ma allora, perché m’ha fatto venir qui?, quinto capitolo de L’Ano Solare. A year-long programme on sex and self-display, programma espositivo, performativo e di ricerca su sessualità e pratiche collettive di autorappresentazione. Il progetto
si concentra sulla figura poliedrica di Giovanni Testori (1923, Novate Milanese – 1993, Milano), in quanto riferimento rilevante nelle ricerche de L’Ano Solare per la sua attenzione a un teatro degli oppressi, per il suo studio incessante della regia dei corpi e del corpo collettivo, per il suo immaginario legato alla sessualità contraddittorio e ancora da esplorare. Ma allora, perché m’ha fatto venir qui? si articola attraverso due mostre personali, una di Francesco Tola (1992, Ozieri; vive a Milano) negli spazi di Casa Testori, l’altra di Giovanni Testori a Il Colorificio. 
Testori è stato il narratore degli abitanti delle periferie milanesi, nel ciclo I segreti di Milano (avviato con il postumo Nebbia sul Giambellino); il critico che ha sottratto i Sacri Monti – particolarmente quello di Varallo descritto ne Il gran teatro montano – all’oblio dovuto all’etichetta di folklore a loro attribuita, per restituirli agli studi storico artistici; il drammaturgo che ha per la prima volta dato spazio all’amore omosessuale sulla scena teatrale, senza stereotipare e relegare i soggetti a figure macchiettistiche, ne L’Arialda del 1960. La sua omosessualità, che ha per tutta la vita negoziato a causa del proprio rapporto con una fede cattolica radicata, è un aspetto di rilievo, che può essere interrogato e confrontato con altre figure storiche che hanno condotto battaglie nel dibattito pubblico italiano. Testori è infatti per L’Ano Solare una voce fuori dal coro rispetto ad altre interlocutrici ed interlocutori teorici emersi negli anni sessanta e settanta come Carla Lonzi, Guy Hocquenghem, Monique Wittig, Mario Mieli, Mariasilva Spolato, ma è per questo che offre spunti laterali e conflittuali, spesso politicamente contraddittori con la direzione de L’Ano Solare, ma fondamentali per comprendere una vicenda umana e un humus culturale che ha accompagnato Milano attraverso quattro decadi del XX secolo, fino al 1993. 
Il metodo adottato nello sviluppo del progetto è stato diretto da un’approfondita ricerca su Testori, la sua vita e i suoi lavori, costituito di incontri nell’archivio di Casa Testori e di viaggi ai Sacri Monti, grazie a un gruppo composto da Il Colorificio, dall’artista Francesco Tola e dalla ricercatrice Mariacarla Molè (1991, Ragusa; vive a Torino) […]. L’intenzione dell’operazione risiede nel tentativo di ricontestualizzare la materia “calda” della sessualità in Testori, “calda” in quanto storicamente poco approfondita, anche per ragioni politiche, sia per il favore della sua figura nell’ambito della cultura cattolica, sia per le sue posizioni percepite come conservatrici dall’orizzonte omosessuale italiano. Ristudiare in Testori sesso e analità, quel dispositivo fisico e concettuale di disidentificazione e di superamento del genere e dell’orientamento sessuale, riteniamo possa oggi essere rilevante per poter rileggere l’autore aggiornandone le grammatiche e immaginando pratiche celate come quella del cruising – che sembra emergere in alcuni suoi lavori – per tracciare quindi uno spazio di possibilità queer
Ma allora, perché m’ha fatto venir fin qui? è la domanda che il Lino rivolge all’Eros chiedendo spiegazioni sul motivo dell’incontro al buio nei prati intorno alla cava, ne L’Arialda, la già citata opera teatrale testoriana, per la regia di Luchino Visconti, censurata nel 1960 e ritirata dopo lo spettacolo a Milano nel 1961 «per turpitudine e trivialità» e per il racconto di una coppia gay. La frase sottende un non detto o non compreso, una dimensione di illecito e una paura di stigma. Il campo del sessuale si presenta sulla scena come qualcosa di imprevisto che lascia interdetti e che prelude a uno scenario fatto di possibilità che richiedono scelte e, ancora oggi, responsabilità da spartire con la società. 
Ma allora, perché m’ha fatto venir qui? indaga il tema della sessualità partendo dall’opera testoriana e discostandosene, attraverso materiali d’archivio, testi e disegni, individua conflitti e discontinuità della sua riflessione in un contesto storico e religioso fortemente normativo, confrontandosi con orizzonti contemporanei. Interroga identità e rappresentazioni sessuali connesse o ispirate da Testori, costruendo un processo di archeologia degli immaginari e rinegoziazione degli stessi alla luce di emancipazioni ed esperienze situate nell’oggi. 
In relazione a questo rapporto di interrogazione e interpellazione trans-temporale, entrambe le mostre riportano lo stesso titolo, perché in entrambi i casi ci immaginiamo che gli artisti abbiano provato a rispondere alla medesima domanda, inaugurando tracciati divergenti, ma al tempo stesso consonanti. 
[…]

LA MOSTRA

Casa Testori la mostra di Francesco Tola è costituita da nuove produzioni, concepite appositamente in relazione all’architettura dello spazio, mentre presso la sede de Il Colorificio (collettivo curatoriale e spazio progetto composto da Michele Bertolino, Bernardo Follini, Giulia Gregnanin e Sebastiano Pala) è presentata una selezione di disegni erotici di Giovanni Testori prodotti tra il 1973 e il 1974, all’interno di un allestimento immersivo. 
Nella piccola pubblicazione sviluppata per l’occasione, oltre al testo di Il Colorificio, sarà presentato un contributo della ricercatrice Mariacarla Molè che, parallelamente a Francesco Tola, ha condotto un percorso di ricerca nell’archivio di Casa Testori.

I lunedì di Casa Testori. Ep.14

Si apre eccezionalmente con la lettura di Federica Fracassi di alcune poesie di Testori tratte dal libro “Alain”. In ricordo di Alain Toubas recentemente scomparso. 

Dialogo con il Direttore Generale Creatività Contemporanea del MiBACT Dott. Onofrio Cutaia, che interverrà insieme al Dott. Matteo Piccioni e all’Arch. Eliana Garofalo, responsabili rispettivamente dei progetti “Italian Council” e “Creative Living Lab”.

A seguire parleremo del Manuale per giovani artisti di Giulio Alvigini, uscito nel 2020 da Postmedia Books, un sorprendente best seller dell’editoria d’arte. In realtà è un anti-manuale, ironico e canzonatorio, scritto da uno che potrebbe esserne il destinatario (Alvigini è generazione 1995). L’autore per i “Lunedì di Casa Testori” si confronterà con Davide Gavioli, Social Media Manager di Arte Fiera. Con loro ci sarà anche Gianni Romano, fondatore di Postmedia Books, una casa editrice che ha portato in Italia tanti importanti testi teorici di scrittori e artisti contemporanei, nutrendo una generazione che si definisce cresciuta a “pane e Postmedia”.

L’arte che guarda al domani – Connessioni Digital Edition

Milano, 16 febbraio 2021. Da Banksy a Maurizio Cattelan, Da Marina Abramovic a Billa Viola a Olafun Eliasson. Si intitola L’arte che guarda al domani ed è la miniserie in cinque puntate prodotta da Fastweb e realizzata da Casa Testori associazione culturale, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione K words e che è adesso disponibile gratuitamente per il pubblico sul canale Youtube dell’azienda e sul nostro canale.

L’iniziativa, inserita all’interno del progetto Connessioni Digital Edition, ha voluto raccontare l’esperienza di alcuni tra i più celebri e celebrati artisti contemporanei che attraverso le loro opere hanno saputo provocare, innovare, ma anche la realtà. Ciascun video, grazie alla guida di un esperto, è stato pensato come un vero e proprio viaggio dentro l’opera e la visione di ciascun artista per coglierne la poetica e raccontarne quelle opere che hanno saputo relazionarsi al presente e, talvolta, anticipare il futuro.

Il format Connessioni Digital Edition è nato con l’intento di diffondere tra i dipendenti Fastweb stimoli culturali e chiavi di lettura originali, in particolare in questo periodo eccezionale durante il quale l’accesso in presenza a eventi culturali è stato, ed è tuttora, in gran parte precluso.

Il filone dell’arte, all’interno del progetto Connessioni, è stato inaugurato già nell’aprile dello scorso anno, il periodo più duro del lockdown, attraverso la serie Finestre sulla primavera, dieci appuntamenti, sempre realizzati da Casa Testori e K words, dedicati ad altrettante grandi opere d’arte, da Botticelli a Monet, da Hopper a Warhol, che hanno saputo raccontare, appunto, la primavera. Un modo originale per far vivere a stagione più bella dell’anno anche nelle settimane in cui eravamo costretti a guardarla, appunto, solo dalla finestra di casa.

I video realizzati all’interno del format Connessioni Digital Edition, nati con la volontà di creare legami e confronti anche all’esterno dell’azienda, sono ora disponibili anche online, gratuitamente, a disposizione del pubblico sul canale youtube di Fastweb e di Casa Testori.

Lunedì di Casa Testori. ep.13

Puntata 13, lunedì 15 febbraio ore 21.15

ore 21.15 – Si inizia con la mostra di Titina Maselli a Brescia raccontata da Massimo Minini: un’antologica che si apre con un grande ritratto dell’artista romana di Renzo Vespignani che Testori aveva esposto nel 1969. Titina Maselli è stata una delle protagoniste della nuova figurazione romana, con grandi visioni che negli ultimi anni sconfinano anche nell’astrazione. Al centro della mostra della Galleria Minini, l’immenso quadro-installazione del 1975, “Metro”. 

– ore 21.35 – Da Brescia i Lunedì di Casa Testori si spostano poi a Napoli per la mostra di Alessandro Mendini organizzata dal Madre – Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina. Ne parleranno i due curatori Arianna Rosica e Gianluca Riccio. Il legame tra Mendini e Napoli è un legame significativo e profondo: a lui si devono gli stupendi allestimenti di due delle stazioni della metropolitana partenopea: le stazioni Salvator Rosa e Mater Dei.

 – ore 22.05 – In chiusura l’appuntamento con Federica Fracassi che leggerà le prime pagine di “Nebbia al Giambellino” di Giovanni Testori.

Testori e Paolo Isotta: una grande amicizia

È stata una grande amicizia quella tra Giovanni Testori e Paolo Isotta, il grande musicologo napoletano, morto ieri a 70 anni. Era stato Testori a favorire il suo arrivo al “Corriere della Sera” nel 1980, perché diventasse titolare della critica musicale sul quotidiano, dove Testori era responsabile della pagina d’arte. Isotta si era messo in luce per la qualità dei suoi interventi su “Il Giornale” di Indro Montanelli. Il suo arrivo al “Corriere” aveva causato numerosi ostracismi da parte delle istituzioni musicali, intimorite dalla libertà e anche dalla estrema competenza delle sue critiche. Il titolare della critica rimase Duilio Courir (fino al 2010) e nel 2013 Isotta interruppe definitivamente la sua collaborazione con il “Corriere”, dopo che il soprintendente della Scala, Stéphane Lissner, lo aveva dichiarato “persona non gradita” a causa di una sua stroncatura ad un concerto della Filarmonica scaligera diretta da Daniel Harding. Il direttore Ferruccio De Bortoli aveva difeso la libertà di critica, ma l’ostracismo restò nei confronti di Isotta. A testimonianza del rapporto e dell’intesa che si era stabilita con Testori c’è questa recensione di Testori stesso, pubblicata il 30 luglio 1980 sul “Corriere”, a “I sentieri della musica”, libro che raccoglieva interventi critici di Isotta: «libro bellissimo, denso come un’antica enciclopedia, appassionato, intrigante e avventuroso come un grande romanzo».

Voi sapete ch’io v’amo
Giovanni Testori
Corriere della Sera, 30 luglio 1980

«Se la musica è il nutrimento dell’amore, continuate a suonare…»: principia così la più dolce e stregata “commedia d’amore” che si conosca, cioè a dire la Dodicesima notte di Shakespeare. Quando Orsino rivolge queste parole ai musici di corte, ai confortatori della sua malinconia e, insieme, della malinconia che si stende, come un manto di porpora vespertina o di velluto notturno sopra tutta la terra, la tempesta sta facendo approdare sull’isola di cui egli è duca e signore la protagonista dal nome bellissimo e sacrificalmente significativo di Viola. Viola, appunto, d’amore. Il bisticcio m’è venuto da sé; ma riferito a uno degli strumenti, appunto, della musica sembra quasi dalla medesima musica determinato; o evocato. Poiché nell’amore, partitamente e universalmente, risiede il senso della vita, la musica viene qui invocata come nutrimento di lei, la vita.

Ora, che risponde dai suoi nidi nascosti e dai suoi nascosti grembi, la musica all’uomo e alla vita? Forse anche questo potrà parer casuale. Ma letto il corpus degli scritti, casuale non risulta assolutamente più il titolo che Paolo Isotta ha voluto dare al frammento del Suonatore di liuto di Caravaggio scelto per la copertina del suo bellissimo libro; bellissimo, denso come un’antica enciclopedia, appassionato, intrigante e avventuroso come un grande romanzo (I sentieri della musica, Mondadori, L.8.000). Quel titolo riprende le parole del madrigale di Jacques Arcadelt, la cui musica gli specialisti han potuto riconoscere nello spartito che il giovane suonatore, straripante d’adolescente indolenza e d’ambigua, fascinosa bellezza, si tiene spalancato davanti: «voi sapete ch’io v’amo…».

Se l’uomo invoca la musica come nutrimento della propria vita e del proprio destino d’amore, la musica profferisce di risposta all’uomo, «a noi», quanto dire a noi, il suo amore: dunque, la necessità che essa avverte dell’uomo e della di lui vita. 

È probabile che in questa stretta, continua eppur liberissima, in questa vera e propria catena di domande e di risposte, di richieste e di offerte, che di per sé è già un atto liturgico, risieda non solo il senso totale che la musica assume per Isotta nella vicenda umana, ma altresì la sua essenza di metafora in ritmi e in suoni del rapporto che intercorre tra l’uomo e il suo creatore, tra l’uomo e Dio. Assieme a tale metafora, a venire enucleata e esaltata, è la natura precipuamente religiosa della musica; e il suo religioso destino. Allontanandosi dal quale e dalle connesse necessità di tempi, azioni e figure liturgiche, la musica s’allontana da sé, esce dal proprio centro, s’opacizza, si tradisce, rantola, forse urla e si suicida, certo si spegne e muore.

Pienissimo, stipato, come se tutta la storia della musica vi fosse chiusa dentro (ciò che in effetti, come vedremo, accade ad ogni pagina), lucente sempre d’una scrittura che domina la materia e le stesse, variatissime occasioni di lettura e d’interpretazione, ma capace nello stesso tempo di soffrire fino allo spasimo (e trascinando in tale spasimo il nitore stesso, il cristallo, ecco, del proprio stile); capace di soffrire, dicevo, i vagiti dell’apparire della musica e della sua fatalità dentro i primi gesti che l’uomo ha compiuto dentro le prime pietre che ha mosso e levigato per dar loro una forma (vagiti nei quali è già tutto contenuto della potenza e dell’eloquenza che quella fatalità andrà assumendo nel giro dei secoli); capace di soffrire, poi, i tempi supremi della gloria e di congioirne; e di soffrire, infine, la caduta verso l’abisso, che forse è altrettanto fatale come i vagiti del principio (atto, questo, che sta racchiuso nei capitoli ultimi del libro, che risultano i più alti, dolorosi e partecipi che sulla musica moderna siano mai stati scritti, proprio perché in essi la musica intesa come “consumazione”, come rantolo ed  agonia); pienissimo e stipato nella sua lucidità che s’indora di stupende speculazioni, s’oscura di strazi e d’inabissamenti, accetta, abbraccia, glorifica, rifiuta, sferza e s’indigna senza mai cedere d’un millimetro al suo specchiatissimo ordine (anche quando si trova impegnato in un corpo-a-corpo col disordine), il libro di Isotta diventa così la guida attraverso cui egli ci insegna che la musica è un atto precipuamente rituale e che la funzione sua sta appunto nell’enucleare ogni volta e ad ogni incontro tale verità e nel trasformarla poi in coscienza dove forma ed eticità coincidono, fanno blocco e si stabiliscono per sempre come unità.

Per questa via, anzi per questi sentieri isottiani che procombono verso le origini, quelle origini che noi avremmo pensato inattingibili (e ciò accade nel capitolo La musica delle pietre, forse il più emozionante di tutto il libro, certo quello che si spalanca all’ampiezza d’un vero, grande e misterioso racconto poematico); toccano i vertici della possibilità stessa di partecipazione e di trasposizione in parole nel grande tempio o colonnato dorico-nibelungico dedicato a Wagner; e, passo dietro passo, si preparano poi, come in una cupa eppur doverosa quaresima, a scendere nell’inferno della rottura e dello squilibrio; quindi, ancora più oltre, nell’asettico pantano delle ceneri presenti; per questa via, dicevo, gli scritti di Isotta superano e cancellano la riduzione della musica a fatto meramente storicistico o, peggio ancora, a fatto meramente sociologico cui da anni ci avevano abituati le ideologie che gli ingranaggi critici e burocratici della musica dispongono e governano, finendo, come sono finiti, nell’incapacità medesima ad ascoltare prima e a riferire e scrivere sull’ascolto, poi. La superano e cancellano in quanto l’indagine risulta condotta su di una conoscenza capillare del tessuto storico da cui, di volta in volta, la musica s’è alzata per celebrare le sue certezze e le sue paure, le sue feste e le sue penitenze, le sue glorie e le sue tombe.

Isotta ci ammonisce così che la musica, come tutte le espressioni dell’arte, non è serva di quel tessuto e, men che meno, come usa sostenersi e farsi oggidì, non è serva degli interessi cupamente politici delle ideologie che di quel tessuto vorrebbero impadronirsi per sempre (mentre, nel profondo della realtà, è già caduto dalle loro mani). La musica, egli dice, esprime l’uomo; e solo l’uomo ama e serve. Ma il suo amore e il suo servizio sono di natura, di qualità e di luce supremamente etiche. 

Ora è proprio questa coscienza generale del destino della musica, che diventa una cosa sola col destino religioso e, dunque totale dell’uomo, a permettere ad Isotta il miracolo critico che, a mia memoria, nella nostra cultura era stato solo di Roberto Longhi: quello di saper contenere dentro la disanima di un frammento, anche il più modesto, anche il più breve, l’intera storia di quel destino: di saper contenere nel particolare il tutto. Così dentro ogni sua pagina, anche là dove essa diventa filologica perquisizione delle zone più minute e delle più minute connessioni di significati, rapporti, influenze e confluenze, noi avvertiamo premere sempre il rombo dell’immensa arcata che la storia della musica ha costruito sulla nostra terra. L’atto critico sale così di gradi e diventa, in Isotta, atto creativo.

Se è vero che la «poesia nasce in primis sulla poesia» (com’era solito dire, appunto, Roberto Longhi), è altrettanto vero che la musica nasce in primis sulla musica; e che, senza nulla lasciare della loro condizione di partenza e persino di cronaca, gli scritti di Isotta, raccontandoci la storia della musica, compongono una loro, indimenticabile musica; quella che ne forma il fascino, l’attrazione e lo stile. Per cui ci basta un attacco o persino un titolo per avvertirci che è lui il mentore, il pastore che sta conducendoci lungo i sublimi, gloriosi, straziati “sentieri”; e per dirci altresì quale suono dal suo flauto il mentore e pastore farà giungere al nostro cuore. Insomma, per finire con un’altra citazione letteraria, cavata da quel poeta a me carissimo che fu Verlaine: de la musique avant toute chose. Anche nella musica, ecco, prima di tutto, musica. Una musica trasparente e solenne che è felicità di se stessa perché insieme e sempre è coscienza del destino degli uomini e del loro primo ed ultimo significato.

I lunedì di Casa Testori. Ep.12

Puntata 12, lunedì 8 febbraio ore 21.15

ore 21.15 – Puntata speciale dei Lunedì di Casa Testori: sarà ospite Sonia Bergamasco che dialogherà con Giovanni Agosti. Sonia Bergamasco ha infatti firmato l’introduzione alla nuova edizione di “In Exitu“, una delle opere più importanti ed emblematiche di Testori, resa celebre dall’interpretazione che ne fece Franco Branciaroli. «“In exitu”» ha scritto Sonia Bergamasco «è un’eruzione narrativa che spazza via tutte le coordinate letterarie precedenti. Non ci sono più capitoli, non più descrizioni». 

– ore 21.35 – A seguire appuntamento con Rossella Farinotti, curatrice e giornalista, insieme a Matteo Negri, artista. Racconteranno di due esperienze condivise in questi mesi: una mostra di Negri curata da Rossella Farinotti a Borgomanero e il progetto “The Colouring book“, un progetto di Milano Art Guide a cura di Gian Maria Biancuzzi e Rossella Farinotti durante il lockdown e ora diventato libro.

 – ore 22.05 – Finale con Federica Fracassi che leggerà un brano tratto da “Il ponte della Ghisolfa”.

I Lunedì di Casa Testori. Ep.11

Puntata 11, lunedì 1 febbraio ore 21.15

ore 21.15 – “Vedere” Dantecon Federico Tiezzi, uno dei protagonisti del teatro italiano. Tiezzi a giugno riporterà in scena le cantiche di Dante, per i 700 anni dalla morte del poeta. Sono spettacoli nei quali la storia dell’arte e le memorie visive del regista giocano un ruolo decisivo.

– ore 21.35 – “Carla Accardi. Contesti”, la grande mostra monografica al Museo del Novecento di Milano, a sei anni dalla scomparsa dell’artista, nell’ambito del palinsesto “I talenti delle donne”, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Saranno con noi le curatrici Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo, Direttrice Area Polo Arte Moderna e Contemporanea.

– ore 22.00 – Per la sezione gli Incipit di Testori, Federica Fracassi legge le prime pagine di “Erodiade”.