Marco Di Giovanni, LA MIA CASA NON HA PIÙ PORTE

Stanza 4


Ero un ragazzino molto posato e rispettoso. Careful with that axe, Eugene (Pink Floyd, 1968) mi piacque tantissimo, con sensi di colpa. Lasciai la chitarra classica e mi presi la stratocaster.
Probabilmente è solo colpa della pianura se non sono mai riuscito a sentirmi veramente a mio agio nel mio vecchio studio. Quando l’ho lasciato, per amarlo finalmente, gli ho sbragato tutte le porte con l’ascia tipo Jack Nicholson in Shining (Stanley Kubrick, 1980). Mo’ lavoro sull’Appennino.
A volte le persone si appiccicano troppo allo sbrago nelle porte e si lamentano che non si vede niente. Ci vorrebbe sempre un bravo Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979. Tratto da Picnic sul ciglio della strada di Arkadij e Boris Strugackij, 1971) come guida per aiutarli ad apprezzare la distanza. Ho sette gradi di miopia e senza lenti posso farlo io.
Marco Di Giovanni

Il futuro sarà in mano a coloro che governeranno l’infinitamente piccolo, la parte invisibile della nostra realtà; in tal modo bisogna convenire che la scienza si è avvicinata in quest’ultimo secolo proprio alle discipline a cui, a torto, è sempre stata contrapposta, ossia la religione e la filosofia, tornando forse a una dimensione arcaica e primitiva, in cui la figura del filosofo, quella del religioso e dello scienziato erano racchiuse quasi sempre in un unica persona.
Ed ecco, questo è il punto rispetto al lavoro di Marco Di Giovanni, ossia il momento in cui la scienza si spinge talmente oltre da tornare al mito, o forse dovrei dire i momenti in cui scienza e mito si sovrappongono, visto che queste due discipline in realtà non sono mai state disgiunte, anche se talvolta non eravamo più in grado di vedere i loro legami. Il momento in cui l’infinitamente grande si confonde con l’infinitamente piccolo, e in cui le normali nozioni di spazio e tempo smettono di funzionare, non esiste passato e non c’è futuro, tutto accadrà ed è già accaduto.
Il centro dell’ultima serie di opere di Marco Di Giovanni è proprio una sorta di indissolubilità tra ricerca scientifica da una parte, e il mito, la leggenda e la poesia dall’altra. Come se le due parti non potessero separarsi…
L’effetto finale di molte sue installazioni ha il sapore proprio di tutta la cultura steampunk, con una potenza immaginifica ed una visionarietà vicina ad esempio a Panamarenko. Si tratta in entrambi i casi di oggetti che sembrano contenere la più avanzata tecnologia, ma fatta con materiali e tecniche totalmente arcaiche, come se arrivassero da un mondo “retrofuturibile” dalla datazione indefinita e indefinibile; potrebbero infatti essere strumenti funzionali di un pianeta di un futuro postatomico, come di un passato antichissimo in seguito al quale è arrivata la nostra civiltà. Oppure potrebbe trattarsi di una sorta di universo parallelo. Di sicuro si tratta di oggetti che nulla hanno a che fare con un qui e ora, con la nostra dimensione spazio-temporale e con il nostro contesto.
Antonio Grulli

Marco di Giovanni è nato a Teramo nel 1976. Vive e lavora tra Imola (BO) e Solarolo (RA).

Posted on: 18 Novembre 2011, by : admin