Giovanni Testori

Danielle Sassoon, VIA FATEBENEFRATELLI 20

Stanza 9

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti, a persone e/o cose realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Danielle Sassoon

“Stanze” nella stanza. “Stanze” di un passato impregnato di paura e di dolore in una stanza invasa invece dalla luce felice del giardino lombardo. Strisciate di sofferenza che prendono coraggio, che escono dal buco nero in cui se ne stavano rintanate. È il nodo del passato che riaffiora come per una necessità, preso per mano da un destino imprevisto e non più nemico. Il dolore muto di quelle stanze vissute da un’infanzia ferita, prende voce. Dolore visibile, non più nemico, come un compagno di strada ritrovato. Si avverte quasi un desiderio di accarezzare quel dolore, di prendersene finalmente cura. Di ripetere e ripetersi che aveva ed ha un senso.
Come tanta arte femminile di questi decenni anche quella di Danielle Sassoon è ferocemente sincera con se stessa. Non fa sconti. Mette a nudo l’anima con crudezza. Ma questo non impedisce di farsi canto. Nella stanza le “stanze” intonano finalmente il loro straziato canto.

Danielle Sassoon è nata nel 1965 a Milano, dove vive e lavora.

Giovanni Testori, TRAMONTI

Stanza 3

«Però, io ti assicuro che quello che mi ha sempre aiutato a vivere, e, di più, ad accettare la vita anche nella sua maledizione, è sempre stato il ritorno a casa. Si fanno queste puntate verso l’esterno – che possono anche essere violente, distruttive –, ma poi il ritorno a casa dà all’esperienza stessa di quell’uscita un calore indicibile. Perché ritornare non vuol dire affatto dimenticare, non vuol dire scrollarsi di dosso la violenza e la distruzione
Giovanni Testori

«Ho visto poche volte Giovanni Testori, e solo due volte nel suo studio. La prima impressione fu di trovarmi davanti a un frate. La seconda davanti ad un ergastolano. Infatti nei penitenziari si incontrano spesso dei detenuti che il tempo, lavorandoli, incurvandoli, asciugando loro le spalle, decongestionandoli e quasi scolorendoli, ha come consumato e rimpicciolito, senza distruggere del tutto la loro antica robustezza di complessione. Il loro volto è sereno, il sorriso dolcissimo, e nel chiaro celeste degli occhi si stempera fino a cancellarsi il ricordo di un lontano fatto di sangue. Una misteriosa venerabilità li circonda, e li fa in qualche modo privilegiati e inviolabili: esseri che il cielo ha destinato a esorcizzare con il crimine, con una nefandezza, i diavoli che ci possiedono quotidianamente. »
Cesare Garboli