CI VUOLE UNA MADRE PER CAPIRE LA «PIETÀ»

È stata prorogata fino al 31 ottobre la mostra di Emma Ciceri “Nascita Aperta”, in corso al Museo della Pietà Rondanini al Castello Sforzesco di Milano, a cura di Gabi Scardi e prodotta da Casa Testori.
Per l’occasione pubblichiamo di seguito la recensione di Luca Doninelli uscita su Il Giornale.

di Luca Doninelli

Sarebbe sempre bello poter parlare di arte, letteratura, cinema non da esperti, non in qualità di specialisti della materia, ma soltanto come semplici uomini, che leggono e guardano e ascoltano obbedendo a un bisogno naturale.
Comincio così perché so di non avere la competenza per parlare di quello di cui sto per parlare. Per l’esattezza: né di arte classica né di arte contemporanea. So soltanto che amo l’arte, perché non si occupa di sistemi di pensiero ma solo di una ferita che esiste in tutti noi, di un dirottamento, di qualcosa che non si spiega: e più cerca la chiarezza (è suo dovere) e più sprofonda nell’enigma della vita.
Ammirare la Pietà Rondanini, custodita a Milano, al Castello Sforzesco, è quasi un dovere. L’opera estrema di Michelangelo, quasi più un urlo silenzioso, una preghiera fremente che nemmeno una scultura, si trova lì, pronta a interpellare i visitatori. Vale il viaggio, anche da lontano, perciò venite.
Se però verrete nei prossimi giorni, allora avrete la possibilità di ammirare un’altra opera, straziante e meravigliosa, dalla quale potrete imparare, a proposito della Rondanini, tante cose alle quali non avevate mai pensato.
L’enigma di questo capolavoro finale (l’artista continuò a lavorarvi fino a 88 anni, ossia fino alla morte) si spalanca attraverso il doppio video di un’artista, Emma Ciceri, che a pochi metri dalla Rondanini, con tenerissime, semplici immagini ci racconta il suo amore per la bellissima figlioletta, affetta da quella che noi chiamiamo – tradendo l’imbarazzo dell’ignoranza – disabilità.
Le due scene parallele si svolgono una nella cameretta della piccola e una lì, nel museo dove, protetta dal legno di De Lucchi, la Rondanini si alza nella sua solitudine, che a me ha sempre dato un po’ fastidio perché la solitudine impoverisce l’opera, come un posticcio one man show. E penso sempre al museo più felice del mondo, il Bargello di Firenze, che è l’esatto contrario.
Ma a vincere la solitudine ci ha pensato l’artista, Emma, che con la sua azione restituisce a questa Pietà il senso del suo nome. Un’azione pietosa, al cospetto di un’altra (o forse la stessa) azione pietosa, si svolge nei due video paralleli di questa artista. Emma lava, asciuga, accarezza la sua bambina, gioca con lei. Dal viso angelico e perfetto della piccola nascono sguardi enigmatici; lamenti – di gioia, forse – si levano timidi come da oltre un muro: e la mamma li raccoglie, li conserva, li stringe a sé.
Distesa su una coperta, la piccola viene piano piano trascinata intorno alla statua, e a quel punto nessuno spettatore che non sia affetto da distrazione cronica può trattenere un moto di profonda commozione: commozione per quel duplice amore che unisce madri e figli, e per la bellezza che da questo amore si genera, eternamente. Quasi che da questo sguardo nascesse l’Arte, sempre e dovunque.
So che questo non è del tutto vero; eppure, se pensiamo all’arte occidentale e a quello che è nato (anche in termini tecnici) dalla rappresentazione dell’amore di Maria per il suo bambino piccolo, o del suo figlio morto troppo presto, verrebbe da confermare questa impressione volatile, renderla di pietra, e dire: sì, tutto nasce da un bacio, da una carezza.
A questo punto, tornati davanti al misterioso capolavoro di Michelangelo, mentre nel cuore ci scorrono tanti suoi sonetti, la nostra mente si apre, non per un’azione intellettuale ma per l’accettazione dello sconquasso, del felice disordine che lei, la vita! produce nella nostra intelligenza meccanica.
E, a quel punto, si comincia a capire. A capire la beata sfrontatezza teologica, che in faccia alla Chiesa Trionfante ci offre l’immagine scandalosa di un Dio morto, e che proprio nella morte, nell’estrema sconfitta, diviene la salvezza per sua madre: che lo sostiene per esserne sostenuta, che lo stringe per essere da Lui stretta.
Non il Gesù Cristo dispensatore di miracoli e guarigioni, ma quello che non vediamo più, e ci ha lasciato, verrebbe da dire, un simulacro vuoto, un corpo inanimato. I discepoli sono fuggiti, sopraffatti dallo scandalo, ma la madre rimane, accarezza quel corpo, non ha perso la fiducia, ripete tra sé le parole di Pietro, le dice al cadavere: Tu solo hai parole di vita eterna.
Folle, se vogliamo. Eppure umano, umano come niente al mondo. E come la Rondanini è il “Tu” di Maria al figlio, così “Nascita aperta” (questo il nome dell’opera di Emma Ciceri) è il “Tu” di una madre che sa quanto non l’arte, non il successo (che le auguro di tutto cuore) ma quel rapporto è il punto decisivo sul quale si gioca e si giocherà tutta la sua vita.
Riporto, con queste ultime parole, il pensiero di Giovanni Testori, e non a caso, perché proprio Casa Testori ha progettato, prodotto e promosso questo evento (curato da Gabi Scardi, a cui va la mia gratitudine) capace di oltrepassare ogni competenza specialistica con un linguaggio diretto, semplice come tutto ciò che è vero e che, almeno per il sottoscritto, ha liberato il capolavoro di Michelangelo da tutta la polvere che i secoli e le chiacchiere (anche mie) vi hanno depositato.

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Posted on: 8 Ottobre 2021, by : Alessandro Frangi