casa testori

Sarah Mazzetti, IL GIGANTE UMBERTO DELLA CROCE

Bonvesin ha tramandato le gesta di alcuni personaggi che fecero grande Milano. Tra essi ha ampio spazio una figura particolare, quella di Uberto della Croce, famoso per la propria forza: «Egli aveva tanta forza quanta in tutto il mondo la cui forza non ha mai trovato l’uguale nel mondo, né allora né poi, se ne poté trovare l’uguale in qualche uomo». 
Il nostro autore non si limita e riporta le testimonianze delle gesta di quest’uomo straordinario, che – racconta – fermava con le braccia cavalli in corsa, mangiava trentadue uova in un solo pasto e, seppur tenuto fermo con una corda da dodici uomini, era in grado di muoversi liberamente. Uberto della Croce non è solo modello per le virtù fisiche, ma anche per quelle morali, visto che «raramente faceva sfoggio della sua forza in pubblico senza una ragione precisa; mai si dice che, approfittando della sua forza, abbia oltraggiato gli altri; era cortese con tutti». 

Sarah Mazzetti ha trasformato il gigante in una colonna portante di Casa Testori, con un tratto brut e colori primari, che ne enfatizzano le dimensioni.

Marco Goran Romano, IL SEGRETO DI MEDIOLANUM

M. Una lettera più ampia delle altre, per indicare l’ampiezza della gloria di Milano, Mediolanum. All’inizio e alla fine delle parole, richiama il numero mille, al di là del quale non vi è un unico numero che si possa indicare con un unico vocabolo. E così essa esprime un numero perfetto nella sua unicità, significando che dal principio fino alla fine del mondo Milano è stata e sarà annoverata nel novero delle città perfette.

O. Di forma rotonda e perfetta, più degna e più bella di tutte le altre, per esprimere la rotondità, la bellezza, la dignità e la perfezione. La nostra città è infatti rotonda in senso letterale e bella e più perfetta di tutte le altre città.

L. La lunghezza e l’altezza della nobiltà e della gloria. 

Inoltre, si deve anche sottolineare che in questa parola vi sono tutte e cinque le vocali, che occupano ciascuna un posto in ogni sillaba. 

Se ne deduce che, come il vocabolo Mediolanum non manca di nessuna vocale, così anche la città non manca di alcun bene effettivo che sia necessario ai cinque sensi dell’uomo.

E come i vocaboli di tutte le altre città mancano di qualcuna delle cinque vocali, così anche quelle città confrontate con Milano mancano di qualche bene.

Marco Goran Romano

Davide Mottes, LA CITTÀ CERCHIO

«Se infine qualcuno avesse piacere di vedere la forma della città e la qualità e quantità dei suoi palazzi e di tutti gli altri edifici, salga con grato animo in cima alla torre corte comunale: di lassù, dovunque volgerà lo sguardo, potrà ammirare cose meravigliose».

Una città su cui camminare. Davide Mottes, con precisione e accuratezza, ha ricostruito la Milano della fine del Duecento. Aveva studiato mappe disegnate circa nello stesso periodo in cui venivano redatte Le Meraviglie di Milano, ha individuato i centri del potere e della vita religiosa dell’epoca, oltre ad alcuni luoghi chiave del nostro percorso, tra cui le case dove visse Bonvesin. Una lettura geografico-scientifica, che ben si prestava all’osservazione prolungata per la ricchezza di dettagli e di punti di riferimento, dalle montagne che circondano la città alle distanze chilometriche rispetto agli altri borghi del circondario.

Francesco Muzzi, LA CITTÀ VERTICALE

La città che sale. Francesco Muzzi raccontava la verticalità di Milano, scegliendo gli elementi descritti da Bonvesin che, già nel Duecento, connotavano la città e che contenevano in nuce gli sviluppi della città moderna, dei grattacieli, delle archistar. Le oltre duecento campane e i centoventi campanili «costruiti alla maniera delle torri», le circa duecento chiese, le centocinquanta ville con castelli, le porte principali e quelle secondarie che «sono invece dieci, si chiamano “pusterle” e hanno tutte, come si può osservare, il mirabile fondamento, da ogni parte, di un mirabile muro. Ciascuna delle porte principali ha due torri, non però finite, le cui basi solidissime poggiano anch’esse su un fondamento solidissimo». 

La verticalità della città era descritta dall’installazione di Muzzi, che aveva inserito, uno per uno, gli elementi di ciascuna categoria. Bonvesin era sempre presente, in ognuno dei totem, immerso nella scrittura. Contava, prendeva appunti, guardava la città crescere.

Simone Massoni, LA STANZA DEL LINO

Nel testo di Bonvesin le materie prime e il modo di cucinarle hanno ampio spazio. Tra queste, c’è una pianta a cui dedica un’attenzione particolare: il lino. 
Questa scelta ha una valenza sia dal punto di vista retorico, in quanto permette all’autore di fare sfoggio delle sue abilità di scrittura in un arzigogolato paragrafo, sia dal punto di vista contenutistico, perché Bonvesin sottolinea la versatilità che caratterizza il lino, utilizzabile non solo come alimento.

«E dirò anche (e appaia mirabile a quelli che intendono): l’olio, anche quello impropriamente detto composto, in qualche luogo dei nostri campi si forma sopra le fave. Inoltre sotto i treppiedi e i piatti nascono, in qualche luogo, tovaglie oppure, sopra le stesse tovaglie, portate di vario genere; in sovrabbondanza nasce l’olio, col cui aiuto nella stagione invernale le tovaglie vengono filate nell’alabro, poi poste nell’arcolaio, quindi nel gomitolo e infine tessute».

Simone Massoni ha restituito questa stratificazione attraverso la creazione di un pattern stampato su più tovaglie, che rendono i livelli su cui si colloca la descrizione di Bonvesin. Un’icona su ognuno dei tessuti ne riassume il ragionamento: un’ampolla d’olio, un arcolaio e un fiore.

Elyron, I NUMERI DELLE DUE MILANO

«Tanto nella città quanto nel contado, ovvero distretto, ogni giorno diventa più grande la già grande popolazione e la città si estende con i suoi edifici». 

Bonvesin è maestro della tecnica retorica dell’enumerazione, di cui fa sfoggio a partire dalla descrizione dei numeri della città e dei suoi abitanti.
Il confronto tra la città del 1288 e quella del 2015 è difficile, perché molte categorie professionali non ci sono più, altre sono mutate, ma Elyron ci ha guidati in questo dialogo a distanza, settecento anni dopo. La ricerca di Roberto Necco (Elyron) non si è limitata al concepimento di un’immagine, ma è consistita in un progetto a tutto tondo. L’installazione prevedeva il coinvolgimento del visitatore, chiamato a curiosare tra i cassetti della stanza per scoprire cosa celassero al loro interno.

Emiliano Ponzi, IO, BONVESIN

«Bonvesin de la Riva dotato di una sorta di prudenza pensierosa in un periodo di selvagge lotte per il potere, qual è l’ultimo trentennio del Duecento a Milano; seduto al tavolo di lavoro egli tiene in posa e fotografa il suo sogno di una vita comunale attiva e pacifica, con l’amabile illusione che la parola saggia trovi posto negli spazi dissennati delle ambizioni politiche».
Maria Corti

Bonvesin de la Riva nacque a Milano prima del 1250. La famiglia abitava nel quartiere di Porta Ticinese. Fu magister o doctor gramaticae a Legnano, prima di tornare a Milano dove, entro
il 1288, scrisse il De magnalibus urbis Mediolanile meraviglie di Milano. Fu frate terziario dell’Ordine degli Umiliati, partecipando all’amministrazione di diverse istituzioni di carità, e fece parte dei decani dell’Ospedale nuovo.

Compose opere in latino e in volgare, tra cui conosciamo i Carmina (o Controversiade mensibus sul tema, diffusissimo nell’arte e nella letteratura medievali, dei mesi, il De vita scolastica, che ebbe larghissima fortuna ancora nel Rinascimento, e il De magnalibus urbis Mediolani. Poco coinvolto nei disordini cittadini, si allineò, più per prudenza che per politica, ai Visconti, se è vero che i Carmina de mensibus allegorizzano il tentativo di ribellione di Napo della Torre, oppositore dei Visconti, esiliato dopo la sconfitta a Desio del 1277, un anno dopo la composizione del testo. Fece testamento nel 1313 e morì poco dopo, prima del 1315.

Emiliano Ponzi, con il suo stendardo, attua una magistrale sovrapposizione: Bonvesin è la città che racconta, il suo cuore coincide con la metropoli, le sue vene, le sue arterie sono le vie cittadine.

Libero Gozzini, LA SCROFA

«Alcuni stranamente affermano che prese il nome di Mediolanum
da un porco che vi fu trovato con il dorso coperto di lana
». 

La leggenda della scrofa semilanuta è attestata dal IV secolo dopo Cristo: il nome Mediolanum deriverebbe da questo animale, visto in sogno da colui che, secondo Livio, fu il mitico fondatore delle città, il principe gallo Belloveso. Si sarebbe trattato di una scrofa di cinghiale con la particolarità di avere il pelo molto lungo sulla parte anteriore del corpo.
La scrofa semilanuta è rappresentata su un capitello del Palazzo della Ragione.
Nella sua interpretazione di un simbolo tanto antico, Libero Gozzini ha abbinato la tecnica tradizionale del bassorilievo in gesso con un tratto molto più pop, dato dai colori delle linee metropolitane meneghine e dal richiamo dell’ago e filo, riferimento sia alla “città della moda” sia alla scultura Ago, Filo e Nodo di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen in piazza Cadorna.

GUIDO GUIDI. IL MIO CARLO SCARPA

A cura di Giulia Lambertini (Reggio Emilia, 1983), Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Il fotografo Guido Guidi (1941), dall’inizio degli anni Sessanta, in un percorso conoscitivo che ad oggi non è ancora terminato, avvicina con la sua macchina fotografica l’opera dell’architetto Carlo Scarpa (1906-1978), suo primo e più importante maestro a Venezia. Grazie alle foto originali e ricche di appunti autografi, conservate al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio (CISA) di Vicenza si compie un viaggio sorprendente: dal Negozio Olivetti di Piazza San Marco, alla Gipsoteca Canoviana di Possagno, dal Museo di Palazzo Abatellis, che conserva la celebre Annunciata di Antonello da Messina, a quello di Castelvecchio a Verona, uno degli allestimenti museali più ammirati e copiati del mondo, fino al Complesso Monumentale Brion di San Vito di Altivole (TV), opera-testamento di Carlo Scarpa.

ALDO ROSSI. L’IDEA DI ABITARE

A cura di Claudia Tinazzi (Verona, 1981), Politecnico di Milano

La definizione dello spazio dell’abitare attraverso alcuni progetti dell’architetto Aldo Rossi(1931-1997). Dalla casa al quartiere Gallaratese, ai progetti rimasti sulla carta per la Casa dello studente a Chieti, dalle Cabine dell’Elba alla Casa Abbandonata, il visitatore scopriva in mostra il procedere di Rossi grazie alle fotografie di Gabriele Basilico e Luigi Ghirri, al materiale originale proveniente dalla Fondazione Aldo Rossi e attraverso i modelli architettonici fatti realizzare appositamente per la mostra.