LA SALA DEL CAMINO

Tre artisti si confrontano in questo spazio suggestivo di Casa Testori, intessendo un dialogo che ricorre a forme espressive coinvolgenti e audaci. Marco Cingolani entra in gioco portando un grande striscione, vera opera d’arte da manifestazione, distesa sopra al camino. Lo slogan tracciato  a lettere cubitali rivendica una richiesta che risuona persin ovvia, se non fosse smentita dalla realtà, ad ogni istante: “Il dovere al potere”. È un’opera che lascia interdetti nella sua nudità: un po’ come un grido che rimbomba nel silenzio. Se lo striscione è opera che Cingolani porta con sé da tanti anni, quasi come un’implorazione, il quadro-cartellone che lo affianca in questa sala è invece stato realizzato ad hoc per la mostra di Casa Testori. È un ritratto di Bernard de Mandeville, medico e pensatore olandese cui si deve una definizione dell’ipocrisia entrata nel linguaggio comune: «Vizi privati e pubbliche virtù». “La favola delle api: ovvero vizi privati e pubbliche virtù” è, infatti, il titolo del suo libro più noto, scritto nel 1714. E “I furfanti diventati onesti”, suonava il titolo nella prima versione del libro, sciogliendo ogni dubbio circa la natura di quelle “pubbliche virtù”.

Massimo Kaufmann porta a Casa Testori una rivisitazione “gridata” di una sua opera di inizi anni ‘90. Come nel caso di Cingolani il mezzo espressivo scelto è volutamente aconvenzionale: un wallpaper che ingrandisce a dismisura l’originale e ne restituisce, enfatizzato, l’inquietante messaggio. Il ciclo prende spunto dai celebri “Capricci” di Goya, rappresentazione impietosa della società corrotta, dominata dalla menzogna e dagli abusi di potere. Una rappresentazione che Kaufmann restituisce con un linguaggio attualizzato e ardito. Gli originali infatti sono stati realizzati con caratteri da macchina da scrivere, che accentuano gli aspetti caricaturali di questa rappresentazione di una società che sembra smangiata dalla pervasività della corruzione. Kaufmann, proprio per sottolineare la portata pubblica del messaggio contenuto in questa sua opera, ha realizzato anche una versione firmata e numerata del wallpaper, che i visitatori possono acquistare.

Infine, Stefano Arienti interviene con un’installazione affascinante, intitolata “Lame Italia”, dove degli attrezzi che sono memoria della terra contadina da cui viene l’artista (è nato ad Asola, in provincia di Mantova) assumono un aspetto enigmatico, quasi avessero smarrito il senso positivo della loro funzione. Una metafora delicata del rovesciamento di valori che avviene quando s’innescano patologie sociali come la corruzione.

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Posted on: 25 Marzo 2020, by : Alessandro Frangi