Imma Villa è Erodiade
In un piccolo teatro nel cuore di Napoli, che da 25 anni è un laboratorio di esperienze originali, fino al 17 novembre va in scena una straordinaria Erodiade con Imma Villa, per la regia di Carlo Cerciello. Il teatro è l’Elicantropo, che ha prodotto lo spettacolo insieme alla Elledieffe (la compagnia fondata da Luca De Filippo). Imma Villa, cofondatrice del teatro, figlia d’arte l’avevamo ammirata lo scorso anno al Piccolo Teatro in Scannasutrice, testo di Enzo Moscato. Ora porta in scena un’Erodiade più struggente che proterva, più malinconica che furiosa. Soprattutto iù donna che regina. Il fascino dello spettacolo è garantito dalla bellezza delle luci, dei suoni e dei costumi, oltre che dall’intercalare registrato di frammenti di poesie di Testori (da “Nel Tuo sangue”) lette dallo stesso Cerciello, e “sparate” in scena con un effetto dirompente.
Ecco una nota di regia di Carlo Cerciello.
Continuando a seguire quel filo invisibile e misterioso, rituale e irrituale, poetico e perciò eretico, quello sguardo oltre ciò che vediamo o che siamo assuefatti a vedere, quello sguardo, come affermava Heiner Muller, dentro le nostre stesse vene, che scorra con il sangue fino alla verità ultima, fino all’estremo teatrale, ho incontrato stavolta il linguaggio di Giovanni Testori e la sua “Erodiade”, nonché il meraviglioso componimento poetico “Nel tuo sangue”, che ben mi ha fatto comprendere il senso profondo della prima. Testori attraverso “Erodiade”, tenta di dire l’indicibile. L’indicibile conflitto tra umanità e divinità, tra religiosità e religione, tra desiderio e peccato, nonché il conflitto tra rappresentabilità e irrappresentabilità stessa del teatro, tra forma drammatica e forma poetica. “Erodiade” compie il disperato tentativo di ribellarsi al ruolo escatologico di artefice e vittima del martirio del Battista, impostole da Dio e dall’autore, ma, ciò facendo, il suo destino non potrà che essere: “l’ombra; l’umana bestemmia, l’inesistenza, la cenere, il niente.” Erodiade”, profondamente legata alla sua natura umana, fa a pezzi, non solo la inutile santità di Giovanni, morto casto per un Dio che lo ignora e lo abbandona, ma soprattutto il concetto di “incarnazione”; quella di Dio nel Cristo di Giovanni, che tradisce la sua natura divina, introduce il peccato e impedisce all’uomo ogni aspirazione al divino, ma anche “l’incarnazione del testo”, imposta dall’autore all’attrice-personaggio, mostrando così, quanto sia umanamente inevitabile il fallimento di qualsiasi dogma.
Informazioni e biglietti:
www.teatroelicantropo.com