valigie

Rossella Roli, VALIGIE

Stanza 20

“Lo slancio del gesto di partire, l’audacia avventurosa delle spedizioni in terra remota, ingannano circa le loro motivazioni. Non di rado si tratta semplicemente di evitare quanto ci sta dappresso, perché non siamo all’altezza di affrontarlo. Ne avvertiamo la pericolosità e preferiamo avere a che fare con altri pericoli di ignota entità”. Mi piace iniziare con queste parole di Elias Canetti, perché davvero lo spirito umano si rivolge spesso verso le cose lontane e trascura tutto ciò “contro cui va continuamente a sbattere”. Lo spirito che “sbatte” contro le cose vicine, che si affanna per schivarle avventurandosi verso altri luoghi, credendo così di metterle a tacere, mi ha accompagnato per molti anni. Lo spirito che si allontana è un salvataggio, almeno ho creduto che lo fosse. Tutte le volte in posti lontani (non solo fisici), ho sempre avvertito un malessere, un sintomo, come a dirmi “questo non è il tuo posto, torna a casa”. La casa fisica e la casa “dentro”. La casa fisica è facile, la casa “dentro” è da ricostruire, smantellare fin sotto le fondamenta e ricomporre, mi ci sono voluti vent’anni. Adesso posso raccontare qualcosa della mia storia, della mia memoria, costruire valigie e avventurarmi verso luoghi ignoti. Ospite per diciotto giorni, in una stanza al primo piano nella casa in cui Giovanni Testori amava ritornare dopo le “puntate verso l’esterno”, mi piace ricordare le sue parole: “Però, io ti assicuro che quello che mi ha sempre aiutato a vivere e, di più, ad accettare la vita anche nella sua maledizione, è sempre stato il ritorno a casa”.
Rossella Roli

Non c’è spazio per i souvenir: il bagaglio è un kit di sopravvivenza, raccoglie dentro sé il necessaire fantastico per un viaggio reale. Valigie che sono altrettanti ponti verso mondi possibili, posti appena un passo a lato del nostro quotidiano; risplendono di simboli, cariche di richiami organici, cuori e cordoni ombelicali rosso porpora o carminio, sono il sangue venoso colmo di impurità o quello che sgorga come sorgente chiara dalle arterie, segnate da blu femminei, sorrette da trasparenze aeree vetrose, affermando un hic et nunc che brucia qualsiasi tentazione di spiritualità. Sono un’affermazione eppure un dialogo aperto: enti attivi, pensati nello svolgersi del tempo, immaginati come compagni di viaggio, da toccare, aprire, usare, rompere, manipolare e reinventare. Si tratta di sopravvivenze: l’opera di Rossella Roli, impudica, dismette ogni vanità e intraprende un’ascesa verso la vetta della montagna, verso altri spazi temporali, negli inferi della memoria. Non ci sono oggetti, infatti, slegati dall’azione del ricordare, essi sono naturalmente connotati come macchine del tempo. Materni nel loro proteggerci dall’horror vacui, sono presenze in prima istanza rassicuranti, capaci di ancorarci al reale, talvolta taumaturgiche. Scavalcando l’idea che l’opera d’arte – in particolare quella che ha a che fare con la scultura – necessiti di un luogo fisico determinato con cui discorrere e infrangendo la regola aurea che la vuole sacra, intoccabile, elemento ieratico quando avvolto in fumi metafisici, o semplicemente cinico, quando più connotato di allure contemporanea, l’assemblaggio di Rossella Roli invece è audace nel rinunciare ad uno status prestabilito, non ha paura di essere dipendente dal fruitore, di farsi cosa d’uso quotidiano.
Silvia Bottani

Rossella Roli è nata a Modena nel 1967. Si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera con specializzazione in Arti Visive. Attualmente vive e lavora a Milano. Si occupa di progettazione grafica dal 1989. Nel 2001 ha frequentato il master di web design presso la Domus Academy di Milano. Dopo aver partecipato ad alcune mostre collettive, nel 2009 ha tenuto due mostre personali a Milano: Porzione di mare che sale e di cielo che sale che sale che sale alla Galleria Blanchaert e Survivals alla Galleria Obraz.